Marta Bellingreri, “Dialoghi Mediterranei”, marzo 2017

Il ragazzo di Aleppo che ha dipinto la guerra : Sumia Sukkar
IL RAGAZZO DI ALEPPO CHE HA DIPINTO LA GUERRA di Sumia Sukkar

La Siria negli occhi di un bambino

di Marta Bellingeri, “Dialoghi Mediterranei”, marzo 2017

Il ragazzo di Aleppo che ha dipinto la guerra : Sumia SukkarDalle foto di Aleppo, di Homs, di Idlib, di Daraa, di Raqqa e da tante altre città o paesini siriani, è sempre più difficile o raro immaginare e vedere colori, tranne il rosso del sangue e il grigio dei defunti edifici. A restituirmi, ogni tanto, dei colori, sono le foto e i video delle poche ma tuttora vive manifestazioni pacifiche della rivoluzione siriana che prendono ancora forma, nei pochi periodi di tregua, in diverse città fuori dal controllo del regime [1].
Poi, è arrivata, tra le mie letture, Sumia Sukkar. Con un romanzo straordinario, Il ragazzo di Aleppo che ha dipinto la guerra (edizioni il Sirente 2016, trad. B. Benini), con la forza dell’immaginazione, dietro la quale ci sono fatti realmente accaduti e testimoniati in questi anni, tramite gli occhi di un giovanissimo adolescente. Non uno qualunque. Adam ha quattordici anni e la sindrome di Asperger, una forma di autismo, che lo fa viaggiare con la mente in un mondo tutto suo. Pieno di colori. Questi colori sono nella sua mente, ma soprattutto nelle persone e nei sentimenti che animano la sua città, seppur pervasa, annientata dal conflitto. Aleppo, e gli anni più atroci che conosca nella sua storia recente.
Il libro è stato scritto da Sumia, di padre siriano e madre algerina, nata e cresciuta a Londra, poco più che ventenne. Nel 2013 dunque l’Aleppo che descrive è dapprima animata dalle manifestazioni pacifiche (che si presumono essere del 2011 e del 2012, anche se la dimensione temporale è lasciata alla narrazione fuori dal calendario del ragazzo e non è scandita con precisione) e contemporaneamente, immediatamente martoriata dalle forze del regime, con ogni tipo di violenze, rapimenti e bombardamenti.
Adam dipinge. Dipinge quello che vede, dipinge quello che sente, dipinge con rabbia, tristezza, gioia, originalità. Dipinge scene atroci. Dipinge col sangue veroche trova nella strada di fronte casa. Dipinge per poi mostrare quello che dipinge alla sorella Yasmine, che dedica a lui tutte le sue energie, come ha promesso alla madre, morta qualche anno prima.
Non poteva che essere uno sguardo straordinario, come quello in fondo di un bambino e adolescente al contempo, a dare colore, diversi colori, alle speranze perdute nel caos del conflitto siriano e soprattutto dell’inaudita violenza repressiva e torturatrice di chi sostiene la comoda – e per questo “inscomodabile” – dinastia al potere, quella degli Asad. Così come Fouad Roueiha, nel suo articolo “Siria. C’era una volta un paese” [2], ci racconta la rivoluzione siriana partendo da cosa la precedeva, ovvero la Siria prima del 2011, prima di scandire paragrafo per paragrafo i cinque anni trascorsi (ormai quasi sei), anche lo sguardo di Adam riflette spesso con la sua semplicità sull’ante-guerra, in cui semplicemente si andava a scuola e si cantava l’inno nazionale, la sua quotidianità con la madre, o più semplicemente una città senza la guerra. Adam è testimone della gioia inziale dei fratelli e della sorella che sentono l’istinto e il dovere di andare a manifestare contro l’oppressione pluridecennale del regime.
Nel libro, classificabile come romanzo ma anche come reportage narrativo, non c’è un attimo di tregua: è forse questo il carattere che più induce a immergersi nella realtà siriana, quanto meno aleppina, delle vicende della famiglia di Adam e Yasmine. Che sia un omicidio, un rapimento o un aborto, ogni orrore e dolore è succeduto immediatamente da un altro, altrettanto e indicibilmente tragico momento, senza un attimo di respiro, con un forse troppo audace tentativo di inserirequasi tutte in successione le già numerose atrocità che avevano cambiato la Siria per sempre nel 2013.
L’unica tregua sono le riflessioni speranzose e fantasiose di Adam e l’esito positivo di alcune delle vicende familiari che scorrono. Intravedere quella bellezza e speranza riporta l’inimmaginabile alla dimensione umana di cui raramente ormai si riempe il nostro sentire rispetto a un conflitto lontano. Nella prefazione al loro straordinario ed esplicativo libro Burning Country, Leyla al Shami e Robin Yassin-Kassab riconoscono come l’inizio della rivoluzione i nuovi pensieri e le inaudite parole esplosi nei cuori e nelle menti delle persone che abitavano la Siria, il « Regno del Silenzio»:

« This is where the revolution happens first, before the guns and the political calculations, before even the demonstrations – in individual hearts, in the form of new thoughts and newly unfettered words» [3].

Adam, piccolo e indifeso, preoccupato solo della sua sopravvivenza e di quella della sua famiglia, a cui vuole rimanere sempre attaccato, è mosso continuamente da pensieri nuovi e stravolgenti e da una grande curiosità e coraggio che lo spingono sempre al di là della sua finestra e porta di casa. In questo ardire, sta tutta la sua voglia di vedere e testimoniare con i suoi occhi, che poi saranno colori e infine quadri, la realtà dei fatti, così come in fondo hanno per anni fatto cittadini e medi attivisti delle città durante la vita quotidiana sotto assedio o durante battaglie lunghissime. Ma il fatto che sia un bambino a narrarlo, per lo più con una forma acuta di autismo, spinge contemporaneamente la narrazione in uno spazio apolitico che si rifà e si riveste immediatamente di una dimensione politica nel momento in cui riconosciamo della guerra una certezza diventata oggi più che mai vittima: la verità.

– Perché c’è una guerra, Yasmine?
– Magari losapessi – mi dice.
– Ma chi combatte contro chi ?
– Il governo contro l’Esercito libero.
– Ma siamo una nazione, Yasmine, perché lo fanno? Perché il governo uccide i siriani? E l’inno nazionale ? Dobbiamo stare uniti.
– Se solo tutti la pensassero così. La politica è complicata, habibi.
– Non mi piace la politica. Mi confonde. Perché le persone mentono?
– Per avidità…
– Ma noi non siamo avidi, Yasmine, perché allora siamo in mezzo alla guerra?
– Non possiamo farci niente. Non ti preoccupare, habibi, arriveremo a Damasco e saremo al sicuro per un po’.
– Quanto dura un po’?
– Il più possibile Adam.

Con gli occhi di un bambino, si fa avanti la verità, una delle primissime vittime della rivoluzione siriana fin dai suoi esordi. «E lo sappiamo bene, la verità è sempre rivoluzionaria» [4]. Così un ex prigioniero politico tunisino,agronomo, scrittore e uomo politico di sinistra, Gilbert Naccache, ha concluso il suo intervento alla prima delle audizioni pubbliche sulla tortura dei regimi tunisini del passato e durante la rivoluzione (dal 1955 al 2013) trasmesse alla televisione pubblica tunisina nel novembre 2016. Questo ha costituito un evento storico – e rivoluzionario – che è stato ignorato prevalentemente dai media internazionali e italiani in particolare: un evento storico da cui Paesi come la Siria sono molto lontani. Ma quella verità in uno sguardo infantile e adolescenziale potrebbe ricominciare a riportare sul tavolo le istanze di dignità, libertà, giustizia sociale e democrazia che avevano fatto urlare, cantare, danzare, rischiare, milioni di siriani nel 2011.
Questo libro restituisce dunque, assieme alla verità semplice della paura e della curiosità, del coraggio e della speranza, un desiderio di umanità e di dialogo. Se questo romanzo, oltre ai numerosi pregi della bella penna di Sumia, ha due imperativi, questi sono ascoltare e dialogare, partendo dalle domande semplici – e talvolta utili a sdrammatizzaree a far ridere Yasmine – di Adam.

Note
[1] Nel febbraio e marzo 2016 così come nel febbraio 2017 ed in altri periodi del trascorso anno 2016 si sono svolte diverse manifestazioni pacifiche chiamando alla libertà, ma anche all’unità tra tutti i siriani, contraddicendo non solo la voce che la rivoluzione siriana sarebbe morta, ma anche ribadendo che la rivoluzione non è nata in nome di una settarizzazione del Paese. Inoltre molto spesso queste manifestazioni rappresentavano un puro gesto di solidarietà nei confronti delle città particolarmente colpite, come lo è stata Aleppo nel lungoassedio da luglio a novembre 2016.
[2] F. Roueiha, “Siria. C’erauna volta un paese” in Osservatorio Iraq, Un Ponte per (a cura di), Rivoluzioni Violate. Cinque anni dopo: attivismo e diritti umani in Medio Oriente e Nord Africa, Edizioni dell’Asino, Roma 2016.
[3] L. al-Shami, R. Yassin-Kassab, Burning Country. Syrians in Revolution and War, Pluto Press, London 2016: VIII.
[4] P. Mancini, “Memoria e verità, il future della Tunisia (prima parte)”, in Tunisia in Redhttp://www.tunisiainred.org/tir/?p=6908.

__________

Marta Bellingreri, specializzata in Lingue, Storia e Cultura dei Paesi arabo-islamici e del Mediterraneo, ha vissuto in Siria, Libano, Palestina, Egitto e lavorato in Tunisia e Giordania. Viaggiando, ha scritto racconti, articoli e reportage per L’Espresso, Terre Libere, Il Manifesto, Fortress Europe, Newsweek, al-Monitor, al-Jazeera, Panorama, D di Repubblica. Ha pubblicato Lampedusa. Conversazioni su isole, politica, migranti  (Gruppo Abele, 2013) insieme alla sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, e Il sole splende tutto l’anno a Zarzis (Navarra, 2014). Ha partecipato al film documentario Io sto con la sposa (2014) e lavorato come assistente alla regia per Sponde (2015) di Irene Dionisio. Nel marzo 2017 terminerà il dottorato in Cultural Studies all’Università di Palermo per la cui ricerca ha vissuto due anni in Giordania.