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  • L’Indice Online (Francesca Del Vecchio, 26 settembre 2017)

    L’Indice Online (Francesca Del Vecchio, 26 settembre 2017)

    LE BALLERINE DI PAPICHA di Kaouther Adimi

    L’Indice Online (Francesca Del Vecchio, 26 settembre 2017)

    Tabù, silenzi e solitudine

    Le ballerine di Papicha : Kaouther AdimiIl primo romanzo di Kaouther Adimi, giovane autrice algerina, si intitola Le ballerine di papicha. Pubblicato per la prima volta nel 2011, è arrivato in Italia solo quest’anno, edito da Il Sirente. Oggi, mentre in Francia esce il suo ultimo lavoro, Nos Richesse, s’intravede nel suo percorso narrativo una particolare attenzione alla solitudine delle anime, ai tabù e ai silenzi tra generazioni a confronto. Anche in Le ballerine di papicha, Adel, Sarah, Kamel, Yasmine, Mouna, Tarek, Haji Youssef, Hamza, compongono uno stravagante album fotografico familiare, esistenze intrecciate eppure indipendenti; persone che vivono sotto lo stesso tetto ma che non parlano mai davvero tra loro. Questo romanzo intimo è tale non solo per via dei legami di parentela che intercorrono tra i personaggi, ma anche perché le storie dei singoli sono la metafora dell’Algeria: ognuno con la propria vita, e non esistono progetti comuni.

    Che paese è oggi il suo?

    È una domanda piuttosto difficile; ho la mia visione delle cose, e la mia voce non può certo essere accostata a tutti gli algerini. Ma questo è un paese complicato, un continuo paradosso. Siamo il risultato di una storia, scossa troppe volte, tra Oriente e Occidente, all’incrocio tra Europa e Africa. In Algeria, ognuno pensa a se stesso, ciascuno è incastrato nella propria storia personale.

    Un po’ come i protagonisti del suo romanzo?

    Credo che questa famiglia sia la metafora stessa dell’Algeria: quelle di cui parlo, sono tre generazioni che vivono sotto lo stesso tetto, in un palazzo del quartiere popolare di Algeri. Ciascun personaggio ha il suo “ritratto” personale. E questo mi è servito per tratteggiare gli intrecci familiari di cui si compone il romanzo: madri e figli che comunicano tra loro, senza mai parlare veramente.

    Ogni personaggio è dotato di una spiccata dimensione psicologica e questo è indice di una buona riuscita. Si è ispirata a qualcuno?

    Sono personaggi inventati, ma come ogni romanziere, ho attinto dalla realtà alcune caratteristiche, che ho poi distribuito qua e là tra i miei personaggi: all’epoca della scrittura del libro, nel 2009, vivevo ancora ad Algeri. Eravamo appena venuti fuori dagli anni del terrorismo, abbiamo vissuto un momento che sembrava euforia. In realtà si faceva la conta dei morti e stavamo all’erta, in attesa di un nuovo ordine di coprifuoco. Una generazione, la mia, cresciuta all’ombra di qualcosa di spaventoso; per questo molte delle caratteristiche dei miei personaggi sono tipiche della gente che vive il Paese.

    Tutti i tuoi personaggi sono problematici e irrisolti. Tranne uno: Mouna. È un auspicio?

    Mouna è il personaggio su cui volevo focalizzare l’intero libro. Il titolo algerino è un riferimento a questo personaggio – “papicha”, in algerino vuol dire “ragazza graziosa” – che è giovane, allegra, frizzante. A Mouna non importa cosa pensano gli altri. E questa è la speranza migliore per tutto il paese.

    L’edizione francese e quella algerina hanno titoli diversi. Come mai?

    Il titolo originale in arabo, Le ballerine di Papicha, non ha convinto l’editore francese perché “papicha” è una parola del gergo algerino (in particolare di Algeri e della sua regione) di difficile comprensione per il lettore francofono. Così abbiamo deciso di inventare un nuovo titolo: L’envers des autres. Quando siamo passati all’italiano, abbiamo deciso di tornare alla versione originale.

    Il suo libro ha riscontrato un grande successo di pubblico in Francia. Cosa si aspetta dal quello italiano?

    Sono molto curiosa di sapere come reagirà al mio romanzo. Uno dei miei libri preferiti è italo-algerino: Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, di Amara Lakhous. Sono, quindi, molto felice per la traduzione e la pubblicazione.

    Il suo ultimo libro, Nos richesses, racconta ancora di una generazione “interrotta”?

    In Nos richesses, parlo del periodo coloniale algerino attraverso il diario immaginario di Edmond Charlot, il primo editore di Albert Camus. Ma è anche la storia di un quartiere di oggi, 2017, in cui c’è ancora la stessa libreria aperta da Charlot.

    L’Indice on-line

    Francesca Del Vecchio è giornalista. Scrive prevalentemente di Esteri e cultura arabo-islamica

  • La felicità è negli affetti: dialogo con Faïza Guène

    La felicità è negli affetti: dialogo con Faïza Guène

    Intervista a Faïza Guène per L’Indice dei libri del mese

    di Francesca Del Vecchio

    «Mia madre soffriva nel vedermi solo. Mi credeva, di volta in volta, pauroso, affetto da turbe della personalità, omosessuale. Nulla di tutto questo. Ero solo. Punto. Me n’ero fatto una ragione. Ritengo che non avesse mai realizzato di essere la prima responsabile di quel fatto»

    Un uomo non piange mai : Faïza GuèneMourad nasce a Nizza, i suoi genitori sono algerini emigrati in Francia. Modesti per rango sociale e per livello culturale. Sua madre, una donna bonariamente invadente e protettiva, gli trasmette affetto alla vecchia maniera: rimpinzandolo di cibo. E Mourad, che vorrebbe emanciparsi da quella condizione costruendosi un destino, vive nel terrore di diventare un ragazzotto obeso con i capelli sale e pepe. Per sopravvivere dovrà affrancarsi da una pesante storia familiare che accomuna molti giovani di seconda generazione.
    Questa è la storia raccontata da Faïza Guène in Un uomo non piange mai, edito da Il Sirente.
    Guène, scrittrice franco-algerina di grande successo cresciuta a Pantin (banlieue “incendiaria” a nord-est di Parigi), ha debuttato nel mondo della letteratura a soli diciannove anni, sancendo, già dal principio, il suo talento letterario.
    È stata ospite al Festival Mediterraneo Downtown di Prato e al Salone Internazionale del Libro di Torino, in occasione del quale è stata realizzata questa intervista.

    Cosa hanno in comune Faïza Guène e il suo personaggio, Mourad Chennoun?

    Mourad vive tra due fuochi: il tradizionalismo di sua madre Mina e l’innovazione di sua sorella maggiore Dounia, brillante studentessa. Come Mourad anche io ho vissuto una fase a cavallo tra la riproduzione dei valori familiari e la tensione alla modernità. Mourad incarna perfettamente la via di mezzo tra le due strade: un ragazzo che non nega le sue origini, ma che – facendo suoi i valori del paese ospitante – costruisce qualcosa di importante per la sua vita.

    Il destino di Mourad è nelle sue mani: quanto conta per lui e per giovani come lui l’autodeterminazione e la forza di volontà?

    Il messaggio che volevo far passare è che, a prescindere dall’origine sociale e dal livello culturale, si può essere felici solo se siamo riusciti a costruire dei legami affettivi. Mourad è certo un personaggio singolare, dotato di volontà e forza d’animo, ma è vero anche che ha ricevuto tanto amore e sostegno dalla sua famiglia, nonostante la modestia del padre e l’invadenza della madre. È diventato un insegnante, e questo è un traguardo, purtroppo, non per tutti.

    Il tuo libro è il racconto di una storia come ce ne sono tante: quanto c’è di finzione e quanto di verità?

    Di tutti i miei romanzi questo è quello in cui ho messo di più di me stessa. Ciò non vuol dire che questi avvenimenti si siano verificati realmente nella mia vita ma una base di verità c’è: in particolare il rapporto con il padre, l’importanza del patrimonio storico. La Francia ha una doppia cultura e dovrebbe farne tesoro.

    «Con il passare degli anni, la situazione con Dounia peggiorava. Il mondo esterno pullulava di Julie Guérin, e i tentativi dei miei genitori di trattenere la figlia nel guscio sono tutti falliti. Le intimidazioni e le punizioni non funzionavano più. Mia madre, pur così abile nel gioco della colpevolizzazione, ha sparato tutte le sue cartucce. La tachicardia improvvisa e l’ipertensione non cambiavano più nulla.
    Abbiamo perduto Dounia».

    Quanto l’esperienza di vita nelle banlieues ti è stata utile nella tua produzione letteraria?

    Come ogni scrittore, l’ambiente circostante – familiare, sociale, culturale – influisce in modo piuttosto evidente sulla propria letteratura. Nel mio caso non è la periferia a dare senso alla scrittura, ma la mia percezione di questo ambiente. Guardare il mondo con gli occhi della periferia dà vita a un nuovo genere: una letteratura popolare “nobile”, perché anche il personaggio più anonimo può trasformarsi in un eroe.

    Hai pubblicato il tuo primo libro a diciannove anni grazie al tuo professore di francese. Hai avuto coraggio. E fortuna. Cosa ha significato per te quel trampolino?

    Io credo nel destino, ed è incredibile per me avere avuto questa opportunità, visto che come Mourad la mia condizione sociale d’origine e il mio ambiente non supportano questo tipo di percorso. Se non avessi avuto questo incontro con il mio maestro, e non avessi seguito l’ambizione, non avrei mai visto il mio libro pubblicato.

    Questo ultimo romanzo è sicuramente più maturo del primo: per stile, per storia. C’è qualcosa che rimpiangi della vecchia Faïza?

    Forse la spensieratezza dei miei diciannove anni, e anche il mio ottimismo.

    Come ha risposto il pubblico francese al tuo libro?

    Il pubblico mi ha seguito e ne sono molto felice; i miei primi lettori sono ancora lì ad attendermi. Per quanto riguarda la stampa, i giornalisti e la critica letteraria, sono soddisfatta che abbiano riconosciuto in me una scrittrice a tutti gli effetti e non solo un “fenomeno sociale delle periferie”.

    Negli ultimi anni l’apertura dell’editoria europea al romanzo d’origine araba ha portato a conoscere importanti autori. Ma qualche volta capita di imbattersi in romanzi di estremamente stereotipati e scritti per compiacere il pubblico occidentale. Cosa ne pensi?

    Credo che in tutti i settori ci siano autori ed editori che scrivono per piacere. Ma penso che il pubblico non si lasci ingannare e che l’autenticità faccia sempre la differenza.

    I tuoi romanzi sono stati tradotti in ventisei lingue. Che rapporto hai con i tuoi libri tradotti?

    È ogni volta una bella sorpresa per me. Ne sono affascinata perché sento che si tratta di un nuovo romanzo. In un nuovo ambiente, in una cultura diversa. Ma grazie ai numerosi incontri con i lettori di tutto il mondo, ho capito che la letteratura è universale.