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  • Potere alla parola! Gli scrittori egiziani e la rivolta

    WUZ | Mercoledì 9 febbraio 2011 | Matteo Baldi |

    Le notizie che arrivano dal Cairo in questi giorni, violente e confuse, parlano di un popolo che sta provando a cambiare le cose, a dispetto dell’acquiescenza del resto del mondo. Ma che ruolo hanno gli intellettuali, in una situazione come quella attuale? E quale voce? Ci sono spazi per esprimere dissenso, in un paese come l’Egitto? E i libri, raccontano (o hanno previsto) quel che sta accadendo? Andiamo a vedere.

    “Il mondo intero dovrebbe essere orgoglioso dell’inerzia con cui ha assistito alla liberazione del popolo egiziano. Il regime di Mubarak era solito nominare malavitosi e adottare un regime di polizia selvaggio per sostenere i membri del suo parlamento e sopprimere la nostra anima più autentica, l’anima della libertà. Ma noi ci stiamo impegnando”.
    Ci scrive dal suo blackberry, con amarissima ironia,  Magdy El Shafee, fumettista condannato l’anno scorso in seguito al processo per oscenità che gli era stato intentato dallo Stato egiziano. La sua graphic novel “Metro”, infatti (pubblicata in Italia dalle edizioni Il Sirente), all’interno di una vicenda di spionaggio, mostra un uomo e una donna intenti in un rapporto sessuale.I disegni sono stati considerati pornografici, e quindi offensivi. Tutte le copie distribuite al Cairo sono state ritirate e distrutte, e Magdy ha dovuto pagare un’ammenda salata. Ma sarà davvero solamente una questione di disegni immorali?
    Questo libro contiene immagini immorali e personaggi che somigliano a uomini politici realmente esistenti”, recita la sentenza emessa dal Trbunale, e allora si capisce forse meglio cosa possa aver dato tanto fastidio alle autorità, in un paese (e una cultura) in cui il sesso forse non viene ostentato pubblicamente ma certo non è tabù nelle conversazioni e non può essere l’unica ragione per mettere all’indice un libro a fumetti.
    El Shafee, però, non è l’unica vittima di un regime che mostra un volto presentabile solamente al resto del mondo, e censura il dissenso imponendo un controllo rigido anche sul web.
    Nei primi giorni degli scontri, la rete in Egitto ha subito un vero e proprio blackout, per impedire che le notizie di quel che stava accadendo filtrassero verso gli altri Paesi, ma anche per far sentire più isolati i blogger e tutti quegli egiziani che trovano in internet una finestra sul mondo.
    Ala ‘Al Aswani, celebrato autore di Palazzo Yacoubian (Feltrinelli edizioni), promuove da anni un salotto letterario al Cairo, città nella quale svolge la professione di dentista ed è un intellettuale conosciuto e rispettato. L’espressione “salotto letterario”, però evoca immediatamente immagini di concilianti sedute che si svolgono fra aperitivi e mollezze – appunto – salottiere.
    Nulla di più lontano dal vero, però, nei paesi in cui la libertà di stampa è limitata, i diritti delle donne sono un argomento puramente accademico e tutti i giorni la corruzione che permea l’apparato politico e amministrativo del Paese vincola ogni serio tentativo di migliorare le condizioni della società.
    Tengo ancora i miei seminari per discutere di questioni culturali. Li tengo dal 1996.
    L’ho fatto anche nei caffè, pubblicamente. Nel 2004 il governo ha minacciato il proprietario del caffè all’interno del quale li tenevamo, e allora ci siamo spostati nel palazzo dove ha sede “Kifaya” (“Abbastanza”), movimento politico che raccoglie intellettuali di diversa estrazione”, spiegava Al Aswani in un’intervista raccolta a margine della sua partecipazione alla scorsa edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, dove l’Egitto era il Paese ospite.

    Altri scrittori sono Nawal Al Saadawi, autore de L’amore ai tempi del petrolio, Ahmed Nagy, autore di Rogers e Khaled Al Kamissi, autore di Taxi.
    I tre libri, oltre al fatto di essere pubblicati in Italia dallo stesso editore (Il sirente), hanno in comune la capacità di descrivere la società civile egiziana cogliendone al tempo stesso la vitalità e le sclerosi. Nel caso di Al Kamissi, ad esempio, il Cairo è un brulichio ininterrotto di vita colto dal finestrino del taxi, e i taxisti stessi sono un precipitato d’Egitto, con il loro lamentarsi delle istituzioni e della corruzione che però non porta a nulla.
    Rogers“, invece, è opera di un blogger seguitissimo, un’opera ispirata addirittura a “The wall” di Roger Waters. Dalla scheda dedicata a Ahmed Nagy sul sito de Il sirente: “… in Egitto è molto noto come blogger, ma soprattutto per essere uno dei più giovani redattori di Akhbàr el Adab, il prestigioso settimanale letterario diretto da Gamàl al-Ghitàni. Autore d’avanguardia, usa la Rete per scuotere il panorama letterario conservatore. Il suo blog Wasa khaialak (Allarga la tua immaginazione), iniziato nel 2005, parla di sociologia, pop art, diritti umani e cultura: “sperimento un diverso livello di linguaggi per avvicinare la gente alla letteratura”.

    Nawal Al Saadawi, infine, è una pioniera del femminismo nel mondo arabo. Scrittrice e psichiatra, ha sortito grande influenza sulle generazioni più giovani, proprio grazie ai suoi libri. Candidatasi alle elezioni presidenziali nel 2004, ha anche passato un periodo in galera durante la presidenza di Sadat, ed è stata iscritta nella lista degli obiettivi di un gruppo fondamentalista. L’amore ai tempi del petrolio, sotto le spoglie di un romanzo giallo, compie un’indagine sulla condizione delle donne nei paesi arabi, muovendo i suoi lettori a una presa di coscienza.
    Altra scrittrice egiziana è Ghada Abdel Aal, autrice di un libro e un blog molto seguito intitolati Che il velo sia da sposa (pubblicato in Italia da Epoché). In Egitto il libro ha conosciuto tale e tanta notorietà che la televisione ne ha tratto uno sceneggiato, interpretato nel ruolo della protagonista da una delle attrici più celebri del mondo arabo. Ma la storia di Bride, giovane donna in cerca di un marito da sposare per amore, è anche la galleria di una serie di “tipi” che riassumono molto bene caratteristiche e difetti degli uomini cui una donna “in età da marito” può ambire in Egitto, e questa è la ragion per cui Ghada, con il suo alter ego romanzesco, si è guadagnata il soprannome di “Bridget Jones” araba (soprannome che – va detto – all’autrice non piace per nulla)… noi abbiamo intervistato Ghada Abdel Aal nei difficili giorni delle proteste e delle manifestazioni per cacciare il Presidente Mubarak.

  • Il mio diario a fumetti da piazza Tahrir

    | La Repubblica | Domenica 6 febbraio 2011 | pp. 32-33 | sezione: Domenicale | Francesca Caferri |

    Lunedì 24 gennaio. È la sera prima della manifestazione, non sappiamo cosa aspettarci. Abbiamo molte speranze, ma domani quante saranno le persone che verranno in piazza? Comincio a ricevere un sacco di telefonate di amici, e così mi ritrovo a pensare, a sapere nel profondo del mio cuore, che quella che stiamo per vivere è la fine del regime di Mubarak. Dico a tutti quelli che conosco che domani dobbiamo andare in piazza: se non cambi qualcosa di piccolo tu, le cose grandi non cambieranno mai.

    Martedì 25 gennaio. Il mio sogno sta diventando realtà: in strada, improvvisamente, ci sono migliaia di persone. Gente che non ha nessuna esperienza politica, che non è mai stata attiva, ma che oggi risponde all’ appello lanciato in nome di Khalid Said (un giovane attivista egiziano fermato e picchiato a morte da due poliziotti fuori da un internet cafè ad Alessandria qualche mese fa). La pagina a suo nome su Facebook è stata una di quelle che hanno chiamato alla protesta: ma non mi aspettavo che in così tanti rispondessero.

    Mercoledì 26 gennaio. Possiamo farcela. Dopo la fiammata di ieri, anche oggi la gente è tornata in strada. Internet non funziona, i telefonini sono muti, niente sms. Ma tutti ci siamo diretti a piazza Tahrir: per passaparola, perché questa è la piazza della Liberazione (Tahrir in arabo, ndr). E noi vogliamo essere liberi. È una specie di miracolo, ritrovarci tutti qui. Oggi abbiamo deciso: il momento decisivo sarà venerdì, dopo la preghiera di mezzogiorno.

    Venerdì 28 gennaio. In centro, con mia moglie. Andiamo verso piazza Tahrir, vediamo arrivare gente da ogni direzione. Occupiamo la piazza. La polizia è preoccupata, ma noi siamo tantissimi. Provano a fermarci, scontri, ma davvero è impossibile buttarci fuori da questa piazza. Tutto accade molto in fretta: prima la gioia, poi la rabbia, gli scontri con la polizia, i cannoni ad acqua, le pallottole di gomma. Arrivano i tank dell’ esercito, abbiamo davvero paura: non sappiamo cosa faranno. Poi ci dicono: «Siamo con voi». Un’ esplosione di felicità. Dura poco: la televisione annuncia un discorso di Mubarak. Ciò che dice gela il nostro umore, la piazza è furiosa. Una giornata pazzesca oggi. Torno a casa tardissimo, solo per riposare un po’ .

    Sabato 29 gennaio. Mi sveglio ancora pieno di rabbia. Tutto è così ingiusto. Le promesse fatte ieri sera da Mubarak non possiamo accettarle. Questo è ancora più chiaro ora, al sorgere del sole. Troppo poco, troppo tardi. Dobbiamo trovare il modo di urlarlo al mondo che ci guarda: così non va bene. Voi in Occidente avete scritto molto su Mohammed El Baradei (l’ex segretario generale dell’ Aiea, premio Nobel per la pace e da mesi indicato come l’ antiMubarak, ndr). Noi artisti e intellettuali lo appoggiamo in vista di una transizione: anche i Fratelli musulmani lo fanno. Ma dovete stare attenti: è la rabbia della gente che muove questa protesta, soprattutto la rabbia dei giovani che si organizzano via Internet. Sono le loro voci che devono essere ascoltate, non quelle della politica.

    Lunedì 31 gennaio. Restare in piazza, non andare via: è l’ unico modo per ottenere qualcosa. E allora la gente decide di restare a piazza Tahrir, dandosi il cambio. «Come a Tienanmen», mi dice un amico. Lo sappiamo, ci abbiamo pensato. Lo voglio dire chiaro: a questo punto siamo pronti a tutto. Se Mubarak vuole fare un bagno di sangue, sappia che la gente è pronta al bagno di sangue. Chi sta in piazza oggi non è più un cittadino ordinario dell’Egitto, è una persona consapevole. «Voglio rendere il mio paese migliore», mi ha detto un ragazzino: aveva vinto una borsa di studio, doveva partire, non lo ha fatto, non è il momento. Non siamo più silenziosi e rassegnati: la gente intornoa me vuole solo una cosa. Un cambiamento vero e uno stato realmente democratico: non ci fidiamo di Omar Suleiman (il capo dei servizi segreti nominato vicepresidente qualche giorno fa, ndr ), non vogliamo ascoltare le sue parole quando parla di «transizione»: non siamo scesi in piazza per avere lui: vogliamo essere liberi, insegnare alla gente cosa sono i partiti e la democrazia.

    Giovedì 3 febbraio. Quello che sta accadendo è la realizzazione delle idee che ho scritto nel mio libro: l’ inerzia a usciree partecipare che tanto criticavo oraè finita. Una vendetta contro la censura che ha bloccato il mio libro? No, non è questo. Io non mi vendico, ma è bellissimo. Non come finirà. Mubarak ha parlato di nuovo ieri, pensavamo che si dimettesse: non lo ha fatto. Non capisce che la gente non lo vuole. La rabbia monta. Gli agenti della sua guardia nazionale, che indossano le uniformi dell’ esercito, ci stanno attaccando, tirano sassi, alcuni sono armati. Ma non ci fermiamo. Ieri ho disegnato. Poco, solo per raccontare quello che sta succedendo. Scriverò un altro libro quando tutto questo sarà finito. E sarà la storia di questi giorni. Ma ora è troppo presto per pensarci.

  • L’attimo prima della rivolta

    | Cospe Onlus | Venerdì 4 febbraio 2011 | Pamela Cioni |

    La libertà va chiesta con forza. Va presa, non può essere concessa», dice Magdi El Shafei, autore del primo graphic novel del mondo arabo, Metro. Che è stato un vero e proprio caso editoriale, censurato in Egitto subito dopo la pubblicazione con la piccola casa editrice di Muhammad Sharqawi (tradotto in inglese e francese, in Italia è uscito per i tipi de il Sirente). Magdi parla fumando ininterrottamente e alzando la voce sopra il brusio di fondo del centrale bar Groppi nel quartiere cairota di Down Town: è il 24 gennaio, un giorno dall’aria tiepida e primaverile, e mancano poche ore a quello che sarà ricordato nella storia egiziana come “il giorno della Rabbia”. I blindati e gli agenti della Polizia governativa, la famigerata Sicurezza nazionale, già circondano edifici e presidiano le piazze, ma la vita scorre – ancora – tranquilla, anzi frenetica, come sempre, nel cosiddetto quartiere degli intellettuali e teatro degli scontri più duri tra manifestanti e governo. È a pochi passi dal bar infatti l’ormai famosa piazza Tahrir, “Liberazione”. Magdi è un fiume in piena e parla eccitato e ansioso pensando alla grande manifestazione prevista per il giorno successivo, giorno di festa nazionale, paradossalmente proprio indetta per celebrare un qualche glorioso evento della polizia egiziana. «Domani scenderemo in piazza e chiederemo conto delle tante promesse che ci sono state fatte in questi anni e che non sono state mai realizzate. Le persone sono stanche, esasperate. Lo sento tutti i giorni, per strada, sui minibus, sui taxi». Magdi El Shafei, laurea in Farmacia e fumettista di punta della nuova generazione egiziana, è uno che degli umori della strada se ne intende e li ha interpretati e usati per modulare il linguaggio, per raccontare sogni, aspirazioni e vicissitudini del protagonista del suo primo romanzo a fumetti: Shihab, un giovane ingegnere informatico che, rimasto disoccupato, decide di compiere una rapina, come ribellione, come unico gesto di riscatto dopo aver provato a realizzare legalmente i propri progetti e aver incontrato nel suo umiliante percorso una trafila di corrotti e usurai. «Essere fuorilegge, può essere un atto di ribellione, se stai lottando per la tua libertà, per i tuoi diritti e se è la società a essere sbagliata, corrotta». I veri criminali nel romanzo infatti sono altri: sono gli alti funzionari, è il sistema della mazzetta e il Male dei Mali è rappresentato da una società stagnante in cui manca un vero Stato sociale, una società in cui il livello di istruzione è bassissimo, in cui gran parte della popolazione tira a campare con pochi dollari al mese vivendo di espedienti in quartieri poverissimi, sporchi e sovrappopolati.
    In Metro viene rappresentata tutta questa fetta della società ma sono forse Shihab e la giornalista Dina, con cui, inevitabile, scatta la storia d’amore, che rappresentano più da vicino quei ragazzi che dal 25 gennaio scorso sono in piazza e che rivendicano un Paese più giusto e soprattutto più libero. Senza censura e con vera libertà di espressione. Sono i ragazzi della rivoluzione dei social media, quelli che fuori da schieramenti politici veri e propri, si sono incontrati principalmente nelle piazze virtuali di internet, su facebook e su twitter. Sono i giovani, che rappresentano i due terzi di questo Paese, che usano internet e cellulari tutti i giorni e che sull’onda benefica e ispiratrice della Tunisia si sono dati appuntamento per protestare contro il regime. Sulla pagina facebook più frequentata, “We are all Khaled Said” in memoria di uno studente di Alessandria ucciso nel giugno scorso dalla polizia, erano in 90mila il giorno prima a dire che sì, ci sarebbero stati, lì in piazza a manifestare per cambiare il proprio futuro, perché se è successo in Tunisia può succedere anche qui, perché niente è immutabile e perché l’entusiasmo è contagioso tra i giovani, che meno facilmente accettano un destino che sembra scritto una volta per tutte: «La cosa che forse ci ha scosso di più nell’ultimo periodo è stata l’annuncio della successione al governo (per le previste elezioni del novembre 2011, ndr) del figlio di Mubarak, Gamal – dice Al Shafei continuando a fumare e sorseggiando un lungo caffè turco -. Questa ennesima imposizione, questa idea della discendenza monarchica del potere, ha veramente dato uno schiaffo alle nostre coscienze. Altre volte c’erano stati focolai di rivolta, nel 2005 con gli scioperi a El Mahalla (località a 60 chilometri dal Cairo, ndr), nel 2008, anno in cui nacque il “Movimento del 6 aprile” che prende il nome dal giorno delle proteste. Ma adesso c’è qualcosa di più e di diverso: c’è l’esempio della Tunisia. Adesso sappiamo che è possibile». L’entusiasmo dello scrittore alla vigilia dell’appuntamento con la Storia sembra davvero incontenibile: «Domani – aggiunge profetico – sarà la società civile a scendere in piazza, ci sarà solo la “brava gente”, non ci saranno partiti né gruppi religiosi a mettere il cappello sulla manifestazione». E aveva ragione. I tanto temuti Fratelli musulmani, unico vero partito di opposizione a Mubarak, non hanno partecipato all’organizzazione della manifestazione né hanno aderito alle proteste fino al venerdì 28 gennaio. I primi quattro giorni di proteste sono stati dunque anche un test per misurare la forza della società civile laica e autoorganizzata e la risposta è stata fenomenale. Eppure solo la settimana prima il raduno indetto a favore della Tunisia sotto il Parlamento aveva raccolto solo alcune decine di “duri e puri”. E non erano in pochi a essere scettici prima della vigilia della manifestazione o perlo meno più cauti del fumettista.

    Tra questi, un altro scrittore, una voce autorevole tra gli intellettuali cairoti, Khaled Al Khamissi, giornalista, sceneggiatore e produttore cinematografico, anche lui residente nella “Rive Gauche” del Nilo. Il suo libro Taxi. Le strade del Cairo si raccontano, che in Egitto ha avuto 12 ristampe (pubblicato anche in Italia), racconta uno spaccato della società egiziana, vista dal basso, cioè dalla parte dei tassisti, tra le categorie più disagiate della metropoli: sono 80mila, guadagnano pochissimo e fanno una vita di inferno fra tasse da pagare e orari impossibili in mezzo al traffico più ingarbugliato del mondo. Eppure nel libro di Al Khamissi sono proprio i tassisti, novelli cantastorie, a essere detentori della saggezza popolare e a raccontare l’Egitto moderno con le sue contraddizioni sociali e culturali, con le sue tensioni e anche con i suoi lati di comicità e ironia tipica di questo Paese. Khaled dice che già all’epoca della prima stesura del libro (2006) era convinto che qualcosa stesse esplodendo, che qualcosa dovesse succedere perché la misura era già colma, ma poi niente. «Il tutto, cominciato con scioperi di lavoratori, operai e proteste diffuse, si è sgonfiato perché il regime di Mubarak è stato più furbo e strisciante di quello tunisino, offriva spiragli e aperture che impedivano al “pallone/società” di scoppiare. Dava un po’ di potere a tutti, ai musulmani, ai copti, si ergeva a paladino della laicità nei confronti dell’Occidente e allo stesso tempo finanziava i gruppi islamici più estremisti. Censurava i giornali ma ci permetteva di parlare liberamente per strada, impediva alcune pubblicazioni ma concedeva spazi televisivi a dibattiti politici». E aggiunge: «Ora però sarà sicuramente l’inizio di un cambiamento e un’era, quella del conservatorismo, dell’estremismo e della “bruttezza”, sta finendo qui come in tutta Europa. I giovani che pure qui sono nati sotto questo regime e sotto le leggi speciali di “emergenza” (in vigore dagli anni Ottanta, ndr) sono tanti, sono forti e vogliono libertà. Hanno una mentalità completamente diversa dalla nostra e grazie ai nuovi strumenti e le nuove tecnologie che hanno cambiato il loro modo di pensare, di vedere il mondo e di conoscere, cambieranno questo Paese. È solo questione di tempo». Il tempo è arrivato, nonostante gli scettici, e la Rivoluzione anche.

  • Luci della città

    | I viaggi del Sole | Febbraio 2011 | Khaled Al Khamissi |

    I taxi, imprevedibili e indisciplinati. I quartieri cresciuti a dismisura. Le moschee e i musei a cielo aperto. Storie e memorie della capitale. Dall’alba al tramonto.

    Non è mai facile parlare della relazione di una persona con la propria città: è un rapporto complicato, come quello tra un uomo e la propria famiglia. La città è una personalità vivente che si modifica a ogni istante, ma su una base storica molto forte. Figuriamoci, quindi, se si tratta del Cairo, dove sono nato nel 1962 e dove sono sempre vissuto, a parte i quattro anni trascorsi in Francia per il dottorato in Scienze politiche alla Sorbona. Come potrei pensare a tutti i ricordi relativi ai miei amici senza pensare anche, nel contempo, alla mia città? È impossibile. Mi sono innamorato molto presto del Cairo, della sua geografia e della sua storia: un amore a prima vista, si potrebbe dire. Camminavo nelle sue strade, per i suoi vicoli per scoprirne i segreti, e in quel modo leggevo e interpretavo le complicate vicende. Tanto che, in una delle mie letture preferite, quando avevo 12-13 anni, era L’origine dei nomi delle vie del Cairo… Dopodiché uscivo di casa e andavo alla ricerca di quelle strade. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il Cairo è una città millenaria, in cui si sono stratificati tanti cambiamenti, tante cultura e tante influenze.
    Oggi potrei considerare la possibilità di vivere qualche periodo all’estero; l’ha anche fatto. Ma non sono convinto di riuscire psicologicamente a gestire questa lontananza per lungo tempo. Né sono in grado di immaginare quanto sofferenza comporterebbe per la mia anima profondamente cairota. È anche vero che la situazione politica è diventata insostenibile: la tensione sociale mi pesa sui polmoni, facendomi quasi soffocare. Il brutto e il degrado vincono ovunque. Negli ultimi anni la mia amata città è stata sfigurata. Innanzitutto il numero degli abitanti è aumentato in maniera spaventosa. Quando sono nato eravamo 3 milioni, per salire a 5 milioni negli Anni 70, a 8 milioni quando andavo all’università, mentre adesso ha superato i 18 milioni!
    Per non parlare poi del nostro presidente Hosni Mubarak, al potere dal 1981 (ormai sono 30 anni!). Il suo regime ha fallito completamente nel progetto di sviluppo del Paese, e la nostra capitale è una testimonianza inequivocabile di questo insuccesso. La crescita di movimenti reazionari finanziati dai petroldollari non ha poi fatto altro che peggiorare la bruttezza della città. Per non parlare del tasso di inquinamento, dell’aria e delle acque, che è diventato davvero difficile da gestire. Per fortuna alcune cose sono rimaste immutate: il fascino del Nilo, le memorie, la bellezza interiore, il popolo egiziano con la sua grande civilizzazione… Lo stress, le rivoluzioni sociali possono provocare dei mutamenti nel temperamento, ma non nell’essenza delle persone. E gli egiziani restano contadini pacifici, dolci, tolleranti e anche un po’ imbroglioni, qualità essenziali forse per far fronte a dittature millenarie. Tutte queste cose messe insieme, in una tale città dai mille volti, per me sono irresistibili e mi attraggono come una calamita. Come il museo a cielo aperto di Saqqara, un’immensa necropoli che risale a quasi cinquemila anni fa, o il mercato delle fave sotto casa mia. Abbiamo tonnellate di simboli nei quali ci riconosciamo. La piramide di Cheope, il moulid (i festeggiamenti in onore di un santo o di un personaggio venerabile, a metà tra fiera e festa religiosa) di Sayyidna al-Hussein o quello di Sayyida Zeinab, la grande Moschea-Madrasa del Sultano Hassan, che può essere considerata come una sorta di piramide dell’architettura islamica. E poi, per riconciliarsi con la vita, che c’è di meglio di un giro in feluca sul Nilo al tramonto?
    Ovviamente, consiglio anche di prendere il taxi e di fare due chiacchere con il conducente. Essere un tassista al Cairo non è un mestiere come altrove, è un modo per cercare di lavorare o almeno di aumentare le entrate mensili. I tassisti provengono da ogni angolo del paese e tra loro si possono trovare, con la stessa facilità, professori, medici, contabili o anche analfabeti. Rappresentano la classe sociale di chi ha problemi a sbarcare il lunario: praticamente l’80 per cento della popolazione egiziana. Per questo, farli parlare, in Taxi, è stato come dare la parola all’intera città, la vera protagonista, se vogliamo l’eroina, del libro. E anche nel più recente L’arca di Noè, seppure in negativo, c’è il Cairo: rappresenta la grotta in cui cadono tutte le personalità, desiderose di scappare via, magari in America, per evitare la catastrofe.

  • In “Metro” El Shafee ha anticipato la rivolta del popolo egiziano

    | Alibi Online | Martedì 1 febbraio 2011 | Saul Stucchi |

    Con i racconti brevi del suo libro intitolato Taxi, Khaled Al Khamissi ci ha svelato la vita quotidiana per le strade del Cairo: sogni, paure, difficoltà piccole e grandi dei suoi abitanti come vengono fuori dai dialoghi tra clienti e tassisti. Per la stessa collana Altriarabi l’editore il Sirente ha da poco mandato in libreria la graphic novel Metro in cui l’autore Magdy El Shafee affronta la realtà dell’Egitto contemporaneo lasciando da parte l’ironia dai toni spesso rassegnati di Al Khamissi per concentrarsi sull’evoluzione verso cui i protagonisti della sua storia sono spinti dalla drammatica realtà fino al punto di rottura senza possibilità di ritorno. Il titolo si riferisce in prima battuta alla metropolitana cairota che fa da ambientazione per molte scene della vicenda: i personaggi si spostano nella megalopoli o a piedi o appunto utilizzando questo mezzo di trasporto. In diverse pagine compare la mappa delle stazioni e se ci facciamo caso, possiamo notare che quelle più importanti, ovvero quelle di scambio, sono dedicate agli ultimi due presidenti: Sadat e Mubarak. Il titolo allude però anche anche all’omonimo carattere tipografico con cui è stampato il fumetto. Come ricorda la nota a fine libro, questo font venne realizzato dal graphic designer americano William Addison Dwiggins. Dire che la vicenda raccontata a fumetti da El Shafee è stata anticipatrice della rivolta popolare che sta sconvolgendo l’Egitto in questi giorni (di cui nessuno sa ancora prevedere l’esito, anche se – comunque vada a finire – il paese non sarà più lo stesso di prima) è fin troppo banale. L’autore ha avuto il merito di puntare il dito e dire la verità sotto gli occhi di tutti da decenni: il re, anzi il faraone, è nudo e la piramide in cima alla quale sta seduto si poggia su corruzione e violenza, ma soprattutto sulla paura e sulla rassegnazione di milioni di egiziani. Eppure fino a pochi giorni fa, prima che la rivolta tunisina provocasse un effetto domino che forse è solo all’inizio, la maggior parte dei cittadini delle “democrazie occidentali” avevano dell’Egitto una conoscenza soltanto per luoghi comuni: piramidi, faraoni e Mar Rosso.

    El Shafee si rifà invece alla tradizione grafica più popolare e antica del suo paese, per svicolare dai rigidi dettami dell’arte ufficiale, dunque di propaganda. Come nei graffiti lasciati dagli operai che costruirono le tombe di sovrani, dignitari e sacerdoti riaffiora la realtà quotidiana degli antichi egizi, così nelle tavole di El Shafee è la vita di strada dei cairoti di oggi a occupare la scena, raccontando la realtà, tanto più scomoda quanto meno edulcorata e anestetizzata. “Questo libro contiene immagini immorali e personaggi che somigliano a uomini politici realmente esistenti” recita la sentenza di condanna del tribunale di Qasr El Nil del Cairo, riprodotta sulla quarta di copertina. E l’autore può ora fregiarsene come se fosse una medaglia. Ma non trascuriamo che la dedica è ai genitori e ai blogger egiziani: sono questi ultimi che veicolano le informazioni per tutto il Paese, mentre i giornali e la televisione sono addomesticati dal regime. “I giornali… sono una delle nostre più grandi tragedie” dice il protagonista Shihab alla sua bella, la giornalista Dina. E quando lei cerca di infondere coraggio al vecchio Wannas ormai moribondo dicendogli: “Non aver paura, zio Wannas”, la sua risposta è davvero emblematica: “ahhh, se soltanto qualcuno me l’avesse detto sessant’anni fa…”. Metro si legge “al contrario” da destra a sinistra, come nei manga, per non “stravolgere l’equilibrio dei disegni”, spiega l’avvertenza. All’inizio può risultare un po’ scomodo, ma poi la storia prende il sopravvento e ci si dimentica del verso di lettura opposto all’abituale. La storia di Shihab è quella di milioni di giovani egiziani a cui non è offerta più una prospettiva di crescita, non solo economica, privati delle libertà più elementari, a cominciare da quelle di espressione e dissenso. Il tratto aspro e veloce di El Shafee arriva ai nostri occhi come uno schiaffo che ci apre gli occhi sulla violenza e sulla morte di giovani che per le strade si trovano divisi, ai versanti opposti delle barricate (come oggi tra manifestanti, poliziotti e soldati), ma sono accomunati dalla tragedia di un intero popolo. Metro è a tutti gli effetti un libro di storia. Speriamo che gli Egiziani possano scrivere insieme il prossimo capitolo, senza più censure.
    Metro è scritto e illustrato da Magdy al-Shafee (al-Šāfiʿī). Egli dice di sé che da piccolo avrebbe voluto fare il pittore e che studiava gli impressionisti, Modigliani e Kandiskij. Che si è poi ispirato a Hugo Pratt e al giovane romanziere egiziano Aḥmad al-ʿAydī, in particolare al buon vento nuovo della sua opera “Essere ʿAbbās al-ʿAbd”. Che la sua istanza si può ricondurre a quella di tutti coloro che reclamano il diritto del popolo alla libertà e ad una vita dignitosa, primo fra tutti Aḥmad ʿUrabī, che rivendicò già a fine XIX secolo “l’Egitto per gli egiziani”.
  • Metro, quando il romanzo predice la realtà

    | Mediterranea Online | Martedì 1 febbraio 2011 | Cristina Giudice |

    Presentata a Roma la traduzione della prima graphic novel araba, che annunciava con due anni di anticipo la rivolta egiziana di questi giorni.

    «Vogliamo dire addio a Mubarak e ai Fratelli insieme». È questo lo scopo della rivolta che sta sconvolgendo l’Egitto in questi giorni secondo Magdy alShafee, autore della graphic novelMetro”, uscita nel 2008 e immediatamente censurata dal governo egiziano e ritirata dal commercio perché, secondo la sentenza di condanna emessa dal tribunale di Qasr elNil del Cairo, «contiene immagini immorali e personaggi che assomigliano a uomini politici realmente esistenti».
    Il pubblico italiano potrà constatare la “fondatezza” delle accuse rivolte al libro, introvabile da tempo nelle librerie egiziane, grazie all’edizione pubblicata dalla casa “il Sirente” nella collana “Altriarabi”, presentata a Roma a dicembre.
    «Il comics non deve sempre raccontare storie di supereroi – ha detto l’autore – ma può essere uno strumento per parlare di temi sociali forti, impegnati. Quello che mi ha spinto a scrivere “Metro è l’assoluta mancanza di giustizia sociale del paese. Rispetto i valori della società in cui vivo, e sono favorevole alla diversità e al pluralismo, ma credo nella mia libertà e rispetto quella altrui: non permetto a nessuno di impormi delle regole». Parole che, lette sulla scia delle manifestazioni di massa che hanno risvegliato la coscienza popolare egiziana in questo periodo, sembrano avere un che di profetico.
    AlShafee è sceso in piazza in questi giorni unendosi ai dimostranti che chiedono la cacciata di Mubarak: «Rifiutiamo i cambiamenti che ha fatto Mubarak, come la nomina di Sleiman e Shafiq – ha dichiarato all’agenzia Aki – poiché provengono da quello stesso governo corrotto. Non li voglio io e non li vuole nessuno di coloro che aspirano al cambiamento».
    Ha accusato il Ministero dell’Interno del suo Paese di essere «dietro le operazioni di rapina e saccheggio compiute da alcuni elementi in questi giorni in Egitto», aggiungendo: «Sono loro i delinquenti che falsificavano le elezioni a loro favore». Ha chiesto «un governo di transizione guidato da Kamal alJanzuri, ex primo ministro che gode ancora di grande popolarità, per la durata di un anno, durante il quale si possa procedere a cambiare la costituzione e ad accrescere la consapevolezza della gente in senso democratico, in modo che possa scegliere i propri rappresentanti in base alle idee, ai programmi e alle promesse vere».
    La lettura di “Metro” può aiutare a capire quello che sta succedendo in Egitto, spiegando l’origine della rabbia popolare che ha spinto la gente a dire basta al regime. Il libro si propone come una novità assoluta, utilizzando le immagini al posto delle parole per far arrivare il messaggio in modo diretto e preciso. Il protagonista, Shihab, è un giovane programmatore indebitatosi fino al collo con un usuraio per colpa di un politico corrotto. Sentendosi ormai senza via di fuga, e dopo aver assistito all’omicidio dell’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo, Shihab decide di rapinare una banca insieme all’amico Mustafa, per trovarsi a sua volta intrappolato in una storia di corruzione politico-finanziaria. Shihab è il rappresentante di una generazione di milioni di giovani egiziani, capaci e motivati, che non riescono a realizzare i propri progetti a causa della corruzione dilagante nel paese e della crisi economica e politica che soffoca le loro intelligenze. Insieme a lui Dina, giornalista rivoluzionaria e coraggiosa che vorrebbe, come molti giornalisti in Egitto, gridare la verità e ribaltare il sistema senza aver paura di nascondersi; Mustafa il cui fratello, a causa della povertà in cui vivono, è diventato un picchiatore del regime; l’anziano lustrascarpe Wannas, portavoce di quella che è forse la parte più ai margini della società egiziana.
    I personaggi si muovono sullo sfondo delle fermate della metro cairota che intervallano la narrazione e la vita nella metropoli è descritta con assoluto realismo grazie ai disegni, in parte lasciati in arabo, che fotografano il Cairo in modo preciso: le strade di Wst elBalad, vicinissime all’ormai famosa piazza Tahrir, i camioncini della catena Cilantro, le insegne dell’Alfa Market, perfino le antiche statuette egizie nella stazione di Sadat e il poster della star del calcio locale Abu Treka. Addirittura le suonerie dei cellulari che sono adattate al proprietario! Una fotografia resa ancora più viva dall’uso della lingua: il dialetto egiziano della strada, lo slang più crudo e popolare, che ha procurato all’autore l’accusa di volgarità. In realtà invece quelle espressioni, che danno anche un tocco di comicità alle scene (caratteristico degli egiziani è il riuscire a trovare il lato comico anche nelle situazioni più tragiche), rendono se possibile ancora più realistica la storia. Ed è proprio questo forse che ha spaventato maggiormente la censura, poiché l’uso della lingua della gente comune rende il romanzo più accessibile a tutti.
    «Ho scelto di usare l’egiziano dei blog piuttosto che l’arabo classico – ha detto alShafee – perché credo che questo strumento linguistico porti avanti una piccola rivoluzione letteraria. La diffusione di internet ha portato ad una forte apertura nei confronti della realtà esterna e al desiderio di osservare e capire il proprio contesto in raffronto con il mondo intero, per provare a cambiare le cose». E a sostegno di quanto affermato dall’autore, la rivolta egiziana che sta chiedendo la cacciata di Mubarak è partita proprio dal popolo del web, attraverso un tamtam virtuale nato dalla gente comune, senza ideologie di parte né politiche né religiose, ma basato semplicemente sulla rivendicazione dei propri diritti, sul desiderio del popolo egiziano di riprendersi il proprio paese ormai soffocato dalla morsa della corruzione. L’Egitto sembrava essere arrivato ad un livello di rassegnazione tale da impedire qualsiasi forma di opposizione, così come dice lo stesso Shihab in “Metro”: «Le persone vivono come anestetizzate, non c’è niente che le colpisca. Per quante cose possano vedere, alla fine diranno sempre: fratello, questo è pur sempre il mio paese». E ancora: «I giornali sono una delle nostre più grandi tragedie… Intendevo giornali, televisione e tutte le altre cose che ci hanno abituati alla sottomissione, al fatto che la corruzione resterà tale e quale… all’oppressione, alle code per un pezzo di pane…». Alla fine però uno strumento semplice e a portata di tutti come internet è riuscito a far smuovere le masse, permettendo ai cittadini di esprimere la propria idea e condividerla con gli altri. Bastava che qualcuno desse il la perché altri riuscissero a prendere coraggio e credere davvero che il cambiamento fosse possibile. Così anche Shihab aggiunge: «Non mi faccio distrarre dalla cronaca… Non dimentico i veri responsabili!». E questo perché, come ha detto alShafee in questi giorni di rivolta, «quello egiziano è un popolo civile ricco di creatività, e questa è la sua caratteristica migliore».

  • L’amore ai tempi del petrolio

    Vita | Lunedì 31 gennaio 2011 | Lubna Ammoune |

    Viscoso e nero come il petrolio. Sembrerebbe questa la caratteristica peculiare di un amore presentato nel libro di Nawal al-Sa’dawi, scrittrice e psichiatra egiziana, conosciuta a livello internazionale per la sua battaglia in nome dei diritti delle donne e della democratizzazione nel mondo arabo. In questo suo romanzo, L’amore ai tempi del petrolio, l’autrice percorre una storia densa di mistero di una donna di cui non conosciamo il nome. La protagonista è un’archeologa che scompare senza lasciare traccia. Il suo viaggio, reale e allo stesso tempo visionario, si rivela come il percorso della mente e della coscienza di una donna che vive in un regno autoritario in cui tutto ciò che porta il genere femminile a interessi che esulano dalla casa è sintomo di una malattia psicologica. È un mondo in cui luminari della Terra non possono che essere uomini, e dunque è risaputo, anche se taciuto, il fatto che ci siano state falsificazioni storiche inerenti alla trasformazione delle dee in dei, come quando Abu al Haul prese con la forza il trono e ordinò che fossero rimossi i seni da una statua femminile perché venisse aggiunta la barba. La ricercatrice scompare e dall’indomani si legge la notizia sui giornali, perché nessuna donna ha mai osato abbandonare casa e marito, disobbedendo alle regole, tanto che la polizia si chiede se sia una ribelle o una donna dalla dubbia morale. Mentre il commissario interroga il marito della donna scomparsa per far luce sulle ragioni della fuga, l’archeologa ripensa al suo innamoramento. Si chiede se suo marito sia veramente suo marito. Pervasa da questo dubbio arriva a credere che l’avesse sposata forse in sua assenza, mentre il contratto era stato preparato senza di lei, perché la donna non è solita partecipare al proprio matrimonio. L’universo maschile si allarga e compaiono altre figure, tra cui il datore di lavoro della protagonista e l’uomo con cui decide di stare quando riappare e per il quale lascia il marito. Sembrano quasi macchie da cui la donna si sente però inspiegabilmente e istantaneamente attratta, respinta e distaccata. La sua fuga potrebbe portarla a ritrovare il suo orgoglio, le sue aspirazioni e la sua dignità. Questo scatto di autocoscienza e di formidabile introspezione si riflette e si allarga ad altre figure femminili che solo in quel momento capiscono che “non sono meritevoli di un diritto che prendono da mani che non sono loro” e che “hanno permesso a loro stesse delle condizioni che nemmeno gli animali accetterebbero”. Eppure l’archeologa continua a struggersi d’amore e non trova ancora un senso da conferire alla sua vita. Così, nella luce fioca di alcune notti in cui il progetto di scappare appare compiuto v’è qualcosa d’intralcio. Perché “fino a quando l’uomo avrà la capacità di ridere, la donna non avrà desiderio di scappare, almeno non questa notte…”.

  • Egitto, la rivolta prevista in un fumetto

    Il 25 gennaio 2011 la società civile egiziana manifesta per le strade dell’Egitto come mai si era visto negli ultimi 30 anni. In contemporanea con le manifestazioni che stanno sconvolgendo il mondo arabo, la casa editrice “il Sirente” pubblica il primo graphic novel del mondo arabo Metro” di Magdy El Shafee, che catapulta il lettore negli scontri tra polizia e manifestanti nelle piazze del Cairo e denuncia le ingiustizie, la corruzione, l’oppressione che il popolo egiziano subisce ogni giorno.

    Romanzo a fumetti, ambientato al Cairo, nel bel mezzo dell’insicurezza che investe la sfera finanziaria, ma non risparmia neanche quella sociale. Il protagonista è il signor Shihab, un software designer che, non riuscendo a pagare il debito contratto con uno strozzino, organizza una rapina in banca per risolvere definitivamente i problemi finanziari. Per realizzare l’impresa si avvarrà della complicità dell’amico Mustafà il quale lo lascerà a bocca asciutta e fuggirà con la refurtiva.
    “Metro” è un thriller, una storia d’amore e un romanzo politico metropolitano che si anima dietro le quinte e nei sotteranei dell’affascinante e decadente Cairo.

    Oltre a “Metro” la casa editrice il Sirente ha proposto un affresco dell’Egitto contemporaneo attraverso la sua letteratura più innovativa: dal best-seller Taxi” dell’autore Khaled Al Khamissi dove si raccontano gli ultimi 30 anni di storia egiziana attraverso le voci sagaci dei tassisti cairoti, ai sogni fantastici dei giovani egiziani raccontati dal blogger Ahmed Nàgi nel suo “Rogers, passando per l’oppressione descritta dalla dissidente Nawal al-Sa’dawi nel suo ultimo lavoro “L’amore ai tempi del petrolio.

    “Non ci bastano i cambiamenti decisi da Mubarak – afferma Magdy El Shafee in un’intervista da piazza Tahrir al Cairo, dove partecipa alle manifestazioni – non ci basta la nomina di Omar Suleiman come suo vice. Entrambe fanno parte dello stesso governo di corrotti. Noi vogliamo un cambiamento vero”. Il Cairo, 29 gen. – (Adnkronos/Aki)

    L’anziano rai’s Hosni Mubarak, con il suo sistema, ”ha ucciso i sogni dei giovani egiziani: per il futuro vogliamo piu’ sogni e meno corruzione”, afferma Khaled Al Khamissi. Il Cairo, 29 gen. – (Adnkronos/Aki)

  • Egitto: scrittore Al Khamissi, Mubarak ha ucciso i nostri sogni

    Egitto: scrittore Al Khamissi, Mubarak ha ucciso i nostri sogni

    | AKI ADNKronos | Sabato, 29 gennaio 2011 |

    L’anziano raìs Hosni Mubarak, con il suo sistema, ”ha ucciso i sogni dei giovani egiziani: per il futuro vogliamo piu’ sogni e meno corruzione”. Tra sogni infranti e speranze Khaled Al Khamissi, trai piu’ noti scrittori egiziani contemporanei, fino a ieri in piazza al Cairo a manifestare contro Mubarak insieme a migliaia di connazionali, parla ad AKI – ADNKRONOS INTERNATIONAL di ”cambiamenti tardivi” con cui Mubarak, dopo giorni di proteste, ha risposto alle richieste dei manifestanti egiziani: cambiamenti giudicati ”non sufficienti”. E, quindi, ”presto finirà l’era Mubarak”.
    Khamissi si dice convinto che ”se non sarà oggi e neanche domani, e’ solo questione di settimane o di qualche mese”. ”La storia della famiglia Mubarak alla presidenza dell’Egitto è già finita”, prosegue l’autore di ‘Taxi. Le strade del Cairo si raccontano‘, sottolineando come questa sia la ”conquista della rivoluzione” egiziana. Ma Mubarak non è solo una persona, è anche un sistema. E a questa osservazione, Al Khamissi risponde con la triste constatazione che ”purtroppo il sistema continuerà” a funzionare, almeno per un certo tempo, in modo simile a quello del passato. Tuttavia, afferma, la speranza e’ che ”almeno sparisca la corruzione, perche’ sinora c’è stato al potere un sistema completamente corrotto”.

  • Egitto, la rivolta prevista in un fumetto. Lo scrittore: ”Via Mubarak”

    | AKI ADNKronos | Sabato 29 gennaio 2011 |

    “Vogliamo dire addio a Mubarak, ma anche ai Fratelli Musulmani”. E’ con queste parole che lo scrittore egiziano Magdy El Shafee commenta ad AKI – ADNKRONOS INTERNATIONAL la rivolta in corso in Egitto contro il presidente Hosni Mubarak.
    “Non ci bastano i cambiamenti decisi da Mubarak – afferma in un’intervista da piazza Tahrir al Cairo, dove partecipa alle manifestazioni – non ci basta la nomina di Omar Suleiman come suo vice. Entrambe fanno parte dello stesso governo di corrotti. Noi vogliamo un cambiamento vero”.
    El Shafee, che lo scorso anno venne arrestato per ‘Metro‘, primo graphic novel del mondo arabo, la cui versione in italiano è anche su ‘YouTube’, aveva previsto per l’Egitto uno scenario simile a quello attuale. Per questo, lo scrittore chiede “che si formi un governo di transizione”, ma chiede anche ”le dimissioni di Mubarak in modo da poter cambiare la Costituzione e permettere al popolo di scegliere i suoi rappresentanti democraticamente”.

  • Il blogger e scrittore ahmed nagi: nessuna forza politica controlla la rivolta egiziana

    Nena News | Venerdì 28 gennaio 2011 | Azzurra Merignolo |

    Molti movimenti politici tradizionali stanno ora cercando di parlare a nome di questi dimostranti, ma non è affatto giusto perché non li rappresentano.

    Entusiasti del parziale successo ottenuto nei giorni precedenti anche oggi migliaia di egiziani manifesteranno in tutto il paese,  gridando le loro richieste a un regime che imperterrito non risponde.  “Il governo accende e spegne  a piacimento l’accesso a Facebook  e le connessioni internet, sperando così di contenere il propagarsi  di una rivolta, nata e organizzata nella sfera virtuale” dice Ahmed Nagi, –  celebre bloggers sin dai tempi di Kifaya, giornalista, scrittore di “Rogers”, ora tradotto anche in italiano, e giovane redattore di Akbar el Adab, il prestigioso settimanale letterario diretto da Gamal al- Ghitani.  

    Il giorno della collera é sfociato in una sommossa popolare, cosa succederà nei prossimi giorni sulle sponde del Nilo?
    Sinceramente, non lo so, vorrei poterlo predire, ma nessuno può dire con esattezza quello che accadrà nei prossimi giorni. Le manifestazioni che sono iniziate non sono controllate da nessuna forza politica. E’ anche questo quello che rende questa sommossa tanto particolare e, forse, incisiva. Le persone che sono scese in strada in tutto il paese sono cittadini ordinari, qualunque. Questo non vuole però dire che non ci troviamo davanti a un movimento che è al cento per cento politica, ha rivendicazioni socio-politiche e lotta per la creazione di un nuovo sistema politico.

    Cosa faranno i movimenti politici che hanno dato sostegno ai dimostranti, ma non hanno partecipato direttamente alle manifestazioni?
    Molti leader di questi movimenti hanno di fatto partecipato alle dimostrazioni, sono scesi in strada per opporsi al regime. Molti movimenti, i Fratelli musulmani e il Tagammu (il partito comunista)per esempio, stanno ora cercando di parlare a nome di questi dimostranti, ma non è affatto giusto perché non li rappresentano pienamente.  Anche se volessero prendere il controllo sui manifestanti, non potrebbero mai e poi mai riuscirci.

    Come sta reagendo il regime  a questo montare di collera popolare?
    Tutto quello che il governo sta facendo per neutralizzare e disarmare la sfera virtuale e’ un chiaro indicatore della paura che i leader del regime stanno provando. Anche le forze di polizia hanno paura e si legge il timore nei loro occhi. Il regime si trova a dover rispondere a una situazione che gli è sfuggita di mano e non ci è abituato.  La questione si sta facendo grossa. Io non ero ancora nato, ma chi è poco più grande di me mi racconta che scene simili non si vedevano dal 1972.

    Moltissime persone, egiziane e non, in tutto il mondo hanno dato origini a manifestazioni  in sostegno alla giornata della collera, questo supporto può essere incisivo?
    Tutti i media stanno coprendo in maniera non oggettiva gli avvenimenti che stanno accadendo nel l paese. Facendo così non fanno che sostenere indirettamente il regime. Il governo è terrorizzato dall’evolversi degli eventi, per questo ha deciso immediatamente di oscurare i social networks attraverso i quali gli attivisti stavano portando avanti la loro ribellione. Prima ha spento twetter e poi il rais ha staccato la spina  a Facebook. In alcuni quartieri, Shubra per esempio, é stata del tutto tagliata la connessione ad internet. Per questo motivo tutto il sostegno che possiamo ricevere dall’esterno è molto utile alla nostra causa e al proseguimento della sommossa.

    Martedì sera Hilary Clinton  chiesto al governo e ai manifestanti di usare moderazione dicendosi convinta della stabilità del regime di Mubarak e delle sue intenzioni di rispondere alle richieste avanzate dalla popolazione. Come sono state interpretate le parole del segretario di stato americano?
    Tutti quelli che erano a Midan al Tahrir  -piazza centrale del Cairo (ndr)- e hanno saputo cosa aveva detto il segretario di stato americano hanno avuto l’ennesima  conferma che gli Stati Uniti sono dalla parte de regime  e vogliono continuare a sostenerlo.  La polizia colpiva i manifestanti bombardandoli con lacrimogeni e gli Stati Uniti dicono che il regime cerca di rispondere alle nostre domande? E’ come se a lanciare quei lacrimogeni ci fossero stati loro. Hilary Clinton può ora dire quello che vuole, ma per gli egiziani il messaggio è molto chiaro: ci state bombardando.

  • Se il raìs non parla si scatenera il caos

    | Il Riformista | Venerdì 28 gennaio 2011 | a.m. |

    «Gli egiziani sono usciti dalle !oro caveme prigioni intellettuali e immaginarie che li tenevano costretti da anni. II futuro sara delle persone, del popolo» dice Magdi al-Shafee, autore di Metro, il primo romanzo a fumetti in lingua araba, ora tradotto in italiano. Nel 2008 Metro e stato sequestrato dalla polizia morale per alcune immagini considerate porno. Pili che peri corpi che metteva a nudo, Metro e stato ritirato dal commercio perché svelava Ia natura dispotica del regime egiziano e perche Shafee e uno di quei personaggi dei quali il regime vuole liberarsi: simpatizzante di “Kifaya”- movimento che gia nel2005 ha organizzato manifestazioni antigovemative e blogger attivo. Sono tantissimi quelli ehe so no scesi per strada e non ci si aspettava un tale numero, una rivolta storica? Si tratta di certo di un avvenimento storico, ci troviamo sui pun to di girare una pagina. Sembravamo un Paese addormentato e stiamo mostrando il contrario. Gia nel periodo di “Kifaya” avevamo cercato di farci vedere per opporci al presidente Mubarak e alia possibile candidatura di suo figlio Gamal. Nelle strade egiziane in questi giomi si vedono persone che gridano contro l’immagine del presidente e quella di suo figlio. Gli attivisti sono usciti allo scoperto non se lo aspettava nessuno questo successo. Prima che si spegnesse Facebook gli attivisti si sono dati appuntamento a venerdi dopo Ia preghiera. Come evolvera Ia sommossa? A prendere le strade sono stati degli attivisti, non dei movimenti politici. Ora ci sono dei politici che si stanno facendo avanti: i Fratelli Musulmani e il Movimento peril Cambiamento di Mohammed el Baradei. II seguito sara difficile, ma questi gruppi cercheranno di prendere in parte Ia testa della sommossa. II regime continua a non rispondere aile domande della popolazione e questo complica Ia situazione. In govemo non ha detto una parola a tutte le persone che sono scese in strada. Ma se il governo continua a tacere e probabile che si scateni il caos. La polizia non continuera in etemo a combattere contro i civili, potrebbe anche arrivare un momento nel quale questa finisce le sue azioni contro Ia popolazione e si unisce ai manifestanti. II presidente Ben Ali aveva cercato di parlare con i tunisini, il presidente Mubarak e invece terrorizzato dall’ idea di farlo. Ha paura della reazione popolare. Prima Twitter, poi Facebook . Passo dopo passo il governo sta staccando Ia spina agli internauti e tagliando le connessioni internet. E’ la sfera virtuale il primo nemico del regime? E’ decisamente un grosso nemico, perche pili difficile da controllare rispetto ad altri e con u?a gr~nde abilita di propagare i suoi messaggL Twitter e uno degli strumenti pili utili peri manifestanti perchC e molto pili immediato di Facebook, arriva ovunque e sene ha l’accesso anche sui cellulari. Questo perrnette ai manifestanti di comunicare tra di !oro e anche di mettersi in contatto con chi non e in strada, narrando cosa sta avvenendo. II regime quindi ha iniziato tagliando questo canale che none pen) scomparso del tutto perche Twitter funziona anche tramite i Blackberry e il regime questi non riesce a controllarli. Certo non sono in molti quelli che hanno il Blackberry, rna basta una sola persona tra molti manifestanti per diffondere le notizie.ll problema e stato l’intervento del govemo sulla copertura telefonica. A Suez ieri il regime ha reso del tutto impossibile Ia comunicazione telefonica, a Shubra e in altri sobborghi hanno tagliato I’ accesso a internet. Questo pen) sta creando problemi a! regime stesso. 

  • “Il labirinto di Putin” di Steve LeVine

    Mangialibri | Mercoledì 19 gennaio 2011 | Sara Camaiora |

    Novembre 2006, Alexander Livtinenko è una ex spia del KGB, in esilio politico a Londra da sei anni, fortemente critico nei confronti del premier russo Putin: dopo aver incontrato il ricco uomo d’affari Alekandre Lugovoi e l’amico Akhmed Zakayev e aver cenato fuori con la moglie  e il figlio, torna a casa lamentando dolori addominali, nausea e vomito. Sarà l’inizio dell’agonia da avvelenamento per polonio che lo condurrà alla morte. 23 ottobre 2002, teatro Dubrovka di Mosca: è in scena il secondo atto del musical “Nord Ost” quando irrompe nell’edificio un commando di terroristi ceceni, pronti a mettere sotto sequestro il teatro in cambio della conclusione della sanguinosa guerra in atto nel loro paese ad opera della Russia di Putin. Interviene anche la giornalista Anna Politkovskaya, il cui destino è tristemente famoso, all’epoca cronista della Novaya Gazeta e unico interlocutore ammesso dal leader del gruppo armato ceceno, precedendo l’imprevedibile reazione del governo russo: all’interno del teatro viene pompato del Fentanyl, un potente oppiaceo in grado di addormentare i presenti, nell’edificio, per permettere alle forze speciali nazionali di fare irruzione. Secondo stime ufficiali 39 dei terroristi furono uccisi da agenti russi insieme assieme a oltre 100 ostaggi. L’esercizio del potere di Putin vide anche un accanimento verso chi accumulò ingenti patrimoni durante l’era Eltsin: è il caso del magnate del petrolio Mikhail Khodorkovsky condannato ad otto anni di prigione mentre la sua compagnia venne statalizzata…
    Sembrano racconti degni di un cupo noir o peggio ancora di un thriller senza lieto fine: sono invece storie dalla Russia di Putin, raccontate con precisione giornalistica da un esperto reporter come l’americano Steve LaVine, a lungo corrispondente dall’ex Unione Sovietica per svariate testate. Il suo libro racconta la “morte in Russia”: come alla morte sia data in un certo senso poca importanza, o come chi vive, chi lavora, chi fa informazione in Russia sia totalmente assuefatto a tragedie talvolta dalla portata epocale, come quella del teatro Dubrovka, che ha visto una reazione governativa improponibile per ogni democrazia che si rispetti o che si ritenga tale. È attraverso queste vicende che nel lettore prende forma una nuova idea della Russia e delle forze che si stanno muovendo in Occidente. L’immaginario raffigurato, a tratti apocalittico, si basa su testimonianze  e fatti concreti, su cui il giornalista si può appoggiare fornendo un quadro tanto verosimile quanto avvilente. C’è poca analisi politica ma non era questo probabilmente l’obiettivo dell’autore: era piuttosto far riflettere attraverso l’esposizione dei fatti reali, arrivando a eventuali conclusioni solo a partire dal dato concreto. E le conclusioni spaventano, non poco.

  • Magdy El Shafee, censuré en Egypte, publié en Italie

    | BoDoï | Mercoledì 5 gennaio 2011 | Eloïse Fagard |

    Pour sa 3e édition en décembre dernier, le festival de la bande dessinée méditerranéenne de Cagliari (Sardaigne, Italie) accueillait Magdy El Shafee. L’artiste égyptien a publié en 2008 Metro, le premier roman graphique en arabe. Prix Unesco de la BD africaine, Metro raconte l’histoire d’un jeune informaticien qui décide de braquer une banque pour rembourser une dette contractée auprès de fonctionnaires corrompus. Le ton cru et sans complaisance de Magdy El Shafee lui a valu de sérieux problèmes avec la justice égyptienne, et tous les exemplaires de Metro ont été retirés de la vente. Aujourd’hui, en dehors de quelques extraits publiés en anglais sur Internet, on ne peut lire son œuvre qu’en italien. Rencontre avec un auteur engagé et enthousiaste.

    Pourquoi avoir choisi le format du roman graphique?
    Ce genre n’existait pas chez moi et, d’ailleurs, Metro est aussi la première production pour adultes du monde arabe: c’est sans doute pour cela qu’elle a rencontré autant de succès. Et aussi, peut-être, parce que son public était déjà prêt. En effet, beaucoup d’Egyptiens lisent des bandes dessinées du monde entier sur Internet. Depuis mon album, de nombreux auteurs se sont mis au roman graphique. Pour ma part, je me sens plus à l’aise dans une forme longue. J’ai commencé par écrire des strips mais, même si l’action est rapide, mon imagination fonctionne mieux dans le cadre d’un album long.

    Pourquoi avoir choisi d’évoquer le problème de la corruption dans Metro?
    J’avais besoin d’en parler : ce n’était pas un choix, mais une impulsion. La corruption et l’injustice sont des fléaux quotidiens en Egypte. Il faut évoquer les problèmes de société dans les bandes dessinées parce que les gens les lisent, elles sont accessibles. A cause de Metro, j’ai eu de gros soucis avec la justice égyptienne. Mais j’ai payé ma dette, maintenant tout est fini. On va le republier de manière plus ou moins clandestine, avec un partenaire libanais. Ce procès était ridicule.

    Comment se porte la BD en Egypte ?
    Il s’agit d’un art très populaire. Le marché est dominé par les grands noms comme Disney, DC et Marvel. Malgré tout, les productions locales tentent d’exister depuis les années 1950. Mais la jeune génération n’a pas assimilé l’héritage des grands noms du 9e art égyptien, comme Ellabad. Notre travail n’a pratiquement aucun lien avec celui de nos aînés. Le problème, en Egypte, c’est la liberté d’expression et de commerce. Hors période électorale, on peut s’exprimer relativement librement, même si on ne peut jamais parler de Moubarak et du régime. Heureusement, les blogueurs (comme metaHatem et Shennawi) peuvent franchir ces limites, de manière anonyme. La possibilité de s’exprimer sur Internet me remplit d’espoir, c’est une des meilleures nouvelles de ces dernières années.

    Quelles sont vos références en matière de bande dessinée ?
    Lors d’un passage à Paris, j’avais acheté chez les bouquinistes des exemplaires de Hara Kiri qui m’ont marqué. C’est aussi à Paris que j’ai découvert un de mes maîtres, Golo, au début des années 80; aujourd’hui il habite en Egypte, à Louxor. Deux artistes italiens ont aussi changé ma vision de la bande dessinée.Tout d’abord, Guido Crepax et sa série Valentina. J’ai regardé les images sans comprendre les textes, mais elles m’ont touché, car ce travail était très différent de ce que je connaissais jusqu’alors. Ensuite, Hugo Pratt pour le côté obscur. Avec lui, on explore la face cachée de la personnalité des héros.

    Pour l’instant, vous n’avez publié qu’en Italie. A-t-on a des chances de trouver un jour Metro en français ou en anglais ?
    Je viens de prendre un agent littéraire aux États-Unis, qui était un peu contrarié que Metro soit déjà sorti dans un autre pays. Pas moi! Car mon éditeur italien, il Sirente, se donne à fond pour moi et mon travail. J’aimerais être publié en France, mais je sais que le marché est difficile et surchargé.

    Quels sont vos projets ?
    Je suis en train d’écrire un autre roman graphique. J’ai aussi fondé un magazine de bandes dessinées, Il cartoonista, qui sortira bientôt. Notre but est de faire émerger la production en Egypte et de faire connaître de nouveaux auteurs. Car les jeunes talents ne manquent pas chez nous.

  • Metro, il fumetto censurato in Egitto

    | Gariwo | Sabato 25 dicembre 2010 |

    Il fumetto di Magdy El Shafee viene pubblicato al Cairo nel 2008, stampato in poche migliaia di copie immediatamente censurate. Metro è la prima graphic novel del Paese e racconta la realtà egiziana utilizzando il dialetto, la lingua parlata dalla gente in un contesto dove metà della popolazione è semi-analfabeta. A fine novembre uscirà anche in Italia con la case editrice il Sirente.
    Il fumetto descrive la vita frenetica di una capitale africana dove le fermate della metropolitana sono intitolate a uomini simbolo della storia egiziana. Nel 2008 per immagini e contenuti troppo spinti l’autore e l’editore sono stati condannati alla distruzione di tutte le copie del volume.

  • Il fumetto che denuda il regime del Faraone

    | Europa | Martedì 14 dicembre 2010 | Tiziana Barrucci |

    In Egitto un giovane blogger e disegnatore finisce in tribunale per le sue strisce irriverenti nei confronti del governo. Sequestrato il suo libro Metro

    «Le persone vivono come anestetizzate, non c’è niente che le colpisca. Per quante cose possano vedere, alla fine diranno sempre: fratello, questo è pur sempre il mio paese». Ha qualcosa che potremmo condividere anche noi italiani l’amara riflessione dell’ingegnere Shihab, protagonista del primo graphic novel egiziano “Metro”, scritto in arabo dall’esordiente Magdy el Shafee e uscito da qualche giorno anche nelle nostre librerie (edizione il Sirente, 15,00 euro).
    Metro” è la storia di un giovane ingegnere capace e intelligente, ma schiacciato da una realtà senza mobilità sociale e senza meritocrazia. Un giovane che vuole scappare da quella «trappola aperta, in cui siamo rinchiusi solo perché nessuno ha mai provato a uscire». Ma è anche la storia d’amore con la bella e rivoluzionaria giornalista Dina, la storia di un omicidio, di un furto miliardario, di una manifestazione repressa nel sangue, di Mustafa e di suo fratello Wael, costretto dalla povertà a diventare un picchiatore del regime. Proprio il regime, con la corruzione politica, l’oppressione e gli intrighi nascosti, diventa l’altro protagonista di un intreccio che si sviluppa nella caotica Cairo.
    Sullo sfondo, la linea della metropolitana, con le fermate dedicate ai presidenti egiziani.
    Una storia accattivante che trae la sua grinta anche dal linguaggio usato: i dialoghi sono scritti in “ammeya” il dialetto egiziano, e quindi ancora più vicini alle strade della capitale. I disegni in bianco e nero raccontano più di tante parole il moderno paese delle piramidi. Il tratto, inizialmente ben deciso, diventa progressivamente sfumato, a simboleggiare una città in dissoluzione che molti non vorrebbero raccontare: a pochi giorni dalla sua pubblicazione il fumetto è stato infatti ritirato dalla vendita e oggi in Egitto è impossibile trovarlo. Una scena di sesso, ma soprattutto dei contenuti ritenuti politicamente scorretti gli sono costati un processo e una condanna pecuniaria pesante. Nel verbale di denuncia si legge che alcuni personaggi di “Metro” possono rassomigliare a uomini politici esistenti. Peccato che quando l’avvocato di el Shafee ha chiesto durante l’udienza, di quali politici si trattasse, l’ufficiale è rimasto in silenzio: troppo pericoloso fare i nomi per davvero.
    El Shafee è un blogger che ama disegnare e ama la libertà. Inizia a collaborare con il quotidiano indipendente el Dostur e pubblica alcune strisce di successo. Nel frattempo, assieme ad altri egiziani desiderosi di giustizia, usa internet e le manifestazioni per fare opposizione al regime. Fino a quando decide che la storia dell’Egitto contemporaneo deve essere raccontata. Alla sua maniera, attraverso i disegni. Vede la luce “Metro”. È la primavera del 2008, il fumetto è stato pubblicato da neanche un mese e la polizia fa irruzione nella sede della casa editrice Malameh. Vorrebbe parlare con l’editore Muhammed Sharqawi, che però è già nelle carceri del raìs con l’accusa di aver fomentato lo sciopero del 6 aprile, contro il carovita e i salari da fame.
    Anche l’autore el Shafee è ricercato, non sa cosa fare. Potrebbe scappare, ma poi segue il consiglio della moglie e si presenta alla polizia. «In quelle ore mia moglie mi ha detto qualcosa che ricorderò per sempre – racconta – costituisciti, e se sarai incarcerato io sarò ancora più fiera di te».
    Oggi el Shafee è un uomo libero. A Roma, assieme al suo traduttore Ernesto Pagano, che lo ha scoperto quasi per caso, ha presentato il suo fumetto. Grazie a “Metro” oggi sappiamo qualcosa in più dell’Egitto, il nostro primo partner economico al di là del Mediterraneo.
  • Metro Madgy El Shafee

    | Ziguline | Sabato 11 dicembre 2010 | Valentina A. |

    Oggi vi presentiamo Metro, una grafic novel dell’autore egiziano Magdy El Shafee. Metro è stato pubblicato per la prima volta in Egitto nel 2009 e dopo soli tre mesi è stata ritirata ogni copia dalle librerie per oscenità e scene violente. Qualche giorno fa si è svolta a Roma la presentazione dell’edizione italiana del romanzo e l’autore ha raccontato al pubblico presente le vicissitudini del suo Metro. L’unicità di questo romanzo è quella di essere la prima grafic novel del mondo arabo,  nata in un paese in cui non esiste una vera tradizione fumettistica. Protagonista del romanzo è Shihab, un software designer che, non riuscendo a pagare il debito contratto con uno strozzino, organizza una rapina in banca per risolvere definitivamente i suoi problemi finanziari. Per realizzare l’impresa si avvarrà della complicità dell’amico Mustafa il quale lo lascerà a bocca asciutta e fuggirà con la refurtiva. Sullo sfondo di questa vicenda scorre Il Cairo, con i suoi rumori e in particolare con quelli di una manifestazione di lavoratori avvenuta il 6 aprile 2008, che ha dato vita ad un movimento di protesta giovanile, diffuso in rete attraverso i numerosi blog attivi nel paese. Nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni, cadenzati, dalle fermate della metro che portano il nome dei presidenti egiziani Nasser, Sadat e Mubarak. Metro è un thriller, una storia d’amore e un romanzo politico metropolitano che si anima dietro le quinte e nei sotterranei dell’affascinante e decadente Il Cairo. Buona lettura.

  • “Metro” la graphic novel che fa paura al potere egiziano

    | Liberazione | Venerdì 10 dicembre 2010 | Guido Caldiron |

    Il disegnatore Magdi El Shafee presenta in questi giorni in Italia la sua opera.
    Nell’Egitto di Mubarak anche i fumetti fanno paura. il regime che proprio in questi giorni ha dato una nuova prova della sua resistenza a procedere nella direzione di una democratizzazione delle istituzioni e della società, escludendo dal voto per le elezioni politiche gran parte dell’opposizione, è sceso in guerra contro una graphic novel mettendo in moto la macchina della censura e della repressione.
    Questo almeno è quanto accaduto a Magdy El Shafee, un giovane disegnatore che si è trasformato in uno degli autori più apprezzati del paese. Nato al Cairo nel 1972, El Shafee ha debuttato nel fumetto in occcasione del Comic Workshop Egypt che si è svolto nella capitale egiziana nel 2001 e ha pubblicato nel 2008 la graphic novel Metro, oggi tradotta nel nostro paese nell’ambito della collana “Altriarabi” dell’editrice il Sirente (pp. 80, euro 15,00), che gli è costata parecchi guai con la giustizia del suo paese.
    Il fumetto, un crudo thriller metropolitano che alterna in un livido bianco e nero tratti raffinati quasi fotografici a schizzi volutamente sporchi e stradaioli, racconta la storia di Shehab, un giovane programmatore di computer che si lascia coinvolgere da un politico corrotto in una rapina, proponendo anche una riflessione sulle trasformazioni conosciute dalla società egiziana, riassunte simbolicamente nelle stazioni della metropolitana cairota che portano il nome dei leadwer e dei presidenti che si sono succeduti nell’ultimo mezzo secolo: da Nasser a Mubarak passando per Sadat.
    Con l’accusa di utilizzare un linguaggio “troppo spinto”, Metro è stato dapprima ritirato dalla vendita, quindi il suo autore ha dovuto subire un processo: Magdy El Shafee è così comparso il 4 aprile 2008 davanti al Tribunale del Cairo; accanto a lui, sul banco degli imputati, il suo editore, Mohamed Sharqawi. Alla fine il disegnatore è stato condannato a pagare una multa e tutte le copie in circolazione della graphic novel sono state distrutte. «Il motivo ufficiale – spiega El Shafee – è che la polizia morale ha trovato il linguaggio usato nel fumetto troppo spinto. Tuttavia basta passeggiare in Piazza Ramses al Cairo per rendersi conto che il linguaggio quotidiano egiziano sia ben più spinto. La realtà è che il riferimento alla persona del politico corrotto non è visto come puramente casuale…». «L’aministrazione nazionale e religiosa egiziana non hanno la cultura del dibattito –- spiega ancora il disegnatore –: quando una cosa non gli piace esigono la censura immediata».
    Magdy el Shafee, che in questi giorni è nel nostro paese per presentare la sua opera, dopo aver partecipato all’inizio del mese al Festival del fumetto Mediterraneo, il Nues, che si è svolto a Cagliari –  questa sera alle 20,30 sarà all’Oblomov di via Macerata 58, nel quartiere del Pigneto a Roma – racconta come abbia sempre amato «i fumetti come mezzo di espressione, non solo come disegno. Da bambino Superman e Tintin erano le mie letture ideali e quando, all’età di 15-16 anni, ho letto una storia di Hugo Pratt è stata per me una meravigliosa sorpresa: l’eroe del fumetto non doveva essere per forza un modello pieno di virtù… Così decisi che non sarei diventato un bravo pittore e che avrei fatto di tutto per diventare invece un fumettista».

     

  • Metro, di Magdy el-Shafee

    | Arabismo.it | Venerdì 10 dicembre 2010 | Alessandra Fabbretti |

    Magdy el-Shafee, al suo esordio nel mondo della letteratura impegnata e d’avanguardia, stupisce il mondo arabo – e non solo- con una creazione tanto originale quanto affascinante: Metro. Il primo graphic novel mai realizzato nel mondo arabo, edito in Italia da il Sirente, ci lancia all’inseguimento caotico di personaggi, eventi e situazioni che ci parlano di una città border line tra vecchio e moderno, tra le affollate e rumorose strade del Cairo, anche quelle sotterranee della metropolitana, in cui i nomi delle fermate lanciano un chiaro messaggio: Saad Zaaghloul, Nasser, Sadat e Mubarak.
    Shibab, il protagonista, è un brillante informatico che spera di raggiungere soldi e successo attraverso i suoi programmi: non ha fatto i conti però con la realtà in cui vive, e il suo sogno degenera presto in un incubo. Debiti, minacce e persino un creditore particolarmente agguerrito che gli lancia contro suoi scagnozzi diventano refrain della sua vita quotidiana. L’impossibilità di uscire dalla trappola in cui è caduto – e le cui fila sono tessute dalla stessa società egiziana, profondamente corrotta e clientelistica- lo persuade a rapinare una banca. Ma i guai non finiscono certo qui: delitti, inseguimenti, tradimenti e manifestazioni decisamente movimentate ritmano la seconda parte della storia, che si concluderà con un finale non bello, ma sicuramente sereno, in cui è possibile intravedere un flebile barlume di speranza.
    Intervistato durante la prima romana del libro organizzata dall’Associazione Culturale Arabismo nell’ambito della rassegna Arabismo al Caffè, lo scorso 7 dicembre, Magdy racconta la sua graduale evoluzione da anonimo farmacista a vignettista impegnato. Dopo aver frequentato un seminario sul fumetto alla American University nel 2001, Magdy entra in contatto col quotidiano indipendente Dustur e inizia a pubblicare strisce di satira politica. Metro arriverà solo nel 2008. Profondamente influenzato dai modelli occidentali quali Superman e Corto Maltese, il tratto di questo promettente disegnatore è rapido, deciso e frammentato: come la società cairota sta lentamente perdendo speranze e voglia di combattere, così sulle tavole di Metro i personaggi sono rappresentati a metà, in modo solo parzialmente ben definito. Quel poco che l’autore lascia assaggiare della sua arte permette di notare una certa sicurezza, ma il resto, ossia le parti sgranate o confuse, rivelano molto di un altro protagonista di questo lavoro: il Cairo, con le sue molteplici contraddizioni che sgretolano il tessuto sociale e le relazioni tra gli individui. Proprio a causa della sincerità con cui Magdy el-Shafee critica il modus operandi di politici e poliziotti in Egitto, ha subìto una condanna molto pesante da parte di un tribunale che lo ha multato e ha disposto la distruzione di tutte le copie del libro.

    “Magdy, pensi che il regime si senta minacciato da opere come la tua?” chiediamo all’autore nel corso del nostro incontro.
    “No, non credo sia esatto parlare di minaccia” risponde el-Shafee. “L’arte, qualunque sia il canale che scelga per esprimersi, sia esso la letteratura, la pittura, la musica e persino il fumetto, non vuole mai minacciare, bensì raccontare qualcosa. Non si pone mai come obbiettivo di ribaltare le cose. Se poi ci riesce, è un altro discorso.”

    “Il tuo racconto ricalca un po’ i fatti del 6 aprile. La gente allora subì una scossa, fu un punto di svolta per la costruzione della consapevolezza collettiva: non sei d’accordo? Perché nel tuo libro accusi le persone di essere “anestetizzate” agli eventi che le circondano?”
    “I fatti del 6 aprile sono stati un momento molto importante per l’Egitto, soprattutto per le grandi metropoli come il Cairo ed Alessandria, ma la strada verso la consapevolezza piena è molto lunga. Credo che manchi ancora molto, ed è difficile fare una previsione esatta.”

    “Pubblicando questo libro non hai temuto di mettere in qualche modo in pericolo la tua famiglia?”
    “Ricordo ancora il giorno in cui arrivò la convocazione da parte della questura. Io naturalmente ero molto agitato e temevo che mi avrebbero fermato. Fu allora che mia moglie mi guardò dritto negli occhi e mi disse che mi avrebbe accompagnato, e aggiunse che se mi avessero arrestato, in quel momento lei si sarebbe sentita la moglie più fiera e orgogliosa d’Egitto, e mi sarebbe rimasta accanto in ogni caso.”

    “Nel romanzo, Dina è la giovane giornalista che partecipa con entusiasmo a tutte le manifestazioni di protesta mentre Shihab è più disilluso, le evita e cerca di convincere l’amica a non andare. Tu con quale dei tuoi protagonisti stai?”
    “Con Dina, naturalmente. È vero che le manifestazioni sono pericolose e si rischia molto, ma lo considero un modo per far parlare la gente, per esprimersi contro quello che non piace. Anche se forse non servono a cambiare le cose, non smetterò mai di crederci.”

    “Di fronte a Metro anche gli altri paesi del mondo arabo hanno reagito come l’Egitto?”
    “No, non tutti, devo ammettere che ha suscitato grande interesse, e vari paesi lo hanno stampato e diffuso con entusiasmo. Tra questi soprattutto Qatar e Libano. Questo fatto mi ha molto colpito e rallegrato.”

    “Dopo i guai che hai passato a causa di Metro, ti sei scoraggiato oppure sei pronto a scrivere e disegnare ancora?”
    “Se Dio vuole, continuerò il mio lavoro. Non mi sento scoraggiato, anzi è il contrario. Perciò riprenderò presto a disegnare.”

  • Si chiama ”Metro”, la prima contestatissima graphic novel

    | Radio3Mondo | Mercoledì 8 dicembre 2010 | a cura di Cristiana Castellotti |

    Si chiama ”Metro”, la prima contestatissima graphic novel del giovane fumettista egiziano. Per le immagini contenute, considerate troppo spinte, autore e editore sono stati processati e condannati alla distruzione di tutte le copie del volume. Come funziona la censura in Egitto? Lo chiediamo a  Magdi El Shafee, autore di Metro, il Sirente.

  • Magdy El-Shafee a Nues, fumetti per il Mediterraneo

    | afNews | Mercoledì 8 dicembre 2010 | Gatto Zeneise |

    Ospite in questi giorni a Cagliari nell’ambito del III. festival internazionale Nues-fumetti e cartoni nel  Mediterraneo (www.nues.it), tra gli altri c’ anche  il discusso autore egiziano Magdy El-Shafee, del cui processo in patria contro la sua graphic novel ‘METRO avevamo già accennato in post precedenti. Accusato dalle autorità di utilizzare un linguaggio ‘osceno’ (e addirittura blasfemo(!), che nel 2010 è ancora un ottimo espediente per screditare le persone…non solo in Egitto!), in realtà il fumetto in questione avrebbe la vera colpa di gettare uno sguardo impietoso sull’attuale società egiziana, tra disoccupazione e corruzione, cinismo e dissoluzione dei costumi…insomma, tutto il mondo è paese, giusto? L’editore di El-Shafee fu vittima anche di intimidazioni e pestaggi da parte della polizia, e dopo molti rinvii dovuti all’inaspettata sollevazione popolare e intellettuale lèvatasi in tutto il mondo a favore dell’opera (efficacissimo l’appello via web dell’autore, capace di sensibilizzare l’opinione pubblica prima che i censori potessero tentare di ‘oscurare’ la vicenda) il processo si è concluso con la condanna alla distruzione di tutte le copie dell’opera e al pagamento di una multa di 5000 lire egiziane (700 euro ca.); ma ormai l’enorme richiamo suscitato in tutto il mondo dalla graphic novel ne consentirà la traduzione e la pubblicazione anche negli USA e in Europa. In un’intervista l’autore però dichiara di voler continuare a lavorare nel suo Paese, sperando che l’attenzione ottenuta sul tema della libertà d’espressione porti ad un maggiore dibattito e confronto sulle problematiche sociali che appaiono nel fumetto, e che fanno comunque parte della normale evoluzione di qualsiasi società. El-Shafee desidera tornare ai proprio progetti, non limitati al genere ‘di denuncia’ pur se sempre animati da un sincero desiderio di rinnovamento, tra cui una sorta di storia dell’Egitto attraverso le donne incontrare e amate nella sua vita. Maazel tov!!!

  • Nues 2010 ospita Magdy El Shafee

    | Mediterraneo | Martedì 7 dicembre 2010 | Sabino Pignataro |

    Artista, autore di fumetti ed illustratore egiziano. Amante dell’arte in generale e del fumetto in particolare, ha cominciato ufficialmente la sua carriera di fumettista nel 2001, in occasione del Comic Workshop Egypt, tenutosi presso l’Università Americana del Cairo. Si è inserito nel filone narrativo del realismo sociale, ambientando le sue opere nei luoghi più tradizionali del Cairo e descrivendo gli aspetti della vita popolare cairota per affrontare i temi caldi dell’Egitto: politica, economia, sanità, istruzione e povertà.
    Nel 2008, con le edizioni Dar Merif, pubblica Metro, una graphic-novel che racconta la storia di Shihab, un giovane ed esperto programmatore di computer che, non potendo pagare un debito contratto con un usuraio, si lascia trascinare da un politico corrotto in una rapina in banca.
    Metro è diventata un caso clamoroso, quando il Governo ne ha ordinato la confisca dalle librerie e ha aperto un processo nei confronti dell’autore e del suo editore, accusati di usare un linguaggio troppo spinto. In realtà, la censura riguarda più in generale i contenuti dell’opera, che propone un’aperta critica sociale, rappresentando il recente movimento democratico egiziano e descrivendo le gravi conseguenze di qualsiasi attivismo politico. Infatti, alla fine, il processo si è concluso con la condanna alla distruzione di tutte le copie dell’opera e al pagamento di una multa di 5.000 lire egiziane (circa 700 euro).

  • El Shafee il vignettista più censurato d’Egitto

    | Il Giornale | Martedì 7 dicembre 2010 | Matteo Sacchi |

    Lui si chiama Magdy El Shafee e appena ha messo piede in Italia (ospite ieri di punta di Nues, il Festival internazionale del fumetto Mediterraneo organizzato da Bepi Vigna) ha detto: «È un’emozione grandissima essere nella terra che ha dato i natali ai miei maestri, Milo Manara, Dino Battaglia, Hugo Pratt, Eleuteri Serpieri». E anche noi dovremmo essere onorati di averlo qui, perché anche se a molti italiani il suo nome non dice molto, è uno dei fumettisti più bravi di tutto il Medio oriente. E anche uno dei più coraggiosi visto che i suoi fumetti sono finiti pesantemente sotto il tiro della censura egiziana. Infatti al Cairo, sua città natale, non si trova una sola copia (a meno che non sia clandestina) della sua prima graphic novel, Metro. Il motivo? Questo lavoro pubblicato nel 2008 raccontava con piglio feroce e realistico la vita sotterranea della capitale di Mubarak, denunciandone le ingiustizie sociali e mettendo il dito nella piaga del dispotismo del potere politico (che caratterizza molti stati arabi). Eccone in soldoni la trama. Il protagonista è Shihab, software designer che, complice la crisi economica, non può pagare un debito contratto con uno strozzino e che organizza una rapina in banca per risolvere definitivamente i suoi problemi finanziari. Per realizzare l’impresa criminale si avvarrà di un amico: Mustafà. Quello però lo tradisce e fugge con tutta la refurtiva. Shihab si trova così in un vortice di corruzione politica e finanziaria, trovando l’unica consolazione, molto carnale, nella giornalista Dina. Una trama che per un fumetto occidentale non ha nulla di scabroso ma che a El Shafee e al suo editore, Mohamed Sharqawi, è costata un processo e la condanna alla distruzione di tutte le copie per alcune immagini considerate pornografiche e personaggi troppo rispondenti alle caratteristiche di reali uomini politici. Il fumetto ha avuto però grande successo in Europa e in Italia è stato pubblicato dal piccolo editore il Sirente. El Shafee ne è felice ma dice: «Non pensavo di sollevare un tale vespaio, ma censura e condanna a parte, mi ha molto rincuorato la solidarietà ricevuta… mi ha spinto a restare nel mio Paese». Tanto che del processo subito ricorda soprattutto questo: «Mi è rimasta impressa un’immagine di quella giornata: il volto stupito del giudice, persona peraltro educata e gentile, di fronte a tutta quella folla venuta a sostenermi. Era come se il desiderio di libertà delle persone riuscisse a sconfiggere anche la censura».

  • Magdy, graphic novel contro il potere

    | La Nuova Sardegna | Martedì 7 dicembre 2010 | Spettacolo |

    «E’ un’emozione grandissima essere nella terra che ha dato i natali ai miei maestri, Milo Manara, Dino Battaglia, Hugo Pratt, Eleuteri Serpieri». E’ per la prima volta in Italia Magdy El Shafee, il fumettista egiziano censuratissimo dal governo di Mubarak.  In Egitto non si trova una sola copia della sua prima graphic novel egiziana, «Metro». Ambientata in una Cairo sotterranea, denuncia le ingiustizie e svela la natura dispotica del potere. Lui e il suo editore, Mohamed Sharqawi, sono stati processati e condannati alla distruzione di tutte le copie per alcune immagini considerate pornografiche e personaggi troppo rispondenti a reali uomini politici. Il suo viaggio è partito dal «Nues», il Festival internazionale del fumetto Mediterraneo organizzato dal vignettista Bepi Vigna. Al pubblico ha presentato l’edizione italiana del «Romanzo a fumetti» edita da il Sirente. «Non pensavo di sollevare un tale vespaio, ma censura e condanna a parte, mi ha molto rincuorato la solidarietà ricevuta, intellettuali, blogger, gente del popolo e donne in prima linea, mi ha spinto a restare nel mio paese. Sostegno e attestati di stima sono giunti anche da altri Paesi di cultura araba, Kuwait, Emirati, Paesi del Golfo, Libano. Sono grato all’Italia che lo ha tradotto e ai tanti che ne hanno parlato nei blog e siti internet». Nel suo blog «For global Voice» una sua sostenitrice ha scritto: «se resti indifferente di fronte a chi subisce un’ingiustizia, se domani capita a te nessuno interviene». Un messaggio forte che ha scosso le coscienze di tanti. Tanto che una marea di persone con la loro presenza in tribunale al Cairo ha voluto testimoniargli solidarietà. «Mi è rimasta impressa un’immagine di quella giornata: il volto stupito del giudice, persona peraltro educata e gentile, di fronte a tutta quella folla. Era come se il desiderio di libertà delle persone riuscisse a sconfiggere anche la censura». Per il futuro Magdy ha un sogno. «Mi piacerebbe che l’Egitto non balzasse alle cronache internazionali sempre con storie di possibili brogli alle elezioni. Vorrei che i nostri governati non si accanissero sempre con la repressione e pensassero al benessere dei cittadini. Perchè l’Egitto libero significa soprattutto far emergere le migliori qualità degli egiziani. Un grande popolo di persone creative e con la pace nel cuore». Scherzando sul caso Ruby, presunta nipote di Mubarak ha ipotizzato una striscia con Mubarak che chiama il premier. «Bravo, sei stato in gamba, hai vinto il primo round. Ora per il secondo devi preparare tuo figlio»

  • Fumetti pericolosi

    | Centro Studi Africani in Sardegna | Lunedì 6 dicembre 2010 | Marcella Dalla Cia e Filippo Petrucci |

    Metro è la In Europa diamo tutto sempre per scontato: libertà di parola, di scrittura, di disegno. E invece questi sono diritti che in qualche modo siamo riusciti nel corso dei secoli a ottenere. C’è chi deve ancora sostenere queste lotte e si ritrova a farlo proprio per un disegno. Il 4 dicembre a Cagliari, nel corso di “Nues, Festival internazionale di fumetti e cartoni nel Mediterraneo”, Magdy El Shafee ha presentato il suo Metro, un graphic novel ambientato al Il Cairo, il primo romanzo grafico egiziano, condannato in patria perché “contiene immagini immorali e personaggi che somigliano a uomini politici realmente esistiti”. In realtà ha semplicemente qualche nudo, ma il problema è soprattutto che descrive la vita della capitale egiziana, con disegni e testi considerati troppo realistici e fin troppo critici per la dittatura di Mubarak.
    Metro arriva oggi in Italia, pubblicato dalle edizioni il Sirente dopo una fugace apparizione in Egitto: fugace perché è stato ritirato pochi mesi dopo la sua pubblicazione e tutte le copie sono state prima sequestrate e poi distrutte. Il processo ha impegnato l’autore e l’editore per due anni, dal 2008 e si è risolto solo di recente con una multa pesante ma fortunatamente senza condanne alla galera.
    L’edizione italiana è la prima a vedere la luce dopo il tentativo di stampa in Egitto (presto sarà disponibile anche una versione inglese): grazie alla fedele traduzione di Ernesto Pagano, che ha vissuto diversi anni al Cairo, si percepisce come il libro fosse in origine scritto secondo due registri, l’arabo classico, considerato aulico, e lo slang della strada.
    Malgrado tutti i problemi che ha dovuto affrontare Magdy El Shafee è sorridente e disponibile.
    Non si nega, confronta la propria opera con quella di altrettanti colleghi che animano la scena del fumetto in Egitto e nel Vicino e Medio  Oriente, porta degli esempi di vita vissuta e di incontri, di un paese in cui c’è ancora tanto da costruire e lo si vuole fare insieme.
    La voglia è quella di raccontare la propria opera, mostrare il suo lavoro, le tavole che parlano de Il Cairo, dell’umanità che vi si muove e che appare molto simile a quella delle altre metropoli mondiali e molto lontana dagli stereotipi tradizionali. Raccontare storie, liberamente, senza aver paura di ritrovarsi un giorno in carcere perché si è scritto troppo.

  • Fumetti: censurato al Cairo, ora rivincita in Italia

    | ANSAmed | Lunedì 6 dicembre 2010 | Maria Grazia Marilotti |

    ”E’ un’emozione grandissima essere nella terra che ha dato i natali ai miei maestri, Milo Manara, Dino Battaglia, Hugo Pratt, Eleuteri Serpieri”. E’ per la prima volta in Italia Magdy El Shafee, il fumettista egiziano censuratissimo dal governo di Mubarak. In Egitto non si trova una sola copia della sua prima graphic novel egiziana, Metro.
    Ambientata in una Cairo sotterranea, denuncia le ingiustizie e svela la natura dispotica del potere. Lui e il suo editore, Mohamed Sharqawi, sono stati processati e condannati alla distruzione di tutte le copie per alcune immagini considerate pornografiche e personaggi troppo rispondenti a reali uomini politici.
    Il suo viaggio e’ partito da Cagliari, ospite di punta di Nues, il Festival internazionale del fumetto Mediterraneo organizzato dal vignettista sardo Bepi Vigna. Al pubblico ha presentato l’edizione italiana del ”Romanzo a fumetti” edita da il Sirente. ”Non pensavo di sollevare un tale vespaio, ma censura e condanna a parte, mi ha molto rincuorato la solidarieta’ ricevuta, intellettuali, blogger, gente del popolo e donne in prima linea, mi ha spinto a restare nel mio paese – racconta l’autore all’ANSA mentre passeggia per la Marina, storico quartiere cagliaritano – Sostegno e attestati di stima sono giunti anche da altri Paesi di cultura araba, Kuwait, Emirati, Paesi del Golfo, Libano. Sono grato all’Italia che lo ha tradotto e ai tanti che ne hanno parlato nei blog e siti internet”. Nel suo blog ‘For global Voice’ una sua sostenitrice ha scritto: ”se resti indifferente di fronte a chi subisce un’ingiustizia, se domani capita a te nessuno interviene”. Un messaggio forte che ha scosso le coscienze di tanti. Tanto che una marea di persone con la loro presenza in tribunale al Cairo ha voluto testimoniargli solidarieta’. ”Mi è rimasta impressa un’immagine di quella giornata: il volto stupito del giudice, persona peraltro educata e gentile, di fronte a tutta quella folla. Era come se il desiderio di liberta’ delle persone riuscisse a sconfiggere anche la censura”.
    Ha tanti sogni Magdy, ma quello che vorrebbe vedere realizzato per primo e’ svegliarsi un giorno e trovarsi in un Paese dove non campeggi piu’ l’immagine di Mubarak come il simbolo dell’Egitto, un Paese con meno corruzione e ingiustizie.
    ”Mi piacerebbe che l’Egitto non balzasse alle cronache internazionali sempre con storie di possibili brogli alle elezioni. Vorrei che i nostri governati non si accanissero sempre con la repressione e pensassero al benessere dei cittadini. Perche’ l’Egitto libero significa soprattutto far emergere le migliori qualita’ degli egiziani. Un grande popolo di persone creative e con la pace nel cuore”. Durante l’intervista ha scherzato sulla vicenda di Ruby, presunta nipote di Mubarak: ”immagino una striscia con Mubarak che chiama al telefono Berlusconi. ‘Pronto Silvio, bravo, sei stato in gamba, hai vinto il primo round. Ora per il secondo devi preparare tuo figlio Piersilvio”.

  • Rogers e la Via del Drago divorato dal Sole

    | Nigrizia | Dicembre 2010 |

    «Batto contro il muro ma nessuno risponde. Urlo: “Ehi, c’è qualcuno?!”. Ma non ci sono porte né finestre. “Ehilà?!”». Se qualcuno annusasse in queste righe odore di The Wall dei Pink Floyd, ebbene, avrebbe visto giusto. È l’autore stesso che ne «raccomanda vivamente l’ascolto, nel corso della lettura». Il titolo stesso vuole probabilmente riecheggiare il nome dell’autore dei testi della band, Roger Waters. Citazioni letterali di The Wall ricorrono da cima a fondo in questo romanzo che l’autore preferisce chiamare «gioco». È, infatti, una sorta di quaderno di memorie, senza troppo rispetto per la cronologia, che potrebbero essere rimontate, senza danno, in altro ordine. Un «gioco», forse, anche per la sua origine: nato da un blog. I giovani blogger egiziani si sono ritagliati una loro (controversa) autorevolezza: da chi si fa condannare per violazione della censura a chi – come è stato il caso anche per Ghada Abdel Aal (Che il velo sia da sposa!, Epoché) – approda alla carta stampata e scuote il mondo letterario tradizionale. Impressione personale: Rogers appare come un graphic novel, paradossalmente senza immagini.

  • Maria Antonietta Fontana

    Maria Antonietta Fontana

    Maria Antonietta Fontana è nata a Roma, dove ha studiato pianoforte con il M° Luciano Pelosi e Nicoletta Cimpanelli perfezionandosi con Marisa Candeloro, e laureandosi con lode e proposta di pubblicazione in Scienze Politiche alla Sapienza, specializzandosi nelle problematiche del diritto internazionale privato e in particolare della contrattualistica e dell’arbitrato con la Russia e i Paesi dell’Est europeo.
    Ex funzionario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro a Ginevra, New York e al BIT di Torino, ha poi svolto attività concertistica in formazioni di musica da camera; per dodici anni ha diretto una rivista internazionale di malacologia, per altri sei ha lavorato in diversi contesti in Università a distanza.
    Collabora assiduamente con il quotidiano L’Opinione delle Libertà, per cui scrive editoriali e recensioni discografiche, teatrali e letterarie. Collabora anche alla diffusione del carisma del Santuario di Notre-Dame de Montligeon, per cui cura la produzione dei testi in lingua italiana.
    Da anni lavora nel campo delle traduzioni tecniche (giuridiche ed economiche) e letterarie dal francese, inglese e russo. Nel suo futuro, la partecipazione (breve) ad un film, la collaborazione con una nuova casa cinematografica nel campo della produzione, e, forse, l’edizione dei suoi versi inediti.
    Ha due figli ed un nipote: la sua carriera (precoce) di nonna è incominciata da pochissimo, ma già con discreto successo…

  • “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano” alla settima edizione di Terra Futura, Fortezza da Basso, Firenze, 28-30 maggio 2010

     

     

     

     

    | Domenica 30 Maggio | Ore 11.00-12.00 | Stand COSPE |

    Khaled Al Khamissi, “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano”, Editrice il Sirente, 2008
    Letture tratte dal libro “Taxi”, dedicato «alla vita che abita nelle parole della povera gente», un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti egiziani sono degli amabili cantastorie che, con disinvoltura, conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni.
    A cura di COSPE
    Sarà presente il traduttore del libro ERNESTO PAGANO con JAMILA MASCAT, curatrice rubrica Italieni di Internazionale

    Terra Futura è una grande mostra-convegno strutturata in un’area espositiva, di anno in anno più ampia e articolata, e in un calendario di appuntamenti culturali di alto spessore, tra convegni, seminari, workshop; e ancora laboratori e momenti di animazione e spettacolo.
    Terra Futura vuole far conoscere e promuovere tutte le iniziative che già sperimentano e utilizzano modelli di relazioni e reti sociali, di governo, di consumo, produzione, finanza, commercio sostenibili: pratiche che, se adottate e diffuse, contribuirebbero a garantire la salvaguardia dell’ambiente e del pianeta, e la tutela dei diritti delle persone e dei popoli.
    È un evento internazionale perché intende allargare e condividere la diffusione delle buone pratiche a una dimensione globale; perché internazionali sono i numerosi membri del suo comitato di garanzia, la dimensione dei temi trattati e i relatori chiamati ad intervenire ai tavoli di dibattito e di lavoro; infine, perché lo sono i progetti e le esperienze presenti o rappresentati ampiamente nell’area espositiva, che ospita realtà italiane ed estere.
    Numerosi e importanti i consensi raccolti negli anni. Oltre 87.000 i visitatori dell’edizione 2009, 600 le aree espositive con più di 5000 enti rappresentati; 250 animazioni, 200 gli eventi culturali in calendario e 800 i relatori presenti, fra esperti e testimoni di vari ambiti di livello internazionale.

    La settima edizione di Terra Futura si svolgerà sempre alla Fortezza da Basso, a Firenze, dal 28 al 30 maggio 2010.

    ORARI:
    venerdì ore 9.00-20.00
    sabato ore 9.30-21.00 (eventi e spettacoli fino alle ore 24.00)
    domenica ore 10.00-20.00

  • Giovane, urbano e ribelle. Il nuovo romanzo arabo

    | Liberazione | Domenica 4 aprile 2010 | Gu.Ga. |

    «Lo sai? Io ho un grande sogno. Vivo per quel sogno. (…) Lo sai qual è il mio sogno? Che io, dopo quattro anni, prendo un taxi tutto per me e guido fino al Sud Africa per andare a vedere la Coppa del Mondo. Metto insieme una piastra dopo l’altra per quattro anni e poi parto alla scoperta del continente africano».
    Benvenuti al Cairo, la città dei tassisti. Sui “tassinari” della capitale egiziana circolano leggende, perfino il loro numero non è certo, si è sviluppato un vero e proprio genere musicale e è cresciuta una nuova narrazione metropolitana. Sfrecciando, o per meglio dire spostandosi pazientemente da un ingorgo all’altro, i taxi egiziani rappresentano però tutta la vivacità delle nuove società arabe, decisamente in corsa verso il futuro. Un’emergenza culturale che nel nostro paese hanno colto tra gli altri alcuni editori che hanno deciso di consacrare buona parte del proprio lavoro e delle proprie attenzioni a quanto di interessante viene prodotto nella sponda meridionale del Mediterraneo. Come la collana Altriarabi dell’Editrice il Sirente che ha pubblicato nel 2008 Taxi. Le strade del Cairo si raccontano (pp. 192, euro 15,00) di Khaled Al Khamissi, bestseller egiziano consacrato al mito dei tassisti, ma anche L’amore ai tempi del petrolio (pp. 140, euro 15,00) di Nawal al-Sa’-dawi, una delle più note e celebrate scrittrici e femministe egiziane. O come le edizioni Epoché, che vantano un ricco catalogo dedicato in gran parte alla narrativa dell’Africa sub-sahariana ma dove trovano spazio anche diversi titoli provenienti dai paesi arabi. E’ il caso di Che il velo sia da sposa! (pp. 204, euro 15,00) dell’egiziana Ghada Abdel Aal che racconta le peripezie di una giovane donna “a caccia di marito”. O della raccolta postuma del grande poeta palestinese Mahmud Darwish, scomparso due anni fa, Come fiori di mandorlo o più lontano (pp. 148, euro 13,50), uscita da qualche giorno.
    Ghada Abdel Aal ha trent’anni, fa la farmacista al Cairo e alla base del suo libro c’è il blog che aveva lanciato qualche anno fa, intitolato “Voglio sposarmi”, dove aveva annotato minuziosamente, e senza risparmiare ironia, il profilo dei suoi pretendenti e la pressione della famiglia perché lei trovasse un marito. Quel suo diario online aveva raccolto un tale successo da spingere una case editrice cairota a chiederle di trasformarlo in un racconto. Che il velo sia da sposa! restituisce ora tutta la freschezza e il gusto per il paradosso che hanno fatto parlare di questa giovane egiziana come della “Bridget Jones del mondo arabo”: « Prendete una penna e un bloc-notes, perché sto per lanciarvi una sfida importante: Elencate cinque aspetti in comume tra zia Shukriyya e al Qaeda. (…) Primo: entrambi – sia che li approviate o che li biasimiate (e, per inciso, se è possibile che qualcuno approvi al Qaeda, zia Shukriyya proprio no, è impensabile!) – compiono azioni che hanno come risultato finale esplosioni, distruzione e di solito anche spargimento di sangue».
    Khaled Al Khamissi, classe 1962, è stato a lungo giornalista prima di dedicarsi soprattutto alla letteratura. In Taxi ha raccolto aneddoti e storie ascoltate dai tassiti del Cairo tra il 2005 e il 2006 che compongono una sorta di fotografia dell’Egitto di oggi, visto che, come spiega l’autore, «costoro detengono un’ampia conoscenza della società, perché la vivono concretamente sulla strada». Anche in questo caso il racconto della nuova realtà del mondo arabo passa per l’ironia: «Molto spesso mi capita di andare con tassisti che non conoscono bene i percorsi né i nomi delle strade… tuttavia, questo qui si fregiava dell’onore di non conoscere nessuna strada eccetto, naturalmente, quella di casa sua».

  • Sul senso del tradimento

    The Arab | Domenica 24 maggio 2009 | Eleanor Kilroy |

    Conversazione di Eleanor Kilroy, The Arab, con Nawal al Sa’dawi*

    Nawal al Sa’dawi è stata accusata in Egitto di aver tradito il suo Paese, la sua religione e il suo sesso.
    Nel libro “Camminare nel Fuoco”, il suo lavoro autobiografico, la scrittrice narra il trauma che colpì il suo primo marito, di ritorno dalla guerra del Canale di Suez nel 1956. Un trauma che, secondo Nawal, ebbe origine nel senso di tradimento vissuto dall’uomo nel suo rapporto con la “santa trinità”: Nazione, Dio, Fede.
    “Aveva fede nel governo egiziano, quando questi iniziò ad arruolare gli studenti naïfs ed idealisti come lui, quando diceva loro “Andate sul canale e combattete”… I ragazzi andarono, fecero la guerra, quelli che tornarono furono arrestati ed esiliati. Mio marito ebbe un crollo psicologico, cominciò a prendere droga, divenne un drogato.”.
    “Nella sua opera ricorre continuamente la nozione di tradimento”, le ho detto incontrandola, avanzando l’ipotesi che la prima cosa da respingere è innanzitutto l’idea che per “sentirsi traditi” si debba possedere una fede irrazionale. Sa’dawi mi ha corretta: “Talvolta si tratta di inganno.”.
    Chi ci legge potrebbe trovare nuove libertà nella vulnerabilità conosciuta di Nawal Sa’dawi; una vulnerabilità presente in tutta la sua scrittura, traversata allo stesso modo da passione e rabbia, ma che può essere facilmente dimenticata quando ci si trova di fronte ad una persona dura, e forte.
    Stava lì, in piedi, con le spalle leggermente curvate, la sua pelle color marrone come il limo portato giù dal Nilo, i suoi capelli color bianco neve, folti, lungo tutta la testa…”, così Nawal scrive di se stessa nel capitolo che apre “Camminare nel fuoco”.
    Era il 1993, e la scrittrice era scappata dalla sua città natale, Cairo, dopo che il suo nome era comparso sulla lista della morte di un movimento fondamentalista.
    Adesso, 16 anni dopo, Nawal sta di fronte a me, ed appare solo un po’ più curva.
    L’autrice di molte opere, tra fiction e non, ha accettato un’intervista con il giornale The Arab nella Libreria Housmans (a Londra, ndt), specializzata in “libri e periodici di idee radicali e politica progressista”.
    Sulla stampa, la scrittrice egiziana è normalmente definita “la più controversa autrice femminista egiziana”, ma io, invece di percorrere questo tracciato, inizio con il domandarle cosa rende così radicali le sue idee e le sue azioni.
    Atea, apostata, pazza, donna che odia gli uomini: gli arabi e tutti coloro che la criticano non usano infatti mezze parole, e utilizzano qualunque insulto a disposizione (anche “donna che va contro il suo proprio sesso”, in un libro omonimo di Georges Tarabishi).
    Lei rimane ferma e immobile, come davanti ai suoi personaggi assassini, il dottore, lo psichiatra, lo scrittore…, ben consapevole dei limiti che il corpo e la mente possono sopportare.
    Nel capitolo titolato “Quello che è soppresso ritorna sempre” di “Camminare nel fuoco”, Nawal narra come una giovane dottoressa di un villaggio, lei stessa, provò ad impedire che una paziente di 17 anni, Masouda, venisse riaffidata al marito, un uomo molto più anziano, che l’aveva violentata per cinque anni. Un operatore social’e del villaggio ordinò invece alla ragazza di ritornare a casa, denunciando la Saadawi alle Autorità locali perché aveva commesso “un’azione di mancanza di rispetto per i valori morali ed i costumi della nostra società” e per aver incitato “le donne a ribellarsi alla Legge divina dell’Islam”.
    Una settimana dopo Masouda si lasciò soffocare.
    Ci sono molte forme di crudeltà – la stessa Sa’dawi parla altrove di “stupro economico” -, ma l’idea che la fedeltà a ciò che è conosciuto come innocua credenza spirituale prevalga sulle nostre responsabilità verso la salute del corpo e della mente, è una delle idee più pericolose del giorno d’oggi.
    “Viviamo tutti sotto una sola religione e una sola cultura”, dice Nawal ai quaranta ascoltatori arrivati alla libreria per ascoltarla, “il Patriarcato Capitalista”.
    Poi viene la domanda che ho temuto sin dall’inizio. Chiede una giovane donna: “Non pensa che la sua scrittura incoraggi chi è contro l’Islam, e soffi sul fuoco dell’intolleranza contro gli immigrati?”.
    Molti intellettuali di sinistra potrebbero irritarsi per un’accusa implicita come questa, ma non la Sa’dawi che risponde educatamente “Sono contro la parola tradimento. Abbiamo perso la capacità di critica perché abbiamo paura di essere accusati di tradimento.”.
    La ragazza insiste, “guardi il modo in cui le donne musulmane sono trattate in Francia, si proibisce loro di indossare il velo.”.
    Sa’dawi spiega, “…si può sfidare il colonialismo affidandosi solo al velo? Non sarebbe più importante organizzare i gruppi degli immigrati e contrastare le politiche governative discriminatorie? È chiaro che non si può criticare solo l’Islam, quando ciò avviene siamo di fronte ad un movimento solo politico…”., tutte le religioni o le ideologie, persino l’anti-imperialismo in alcune delle sue sfaccettature, chiedono sacrifici, sino al sangue.
    Non è comune che una comunità di appartenenza parli di scrittrici che l’hanno descritta in modo poco lusinghiero: paurosa di tradire un’identità etnica o religiosa, si sente sotto accusa a tal punto da sottoporre la scrittrice alle critiche più vendicative, ritraendola come una traditrice.
    Questione di malintesi o di perdita di vista del motivo per cui combattono, la brava gente rimane così involontariamente imbrigliata nelle brutte questioni politiche dell’identità.
    In “Camminare nel Fuoco”, appare chiaro che la stessa Sa’dawi è fedele ad un’idea: che il singolo individuo, sia egli uomo o donna, debba prendere coscienza del suo corpo e della sua vita. Una consapevolezza molto più importante di qualsiasi questione etnica, religiosa, di identità di genere e di affiliazione politica, perché l’unica cosa che ci unisce è il fatto di essere.
    “Siamo cresciuti in modo distorto, mentalmente e fisicamente; loro non ci hanno solo tagliato i nostri genitali, la società ha circonciso i nostri cervelli con la religione, la scienza e la politica, in questo modo abbiamo perso la nostra abilità ad essere creative, ad avere un’ampia visione di noi stesse e del mondo..
    In tutti i miei libri emerge chiaramente che sono una dottoressa, parlo di problemi fisici, ma non solo; parlo anche di economia, religione, storia, antropologia e politica. Sono una psichiatra e parlo di malattia mentale.
    Tutti noi riceviamo conoscenze frammentate sul fisico e la mente come entità separate, ed anche questa è un’idea religiosa, la frattura tra il corpo e la mente è una cosa totalmente innaturale. Quando scrivo, io scrivo con entrambi, il corpo e la mente”..
    È questa sensibilità del fisico intrecciata alla vulnerabilità della mente che la spinge a criticare apertamente le accuse dei colleghi, le sanzioni del governo e le minacce di morte degli estremisti islamici.
    Sempre in “Camminare nel fuoco”, penultimo capitolo “Una rivoluzione abortita”, la scrittrice racconta di come, nell’estate del 1968, dopo che l’Egitto viene sconfitto da Israele nella guerra del 1967, lei decida di far parte di un gruppo di medici volontari inviati nei campi dei profughi palestinesi in Giordania. Una volta lì, si sposta in ambulanza per aiutare i feriti.
    Una notte l’ambulanza salva un combattente della guerriglia seriamente ferito. Tre mesi dopo, Nawal Sa’dawi lo vede camminare su una sedia a rotelle.
    Aveva perso entrambe le gambe ed un braccio, era solo un tronco”.
    Durante la sua ultima notte nel campo, va ad incontrare il combattente, di nome Ghassan, che la aspetta sulla sua sedia a rotelle, fuori la tenda. È moribondo, parla apertamente alla “dottoressa”, le racconta i suoi desideri, viene fuori la sua consapevolezza su come la società tratta i più deboli:
    Tutti quei corpi lasciati nelle tende, sono poveri ragazzi come me. Non hanno nulla, solo i loro corpi. Ma in realtà non posseggono neanche quelli, i loro corpi appartengono ai capi, fetore di morte compreso.
    Un giorno la dirigenza ha deciso di aprire un fascicolo su me, ero ormai considerato un veterano handicappato grave, una sorta di mendicante o non so cosa, dal momento che ho dovuto raccogliere quello che gli altri buttavano via per nutrirmi. Solo se veniva un’importante personalità a farci visita, ci radunavano tutti insieme in un luogo spazzato e pulito, con le bandiere e gli striscioni. Invece di essere l’orgoglio della nostra Nazione…sono diventato un motivo di vergogna, una macchia sulla nostra reputazione che doveva essere occultata o nascosta
    .”.
    Ghassan racconta la sua storia rivolgendosi in prima persona all’ascoltatrice “donna”:
    la prima parola d’insulto che hai ascoltato nella tua vita è o non é stata “mara”?… I miei nemici hanno fatto a pezzi il mio corpo, ma per me è stato meno doloroso di questo insulto che gli altri mi hanno sputato addosso”.
    La parola “mara” in arabo colloquiale significa “donna” ma, a differenza del termine classico “mara’a”, viene utilizzata in senso dispregiativo per definire una donna considerata inutile, un peso per la società.
    Nella sua narrativa, Sa’dawi osserva e registra scrupolosamente le ferite fisiche così come le diverse manifestazioni del tormento mentale, assolve poche persone ma ne accusa tante: il Potere e coloro che, per ignoranza e servilismo, si sono resi complici della sofferenza delle fasce più fragili delle loro società.
    Nella sua relazione medica su Masouda, scrive che la sua giovane paziente aveva riportato gravi lesioni anali a causa dello stupro ripetuto da parte di un uomo adulto. Aggiunge che “la ragazza non ha trovato alcuna via d’uscita se non la malattia mentale.”.
    Chiedo alla scrittrice: come si può perdonare chi, come nel caso di Masouda, si appella alle leggi divine per giustificare la restituzione della vittima al suo aggressore?
    Replica,: “la mia rabbia è sempre incanalata nella scrittura creativa, non sono una persona adirata tout court.”. “Sono una donna sorridente,felice; molte persone quando mi incontrano rimangono stupite perché pensavano di trovare una “femminista arrabbiata”! Tutte le mie rabbie si riversano nel mio lavoro, sono pubbliche, ed è un segno esterno importante perché molte donne hanno paura di mostrarle, queste rabbie. Alcune le dirigono verso se stesse, sviluppano depressione e nevrosi.
    La rabbia è invece un’emozione molto positiva, anche gli animali si arrabbiano se stanno lottando; alla stesa sana maniera, gli esseri umani si arrabbiano quando vengono picchiati, quando sono esposti all’oppressione o all’ingiustizia.
    Il punto è come le donne usano la loro rabbia, contro se stesse? Contro il marito? Vogliono ucciderlo invece che divorziare? Ma perché? Prima divorzio, e poi reclamo la mia vita! Io sono contro l’omicidio, a meno che tu non uccida come il personaggio Firdaus. La donna a Punto Zero, che difende la sua vita.
    I miei scritti sono una protesta contro Dio, la religione e la spiritualità, che non libera le donne ma aumenta soltanto la loro oppressione.”.
    Nawal Sa’dawi ricorda che quando era una bambina che andava a scuola, nell’Egitto a cavallo tra gli Anni Trenta/Quaranta, le su due migliori amiche erano una bambina ebrea ed una cristiana.
    L’insegnante le separò per l’educazione religiosa, e in classe venne detto a ciascuna di studiare sul proprio Libro sacro; lei, inoltre, venne ammonita a non toccare il cibo “sporco” delle altre. Nawal ricorda di essere rimasta sconvolta, incapace di capire il motivo per cui era stata separata dalle sue amiche. Da adulta, racconta adesso, “ho passato dieci anni a studiare i Testi delle principali religioni, i libri che malamente strumentalizzati possono portare gli uni ad odiare gli altri, pieni di contraddizioni basate sull’idea del peccato…”.
    “Abbiamo ricevuto una cattiva educazione a scuola e all’università, diventiamo buoni studenti ignoranti del mondo; occorre che ciascuno rimetta in discussione il fardello di istruzione che si porta dentro.”.
    Nawal al Sa’dawi ci sprona a fare più collegamenti: tra politica, classe, religione, violenza sessuale e dipendenza economica delle donne; tra leggi che legalizzano lo stupro e guerre neo-coloniali; tra patriarcato, monogamia, nome del padre e mutilazioni genitali femminili.
    La sua ultima novella, Zaynab, è dedicata e porta il nome della madre, ne racconta la vita, ma gli editori arabi hanno avuto troppo paura di pubblicarlo: “Abbiamo perso il nostro senso comune”, commenta l’autrice con tristezza.
    Zed Books ha recentemente ripubblicato quattro libri di Nawal sl Sa’dawi, “Walking Through Fire”, “A Daughter of Isis”, “Circling Song” e “Searching”.

    * Intervista originale pubblicata su “The Arab”, ripresa e inviata da “Women linving under muslim laws”, traduzione per women a cura della redazione

  • Regole? Neanche il tassametro

    | il Giornale | Venerdì 12 dicembre 2008 |

    Guidano come matti, usano le mani e non i semafori per imporsi nel folle traffico del Cairo, e non hanno il tassametro. Ognuno di loro ha una storia da raccontare, come nel best seller di Khalid Al Khamissi, «Taxi», che dipinge la città conle parole dei suoi tassisti.

  • On a Journey

    AlSaudiArabia.com | Venerdì 12 dicembre 2008 |

    Taxi is the most recent novel to create a stir on the Egyptian literary scene. The book was the talk of the town when it was published in January 2007 and within a few months, it had sold some 20,000 copies, an astonishing number in a country where novels rarely sell more than 3,000 copies.
    Various factors have undoubtedly contributed to its success. First, the book is written in colloquial Arabic which the average Egyptian can easily relate to; second, it addresses burning issues plaguing Egyptian society and finally, the form of the book resembles a collection of newspaper articles. Critics have dubbed this style journalistic fiction. Yet, the author, Khaled Al Khamissi, insists on the literary aspect of his work.
    Taxi is basically a collection of 58 short stories and each story takes the form of a fictional dialogue with one of Cairos 80,000 cab drivers. The author, Khaled Al Khamissi, clearly states that he has never recorded anything and that Taxi is not reportage or journalism. Yet, he has written with such gusto, sincerity and realism that readers take these fictional dialogues as the real thing.
    A number of pertinent issues are brought up by the taxi drivers. Education is mentioned on several occasions. During one encounter, a cabbie criticizes free education: I tell you, he cant write his own name. You call that a school? Thats what free education brings you. Education for everyone, sir, is a wonderful dream but, like many dreams, its gone, leaving only an illusion. On paper, education is like water and air, compulsory for everyone, but the reality is that rich people get educated and work and make money, while the poor dont get educated and dont get jobs and dont earn anything.
    Speaking on the same subject, another driver also agrees that children dont learn a thing in school. He believes that the only motto nowadays is Get smart, make money because ninety percent of people live off business and not from anything else.
    Egyptians, Cairenes especially, are known for their sense of humor, but there are times when people are so heavily loaded with problems that they fall apart. In an emotional encounter with a driver and his brother, the author shows us how acute financial problems crush poor people: I was surprised to find that the man, in front of me next to the driver, was silently weeping. He was a brown-skinned giant with a bushy moustache. The calm was as thick as his moustache…The only sound was the intermittent and irregular breathing of the giant as he wept. In our society it is a rare enough occurrence to see a man crying. To see a giant from southern Egypt crying is something you could put in the Guinness Book of Records, writes Al Khamissi.
    The author, who he is also a producer, film director and journalist, studied political science at the Sorbonne. His interest in sociology and anthropology is very evident in Taxi. In fact, many have read it as a work of urban anthropology. Galal Amin, an economist and sociologist at the American University in Cairo describes the book as an innovative work that paints an extremely truthful picture of the state of Egyptian society today as seen by an important social sector.
    Khaled Al Khamissi has chosen to talk to taxi drivers because they represent one of the barometers of the unruly Egyptian street. They also come from all walks of life: Some are illiterate and others hold masters degrees. But all of them have in common a job which is physically exhausting and undermines their nervous systems.
    Foreign readers unfamiliar with Egyptian policies might not understand some of the issues addressed by the taxi drivers. However, after reading this lively series of different drivers experiences, it is possible to understand how Egyptian policies are affecting the lives of the poor. Taxi drivers all over the world and Egypt is no exception meet an endless mix of people. These daily contacts give them a unique knowledge of the society they live in. Through the conversations they hold, they reflect an amalgam of points of view which are most representative of the poor in Egyptian society. It must be said that often I see in the political analysis of some drivers a greater depth than I find among a number of political analysts who pontificate far and wide. For the culture of this nation comes to light through its simple people, and the Egyptian people really are a teacher to anyone who wishes to learn, says Al Khamissi.
    Together with The Yacoubian Building by Alaa El Aswani and Being Abbas El Abd by Ahmed El Aidy, Taxi has helped revive the habit of reading in Egypt. More than just a series of conversations, the novel offers a colorful and realistic slice of contemporary Egyptian life.

  • Taxi – Khaled Al Khamissi

    Lo Scirocco | Lunedì 1 giungo 2009 |

    Taxi getta il lettore direttamente in mezzo alle strade del Cairo, tra il chiasso, il caldo e la folla. L’Autore ci riporta le sue mille conversazioni con altrettanti tassisti. Ne esce una raccolta di ministorie (una o due pagine ciascuna) dal linguaggio popolare, dialettale, semplice e incisivo. Tassisti di tutte le età raccontano i propri problemi quotidiani all’Autore, stendendo un preciso ritratto della vita in Egitto, di usi e costumi visti dal basso. Qualcuno si lancia in apprezzamenti o recriminazioni sui presidenti passati e presente, sulla politica locale, ma anche internazionale. C’è il punto di vista degli egiziani sulla guerra in Iraq, in Israele, e in generale sulla situazione politica del Medio Oriente, ma anche quello che pensano degli Stati Uniti. Allo stesso tempo si manifesta la situazione del popolo egiziano, impoverito, disilluso e stanco: tassisti costretti a lavorare giorno e notte; donne che passano il tempo a mettere e a togliere il velo a seconda della destinazione; le giornate perse dietro a una burocrazia infinita e alla corruzione dilagante e manifesta. La sezione centrale di foto a colori del Cairo e la mappa della città immergono ancora di più il lettore nell’atmosfera della capitale. Il risultato è molto piacevole. Per chi vuole conoscere un punto di vista diverso su egiziani in particolare, e arabi in generale.

  • L’amore ai tempi del petrolio

    | LIBROMONDO | Venerdì 13 novembre 2009 | Monica Bianchi La Foresti |

    Il petrolio “dono e maledizione” è il protagonista assoluto di questo romanzo. “Dono” perché ricchezza naturale ‘maledizione’ per le conseguenze sul mondo degli uomini che vi ruota intorno.
    Le figure che si muovo su questo sfondo si muovono come ombre stremate, abbrutite dalla situazione di oppressione e fatica. Incapaci di ragionare sulla assurdità della propria condizione. Solo una piccola, semplice donna, impiegata di un ufficio archeologico, chiede una vacanza dal suo lavoro, per “soddisfare una sua curiosità” (cosa che verrà poi definita dagli altri un “passatempo” cioè una cosa inutile).
    Questa donna parte alla ricerca di eventuali resti archeologici della staua di una antica dea portando uno scalpello nello zaino. Percorre questo scenario cupo e desolato, soffocante, ma riuscirà nell’intento!
    La trama è altrettanto oscura e alla fine non si capisce esattamente se questa dona fa ritorno a casa, se viene raggiunta dalle persone che la cercano o se incorre in un altro destino. La gerarchia della struttura del romanzo in questo punto sembra vacillare (marito-poliziottopsicoloco-capo ufficio) ma soprattutto la trama si intreccia con le lettere di altre donne che ugualmente lasciano a casa il foglietto “sono andata in vacanza”. Ecco proprio questo: andare in vacanza, partire da donne sole, per percorrere un viaggio di conoscenza, crescita della propria persona mette in moto le energie di questo romanzo.
    Lo sfondo e i presupposti sono quelli della società islamica, ma molto si può riconoscere anche della nostra “libera” società occidentale.
    La lettura di questo libro è impegnativa: un percorso aspro in cui sogno e realtà si confondono in un mosaico catastrofico, livido, angosciante.

  • Chiamatelo XXX Factor

    D La Repubblica delle donne n. 663 | Sabato 19 settembre 2009 | Elisa Pierandrei |

    Ahmed Nàgi. Blogger, 29 anni, Egitto. Autore d’avanguardia, usa la Rete per scuotere il panorama letterario conservatore. È uno dei più giovani redattori di Akhbar el Adab, prestigioso settimanale di cultura. Sul suo blog, wasa khaialak (allarga l’immaginazione, shadow.manalaa.net), “sperimento un diverso livello di linguaggio, che mescola arabo colloquiale e classico per avvicinare la gente alla letteratura”. Figlio di un professionista di spicco nel movimento islamico dei Fratelli Musulmani, è riuscito a mettere da parte le differenze ideologiche con il genitore per un nuovo dialogo. “Pensavo di lasciare l’Egitto per New York. Ma ho visto i miei amici là diventare macchine. Lavoro, palestra, bere e sesso nel week-end. Io voglio scrivere”. In uscita a novembre in Italia per il Sirente c’è il suo romanzo Rogers, viaggio giovinezza-vecchiaia con abbandono alla lettura, ascoltando The Wall dei Pink Floyd.

  • L’amore ai tempi del petrolio

    L’Opinione delle Libertà | Sabato 17 ottobre 2009 | Maria Antonietta Fontana |

    Ci sono autori la cui lettura riesce a farci immaginare suoni, colori, situazioni con particolare vivacità. Ci sono autori che riescono perfino a evocare odori (avete presente l’inizio di quel capolavoro del Novecento che è “Profumo”, di Suskind?). Ma ci sono anche autori che riescono a proiettare il lettore così dentro al proprio volume, che si finisce col respirarne tutto.
    Per me, questo aspetto è stato assolutamente sconvolgente nel leggere “L’amore ai tempi del petrolio” di Nawal al-Sa’dawi, edito nella traduzione italiana per i tipi del Sirente lo scorso mese di marzo, ed in vendita al prezzo di 15 euro.
    Il romanzo si colloca a vari livelli, ma sono soprattutto la denuncia sociale su vasta scala e – paradossalmente – la poesia violenta e viscerale che la esprime, i due aspetti dominanti.
    L’autrice, una celebre psichiatra egiziana, è ben nota per il suo attivismo politico che l’ha portata a candidarsi alle prime libere elezioni presidenziali del proprio Paese. Come scrittrice ha pubblicato svariati romanzi, che costituiscono un ampio affresco della condizione femminile nel mondo arabo.
    Questo libro è stato censurato in Egitto e ritirato dalla vendita su ordine dell’autorità religiosa egiziana Al Azhar. Tuttavia, il lettore che si aspettasse un riferimento diretto all’Egitto o un’identificazione precisa con un qualsiasi altro paese arabo, resterebbe deluso. L’ambientazione è vaga, onirica: incubo o sogno, espressioni ambedue di una realtà che sfugge sempre o che, al contrario, è fin troppo presente.
    Per tutto il libro traspare comunque il grande attaccamento dell’autrice alle proprie origini – rivelato dalla professione della protagonista, una donna che svolge il lavoro di archeologa.
    La trama è semplice ed esile. È la storia di una donna che, appunto, un bel giorno scompare lasciando il marito per cercare di ritrovare le proprie idee, e che, quando torna, in realtà ha una relazione con un altro. Nel periodo della sua scomparsa, mentre la polizia la sta cercando, la protagonista si trova coinvolta in un viaggio ossessivo contrassegnato dal petrolio che invade tutto: le sue particelle si posano sulla pelle, entrano nelle narici, coprono le palpebre, schiantano, schiacciano, annientano… le figure del romanzo non hanno un nome, donne o uomini che siano. Sono degli archetipi, metafore di
    un mondo in cui la donna è strumento di lavoro e fonte di piacere, pur restando senza individualità: una macchina senz’anima, senza il diritto a propri sentimenti, senza la possibilità di esprimersi e fare sentire la propria voce.
    Cito un passaggio: “Questa donna sanguina. Le donne avevano necessità di sanguinare, altrimenti il mondo sarebbe rimasto così e ogni cosa sarebbe finita nel nulla. Dobbiamo prendere il sangue fresco di questa donna e portarlo al mondo morente”.
    Il messaggio che Nawal al-Sa’dawi ci trasmette è proprio questo. La realtà femminile non può prescindere dalla propria condizione di sofferenza, da cui non si è affrancata e, apparentemente, potrebbe non affrancarsi mai. E la risata del maschio è il necessario complemento allo svolgimento di una vita che dovrebbe trovare la propria giustificazione nell’asservimento funzionale anonimo (le particelle di petrolio ci rendono tutti uguali e indistinguibili), una vita in cui schizofrenia è l’etichetta che viene appioppata a chi – come la protagonista – trova infine il coraggio di fare delle scelte diverse e,
    perciò stesso, ribelli.

  • È ancora l’unico che abbiamo

    Circolo Pasolini Pavia | Sabato 5 settembre 2009 | Irene Campari |

    Parliamo del petrolio, altrimenti si rischia di capire poco delle politiche nucleari. In libreria ci sono diversi saggi che trattano l’argomento, da Steve LeVine, Il petrolio e la gloria, edizioni il Sirente, e The the epic quest for oil, money and power di Daniel Yergin, premio Pulitzer per quel saggio del 1991, tradotto in italiano con il titolo Il premio nel 1996 e ora non più in catalogo. Quest’anno l’autore lo ha aggiornato. “Foreign Policy” ha proposto un suo articolo il 24 agosto scorso dal titolo: “It’s still the one”. E’ ancor l’unico. Meritoriamente “Il Sole 24 ore” lo ha tradotto. Le posizioni circa il petrolio, il suo ruolo e quanto durerà sono all’ordine del giorno. Sono apparsi in queste ore sulla stampa internazionale articoli in cui si sottolineava l’ormai avvio del petrolio verso il tramonto. Se si dovesse applicare la teoria dei Cicli di Kondratiev, nel 2025 si dovrebbe arrivare alla saturazione del macrosistema (trasporti e industria) retto da questa fonte energetica e necessariamente il mondo produttivo dovrebbe essere pronto ad adattarsi. La guerra quindi tra il nucleare, fissione o fusione fredda, le energie verdi e rinnovabili avrebbe poco più di 15 anni di tempo per le doglie (riconversione della produzione capitalista compresa e conflitti geopolitici magari spacciati per “etnici”) dopodichè dovrebbe partorire. Di seguito è l’articolo di Yergin.

  • Al Ghitani: Oggi c’è vera democrazia

    Il Denaro | Martedì 28 luglio 2009 | Al-Ghitani |

    ”In Egitto, almeno sul piano culturale esiste una vera democrazia. Oggi, infatti, chi scrive puo’ criticare liberamente il potere. Sotto Gamal Abd el-Nasser o durante il governo di Anwar al-Sadat, invece, vergare una sola riga contro il regime poteva costare la libertà”. La pensa cosi’ lo scrittore egiziano Gamal Al-Ghitani, fondatore e direttore dal 1993 del settimanale Akhbar al-Adab (Notizie letterarie), una delle riviste letterarie piu’ autorevoli del mondo arabo, che ha lanciato autori noti anche in Occidente come Ala Al-Aswani (Palazzo Yacoubian, 2006, Feltrinelli). Classe 1945, personaggio poliedrico, Al-Ghitani inizia come disegnatore di tappeti (oggi e’ considerato uno dei massimi esperti), per poi diventare giornalista del quotidiano Akhbar al-Yawm e seguire come corrispondente di guerra i conflitti arabo-israeliano (dal ’68 al ’73), libanese e iracheno-iraniano. ”Il panorama letterario egiziano di questi anni – afferma – e’ molto cambiato. Negli anni ’60 venivamo arrestati, come lo fui io, tra il ’66 e il ’67, per avere criticato il regime nasseriano”. I giovani autori di oggi, prosegue, hanno coraggio, sono prolifici e hanno introdotto nuovi stili. La letteratura, dice Al-Ghitani, ha fatto un balzo in avanti. ”Si parla di sesso e della situazione sociale in cui versa il Paese, si racconta la periferia e la vita nelle campagne”. Quel che manca, pero’, e’ la critica letteraria, ”perche’ il livello culturale del Paese e’ basso”. Al pari di Naghib Mahfuz, che lo incoraggio’ a intraprendere la strada della scrittura, anche Gamal Al-Ghitani e’ un ‘cronista del Cairo’. A lui si deve l’introduzione del romanzo storico, di cui il libro-denuncia contro la tirannia e l’oppressione ‘Zayni Barakat. Storia del gran censore della citta’ del Cairo’, e’ un esempio (1997, Giunti editore). Figura predominante nel panorama letterario egiziano, nessun autore egiziano sembra potere superare il paragone con il premio Nobel Mahfouz. ”Scrittori come lui non ve ne sono, ma ne esistono di molto bravi”, fa notare Al-Ghitani. ”Sono comparsi – dice pero’ – tanti autori leggeri, i cui libri, supportati da una grande distribuzione, ma privi di alcun valore letterario, diventano best-seller”. Testi, sostiene, ”che durano quanto un Kleenex: come ‘Taxi‘ di Khaled Al Khamissi (2008, Il Sirente) o a ‘La prova del miele’ (2008, Feltrinelli) della siriana Salwa al-Neimi”. Scritti che vendono molto bene anche in Occidente. ”Al-Neimi – rimarca sarcastico – ha avuto una distribuzione piu’ importante di Mahfouz, ma questo non significa certo che scriva come lui”.

  • Per conoscere un Paese straniero, è necessario prendere il taxi

    Popoli | Agosto/Settembre 2009 | Fondazione Culturale San Fedele |

    Un vecchio giornalista italiano che aveva girato il mondo come inviato speciale amava ripetere: «Per conoscere un Paese straniero, è necessario prendere il taxi. I taxisti hanno il polso della società in cui vivono, conoscono tutti e tutto». Come il cronista, l’A. di questo saggio ha scelto le voci dei taxisti per ricostruire le fitte trame della società del Cairo (Egitto). Nel suo libro ha raccolto 58 storie brevi dalle quali emergono i sogni, le passioni, i ricordi, le avventure dei cittadini della capitale egiziana. Una sorta di affresco realizzato con il taglio giornalistico di un reportage. Il libro è uno dei più venduti non solo in Egitto, ma nell’intero mondo arabo.