In “Metro” El Shafee ha anticipato la rivolta del popolo egiziano

| Alibi Online | Martedì 1 febbraio 2011 | Saul Stucchi |

Con i racconti brevi del suo libro intitolato Taxi, Khaled Al Khamissi ci ha svelato la vita quotidiana per le strade del Cairo: sogni, paure, difficoltà piccole e grandi dei suoi abitanti come vengono fuori dai dialoghi tra clienti e tassisti. Per la stessa collana Altriarabi l’editore il Sirente ha da poco mandato in libreria la graphic novel Metro in cui l’autore Magdy El Shafee affronta la realtà dell’Egitto contemporaneo lasciando da parte l’ironia dai toni spesso rassegnati di Al Khamissi per concentrarsi sull’evoluzione verso cui i protagonisti della sua storia sono spinti dalla drammatica realtà fino al punto di rottura senza possibilità di ritorno. Il titolo si riferisce in prima battuta alla metropolitana cairota che fa da ambientazione per molte scene della vicenda: i personaggi si spostano nella megalopoli o a piedi o appunto utilizzando questo mezzo di trasporto. In diverse pagine compare la mappa delle stazioni e se ci facciamo caso, possiamo notare che quelle più importanti, ovvero quelle di scambio, sono dedicate agli ultimi due presidenti: Sadat e Mubarak. Il titolo allude però anche anche all’omonimo carattere tipografico con cui è stampato il fumetto. Come ricorda la nota a fine libro, questo font venne realizzato dal graphic designer americano William Addison Dwiggins. Dire che la vicenda raccontata a fumetti da El Shafee è stata anticipatrice della rivolta popolare che sta sconvolgendo l’Egitto in questi giorni (di cui nessuno sa ancora prevedere l’esito, anche se – comunque vada a finire – il paese non sarà più lo stesso di prima) è fin troppo banale. L’autore ha avuto il merito di puntare il dito e dire la verità sotto gli occhi di tutti da decenni: il re, anzi il faraone, è nudo e la piramide in cima alla quale sta seduto si poggia su corruzione e violenza, ma soprattutto sulla paura e sulla rassegnazione di milioni di egiziani. Eppure fino a pochi giorni fa, prima che la rivolta tunisina provocasse un effetto domino che forse è solo all’inizio, la maggior parte dei cittadini delle “democrazie occidentali” avevano dell’Egitto una conoscenza soltanto per luoghi comuni: piramidi, faraoni e Mar Rosso.

El Shafee si rifà invece alla tradizione grafica più popolare e antica del suo paese, per svicolare dai rigidi dettami dell’arte ufficiale, dunque di propaganda. Come nei graffiti lasciati dagli operai che costruirono le tombe di sovrani, dignitari e sacerdoti riaffiora la realtà quotidiana degli antichi egizi, così nelle tavole di El Shafee è la vita di strada dei cairoti di oggi a occupare la scena, raccontando la realtà, tanto più scomoda quanto meno edulcorata e anestetizzata. “Questo libro contiene immagini immorali e personaggi che somigliano a uomini politici realmente esistenti” recita la sentenza di condanna del tribunale di Qasr El Nil del Cairo, riprodotta sulla quarta di copertina. E l’autore può ora fregiarsene come se fosse una medaglia. Ma non trascuriamo che la dedica è ai genitori e ai blogger egiziani: sono questi ultimi che veicolano le informazioni per tutto il Paese, mentre i giornali e la televisione sono addomesticati dal regime. “I giornali… sono una delle nostre più grandi tragedie” dice il protagonista Shihab alla sua bella, la giornalista Dina. E quando lei cerca di infondere coraggio al vecchio Wannas ormai moribondo dicendogli: “Non aver paura, zio Wannas”, la sua risposta è davvero emblematica: “ahhh, se soltanto qualcuno me l’avesse detto sessant’anni fa…”. Metro si legge “al contrario” da destra a sinistra, come nei manga, per non “stravolgere l’equilibrio dei disegni”, spiega l’avvertenza. All’inizio può risultare un po’ scomodo, ma poi la storia prende il sopravvento e ci si dimentica del verso di lettura opposto all’abituale. La storia di Shihab è quella di milioni di giovani egiziani a cui non è offerta più una prospettiva di crescita, non solo economica, privati delle libertà più elementari, a cominciare da quelle di espressione e dissenso. Il tratto aspro e veloce di El Shafee arriva ai nostri occhi come uno schiaffo che ci apre gli occhi sulla violenza e sulla morte di giovani che per le strade si trovano divisi, ai versanti opposti delle barricate (come oggi tra manifestanti, poliziotti e soldati), ma sono accomunati dalla tragedia di un intero popolo. Metro è a tutti gli effetti un libro di storia. Speriamo che gli Egiziani possano scrivere insieme il prossimo capitolo, senza più censure.
Metro è scritto e illustrato da Magdy al-Shafee (al-Šāfiʿī). Egli dice di sé che da piccolo avrebbe voluto fare il pittore e che studiava gli impressionisti, Modigliani e Kandiskij. Che si è poi ispirato a Hugo Pratt e al giovane romanziere egiziano Aḥmad al-ʿAydī, in particolare al buon vento nuovo della sua opera “Essere ʿAbbās al-ʿAbd”. Che la sua istanza si può ricondurre a quella di tutti coloro che reclamano il diritto del popolo alla libertà e ad una vita dignitosa, primo fra tutti Aḥmad ʿUrabī, che rivendicò già a fine XIX secolo “l’Egitto per gli egiziani”.

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