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  • Paul Barnes & Charles Block STANNO ARRIVANDO

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    “FAMOSO SCRITTORE CANADESE INCONTRA IL SUO DOPPIO”
    APERITIVO E LETTURE MUSICALI DAL CANADA, INGRESSO LIBERO

    il Sirente presenta, mercoledì 4 giugno, presso l’Associazione Culturale “Baffo della Gioconda”, in via degli Aurunci n° 40 (S. Lorenzo) a Roma, alle ore 19.00, “Doppia esposizione” (‘…sensazionale…’ Jean Prasteau, Le Figaro), primo romanzo dello scrittore, sceneggiatore e saggista canadese Gaëtan Brulotte, con la collaborazione del Conseil des Arts del Canada

    Letture di Rahel Francesca Genre

    Atto 1
    Presentazione di Barnes e della situazione
    Presentazione di Block
    Arresto
    Atto 2
    Riapparizione di Barnes con due valige
    Block scopre che anche Barnes scrive su di lui
    Furto delle cose di Barnes
    Atto 3
    Fuga di Barnes, il suo romanzo si svela
    Gesto che esclude definitivamente Barnes dal mondo

    (sfondo musicale a cura di OP)

     

    Doppia esposizione di Gaëtan Brulotte

    ISBN 9788887847130 © il Sirente

    Titolo Originale: L’emprise
    Traduzione dal francese di Rahel Francesca Genre
    Copertina: foto di Chiarastella Campanelli
    Foliazione: 148 pp.
    Prezzo di copertina: € 12,50
    ISBN-13: 978-88-87847-13-0

    « C’è sempre un momento in cui il panico ci assale. Camminiamo su fogli di carta assorbente, mentre la terra fonde sotto i nostri passi. Non sappiamo più a cosa aggrapparci. Le unghie trattengono solo qualche frammento di realtà. In un frastuono di zampe e mandibole, pensiamo solo a fuggire. Queste cose capitano probabilmente a tutti. » [Gaëtan Brulotte]

    IL ROMANZO. Uno scrittore di romanzi (Charles Block) si interessa a un uomo un po’ strano (Paul Barnes), che passa le sue giornate per strada ad aspettare e a osservare la gente e le macchine. Presto lo scrittore vorrà sapere tutto di quest’uomo e cercherà di farlo con qualunque mezzo. Nel corso dell’inchiesta scopre fatti sconvolgenti: il suo soggetto incarna infatti la sofferenza umana in tutto ciò che essa può avere di più patetico e, arrestato per esibizionismo, finisce rinchiuso in una struttura psichiatrica da cui uscirà castrato.
    Tra i numerosi problemi sollevati da questo romanzo è il posto della marginalità nel mondo moderno, quello della libertà individuale di fronte alle costrizioni della società, quello delle sessualità non conformi.
    Il romanzo è stato riadattato per la televisione e per il cinema ed è stato tradotto in inglese, serbo e spagnolo. Rientra nella selezione dei migliori 100 romanzi del Québec. In Canada, ha vinto il Prix Robert-Cliché nel 1979.

    LA CRITICA. L’originalità della sua opera concerne principalmente lo sguardo distante e ironico sui comportamenti umani, dai più ordinari a quelli più marginali. La scrittura di Brulotte sconvolge i generi letterari, prendendo spesso forme di discorso della vita quotidiana per ridare loro forza e umanità.
    Alla scrittura di Brulotte è stata dedicata un’importante monografia – Gaëtan Brulotte: une nouvelle écriture, New York, Mellen, 1992 – che ha vinto il Premio internazionale di studi francofoni. La critica ha situato l’insieme della sua pratica artistica nella tradizione di Cechov, Kafka, Becket e Calvino, mentre per la produzione saggistica ha evocato Jean-Pierre Richard e Roland Barthes: come è stato detto, “la sua scrittura si appoggia su un sistema rigoroso che ricorda l’apparato testuale di Aquin, di Ducharme, di Borges e di Calvino (Réjean Beaudoin, Autoportrait d’un écrivain dans le miroir in Fisher, Claudine, 1992.)
    L’autore è ormai saldamente entrato nel repertorio dei nuovi scrittori della letteratura postmoderna. Un primo romanzo è spesso rivelatore non soltanto dello stile di uno scrittore, ma anche delle influenze intellettuali della sua epoca. In Doppia esposizione, Brulotte copre la gamma delle filosofie letterarie moderne, dal realismo al decostruzionismo, e le sintetizza in una nuova filosofia postmoderna, l’aptismo. […] Ci si accorge poco a poco che è un romanzo a più livelli che trascina tutti in un abisso vertiginoso: lo scrittore stesso, il suo personaggio principale, il personaggio sul quale Block scrive, ma anche il lettore che finalmente subisce anch’egli l’influenza del sistema linguistico. […] Sottilmente, Doppia esposizione introduce un elemento paranoico che fa in modo che il lettore si interroghi sulla propria condizione umana e sui rapporti di forza che intrattiene con gli altri, con la Natura e con se stesso.

    ‘L’autore, al suo esordio, si afferma come uno degli scrittori importanti della sua generazione.’ Louis-Guiy Lumieux, Le Soleil

    ‘Quel che resta e che importa è la padronanza e la nettezza con cui Doppia esposizione sviluppa il soggetto della marginalità, e l’interesse che il suo lavoro di elaborazione formale riesce a mantenere presso il lettore.’ Louise Milot, Dictionnaire des oeuvres litté-raires du Québec VI, 1994, p.275

    L’AUTORE. Nato in Québec, Gaëtan Brulotte ha studiato Lettere moderne presso l’Università di Laval e, sotto la direzione di Roland Barthes, presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales. Ha insegnato letteratura in Canada e negli Stati Uniti, dove è attualmente professore presso la University of South Florida. Divide il proprio tempo tra la Francia, il Canada e gli Stati Uniti. È autore di romanzi e racconti, autore teatrale e saggista. Tradotto in diverse lingue, è vincitore di numerosi premi letterari e le sue opere figurano in antologie e manuali di letteratura. Molte di esse sono state adattate per il cinema, la televisione e la radio. È inoltre autore di Oeuvres de chair. Figures du discours érotique, considerato dalla critica come il primo studio d’insieme sulla letteratura erotica, sino a quel momento ai margini della storia e dell’ambito accademico, e ha codiretto il vasto progetto della Encyclopedia of Erotic Literature, pubblicato in due volumi nel 2006 da Routledge.

    IL TRADUTTORE. Nata a Zurigo (Svizzera), Rahel Francesca Genre ha studiato Storia Moderna e Contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Ha vissuto in Piemonte, Sicilia, Montpellier e Roma, dove attualmente vive e lavora. È autrice di traduzioni dal francese e tedesco, tra cui recentemente il romanzo Tout sur nous di Stéphane Ribeiro per Castelvecchi e Dans la Cité. Réflexions d’un croyant di André Gounelle per l’Editrice Claudiana.

     

    Per saperne di più su Doppia esposizione e Gaëtan Brulotte e conoscere le date delle presentazioni: https://www.sirente.it/9788887847130/doppia-esposizione-gaetan-brulotte.html

    COMUNICATO STAMPA | Editrice il Sirente | www.sirente.it | il@sirente.it
    Ufficio stampa: Chiarastella Campanelli | chiaraetoile@hotmail.com | mob. +39 339 3806185

  • Presentato il volume di Norman Nawrocki

     L’AQUILA. Eccentrico, coinvolgente, anarchico. È Norman Nawrocki, artista canadese, figlio d’immigrati polacco ucraini, autore del libro L’anarchico e il diavolo fanno cabaret che è stato presentato giovedì a palazzo Carli. Un incontro promosso dalla casa editrice «il Sirente fuori». Il libro è una sorta di diario on the road in giro per l’Europa tra una suggestione musicale e un’altra. Una sorta di storia anarchica del rock che segue le tracce del viaggio di Norman per il vecchio continente alla ricerca dello zio Harry, di cui pubblica le lettere scritte al tempo dell’occupazione nazista della Polonia. Al racconto si affiancano descrizioni e considerazione dell’autore sull’attualità, in particolare sul mondo del precariato, nel quale l’autore fa rientrare tutti coloro ai quali non sono garantiti a pieno i diritti. La parola “precariato” deriva dal latino e indica tutto ciò che si ottiene con preghiere e che quindi viene concesso per grazia e non per diritto. La radice etimologica è una spia evidente della condizione di emarginati, rom, disoccupati e artisti di strada che trovano spazio nelle pagine di Nawrocki. Nel libro è riflessa una miscela di suoni d’avanguardia, e danza poplari, con suggestioni rock, folk, punk e jazz.
  • Nawrocki Strikes L’Aquila

    Sorry to hear about the election results. This is bad news for Italy, for Italians, for those who love to eat Italian food. Hmmmm….I will come and try to do something about this. To help cheer you up. I will wear all black. A Ninja writer from Canada. It will be a big surprise for the fascists.

  • l’Altrolibro 2008

    l’Altrolibro 2008
    percorsi di resistenza e liberazione
    a cura delle librerie Jamm & Perditempo

    5ª rassegna della piccola e media editoria
    dal 28 aprile al 1° maggio
    Croce di Lucca, p.tta Miraglia – Napoli

    programma

    sono presenti le case editrici:
    415, AC editoriale, A.C.R.A.T.I., Agenzia X, Alet, Annexia, Arcana, Archivio Primo Moroni, Arkiviu T. Serra, Avagliano, Becco Giallo, Besa, Bevivino, Black Velvet, Canicola, Cargo, Castelvecchi, Chersi – L’Affranchi, Coconino press, Colibrì, Colonnese, Coniglio, Cooper, Costa & Nolan, Cox 18, Cronopio, Cut up, Datanews, DeriveApprodi, Drago, Duepunti:, E/O, Editions du Dromadaire, Editoria&Spettacolo, Edizioni BD, Edizioni Anarchismo, Edizioni Lavoro, Edizioni Quinlan, Edizioni Re Nudo, Edizioni Socrates, Effigie, EGA, Eleuthera, Epoché, Ermitage, Fahrenheit 451, Fandango, Fanucci, Fbe Edizioni, Fernandel, Fratelli Frilli, Gallucci, Galzerano, Gorée, Gratis, Grifo, Grrrzetic, Ignazio Maria Gallino, Il Principe Costante, Il Sirente, Imagaenaria, Immaginapoli, Instar Libri, Iperborea, Isbn Edizioni, Jaca Book, Jamm, Jouvence, Kaos, Kappa Vu, L’Ancora del Mediterraneo, La Fiaccola, La Nuova Frontiera, Leconte, Le Nubi, Lindau, Magmata, Malatempora, Manifestolibri, Manni, Marcos y Marcos, Marlin, Mc editrice, Meridiano Zero, Mesogea, Mimesis, Nautilus, NMM, NN, No Reply, Non luoghi, ObarraO, Odradek, Ombre corte, Orecchio acerbo, Perdisa, PonSinMor, Porfido, Profondo Rosso, Prospettiva editrice, Punto Rosso, Quodlibet, Rarovideo – Minerva Pictures, Robin – Biblioteca del Vascello, Sacrosantopiacere, Sankara, Sensibili alle foglie, Shake, SE, Sicilia.L, Sossella, Sugarco, Terre di mezzo, Venerea, Via del vento, Voland, Zona.

    lunedì 28 aprile

    ore 18.30
    Incontro con l’autore
    L’acrostico più lungo del mondo
    di Vincenzo Mazzitelli – Meridiano zero

    Una sfida con se stessi, prima di tutto. L’impresa epica di un uomo che narra la sua discesa all’inferno. Una sfida degna dei piu’ arditi giocolieri della parola. E che si misura direttamente con la Divina Commedia, infatti riproduce in acrostico il primo canto dell’Inferno:
    Non avea piu’ del Cristo morto etade/ E della mia citta’ si’ perigliosa/Languidamente bazzicavo strade/ Malato di libido e ogn’altra cosa/ Ero per la tribu’ gia’ troppo anziano/ Zingaro vecchio dall’ardita prosa/ Zotico spesso e trucido villano/ Ormai poeta di poesia distorta/ Drogata da un cattivo cortigiano/ E cieca e oscura e criptica e contorta…

     

     
     
    ore 20.00

     

     

     

     

     

     

    Incontro con l’autore

     

     

     
    Manuale dell’arte bimba

     

     

     

     
    di Filippo Scozzari – Coniglio Editore

     

     

     
    In Manuale dell’arte Bimba (il fumetto) Scozzari ripercorre gli anni della sua infanzia, tenero e stupefatto esploratore della Bologna e dell’Italia negli anni 50 e 60. In un’ideale “Prima Puntata”, che termina esattamente dove iniziava il fortunato Prima pagare, poi ricordare Scozzari indaga, sbrana e resuscita i punti nodali della propria educazione: la scuola, la famiglia, la passione per il disegno, l’amore lancinante per i fumetti, ma anche gli interrogativi feroci di un Bimbo che, in eterno duello col Babbo Mannaro, avverte in se’ i primi pungoli di quella follia creativa che, zappata a sconfitte e concimata a scoperte, lo trasformera’ in uno degli autori simbolo dell’ultimo scorcio del ‘900.

     

     

     
    Prima pagare, poi ricordare

     

     

     
    di Filippo Scozzari – Coniglio Editore

     

     

     
    Il racconto, vissuto in prima persona da uno dei suoi storici protagonisti, della grande stagione che ha dato vita al nuovo fumetto italiano, alla nuova satira politica, alla parte migliore della creativita’ degli anni ‘70, a riviste storiche e fondamentali come Cannibale, Frigidaire, Il Male. Un gruppo di coraggiosi, stupidi e indecenti geni della comunicazione rifondano “il gusto e l’immaginario di una nazione abituata ad agitarsi nei salotti e sulle terze pagine solo per puttanate della galassia centrale”.

     

     

     
    l’Altrolibro 2008

    martedì 29 aprile
     

     

     
     

     
     
    ore 19.00

     

     

     

     

     

     

    Presentazione collettiva

     

     

     
    Fugitive days – memorie dai Weather Underground

     

     

     

     
    di Bill Ayers – Cox 18 books

     

     

     
    Aspetta un attimo. Questo non puo’ accadere adesso. Aspetta. La miccia e’ gia’ accesa, piccole scintille brillano in una danza disperata e mortale. Le lancette metalliche del grosso orologio avanzano inesorabilmente, mentre il mondo gira veloce e fuori controllo. La mia stessa vita sta per esplodere.

    Nel 1970, dopo le mobilitazioni contro la guerra del Vietnam e i riot urbani, i Weathermen scelgono la clandestinita’, e dichiarano guerra agli Stati Uniti. Si chiameranno Weather Underground, da una canzone di Bob Dylan. I ricordi di Bill Ayers riportano quegli eventi a una memoria collettiva, fondamentale per riconoscere l’esistenza di storie, di uomini che vecchie e nuove pratiche disciplinari vorrebbero azzerare.

     

     
     
    Con il sangue agli occhi

     

     

     

     

     

     

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    Lettere e scritti dal carcere

     

     

     
    di George L. Jackson – Agenzia X

    Prefazione di Emilio Quadrelli

    Biografia illustrata di Paper Resistance e u_net

     

     

     

     
    “La carcerazione e’ per principio un aspetto della lotta di classe. E’ stata creata da una societa’ chiusa per tentare di isolare gli individui che non rispettano le regole di un sistema ipocrita e quelli che lanciano una sfida a livello di massa contro questo sistema”.

    Con il sangue agli occhi raccoglie le lettere e i saggi di teoria politica che l’autore scrisse dopo la morte del fratello Jonathan, ucciso mentre tentava di liberare tre detenuti. George L. Jackson fece uscire clandestinamente dal penitenziario di San Quentin questo manoscritto pochi giorni prima di essere assassinato dai secondini, il 21 agosto 1971.

     

     

     
    l’Altrolibro 2008

    mercoledì 30 aprile
     

     

     
    ore 18.00
     

     
     
     

     

     

     

     

     

    incontro con l’autore

    Donne nella guerriglia.
     

     
     
     

     

     

     

     

     

    Vita e lotte di Barbara Kistler e Andrea Wolf

    a cura di Maurizio Ferrari
     

     

     

     

     

     

     
    Barbara Kistler e Andrea Wolf, due compagne che hanno partecipato ai movimenti antagonisti dei loro paesi. La loro non fu una scelta che si spense o si riassorbi’ localmente, continuo’ fuori dai loro paesi e termino’ in Kurdistan. Lottare e pensare locale e’ anche agire globale, seguendo la ’filiera repressiva’, entrambe, con percorsi autonomi, sono andate a combattere nella parte turca del Kurdistan a fianco delle popolazioni che subiscono ovunque sfruttamento e oppressione.

    ore 19.30
     

     
     
     

     

     

     

     

     

    ascolto collettivo

    Il diario di Salam Pax
     

     

     
    di Anna Maria Giordano / Audiodoc
     

     

     

     

     

     

     
    Salam Pax e’ lo pseudonimo di un giovane architetto di Baghdad che ha offerto il resoconto di guerra piu’ fresco e stimolante uscito dalle porte del paese. Il suo divertimento virtuale da un appartamento di periferia e’ diventato il web diary di guerra piu’ letto del mondo. Le sue ´Pax news´, come chiama i suoi post, sono secondo la BBC un vero antidoto alla versione televisiva della guerra. Reporter embedded sui generis, corre tutti i suoi rischi, sopravvive alla censura, affina il suo talento di narratore e diventa una voce dall´Iraq, forte e chiara, tutta da ascoltare.

    ore 19.30
     

     
     
     

     

     

     

     

     

    incontro con l’autore

    Cani sciolti
     

     

     
    di Domenico Mungo
    Boogaloo Publishing
     

     

     

     

     

     

     
    I racconti di questo libro li ho rubati: alla mia vita, raccontando quello che ho fatto e visto con le mie mani…I racconti di questo libro li ho rubati alla memoria di altri, che me li hanno raccontati… ed io li ho appuntati nella mia testa per non farli uscire mai piu’ dai miei ricordi.

    I racconti di questo libro li ho rubati nei vagoni di treni disperati, negli abitacoli di macchinate cieche che sfrecciano sugli asfalti bagnati, li ho ereditati dai racconti di vecchi ai giovani, dagli articoli di giornale, dalla mia immaginazione obliqua.

     

     

     
    all’incontro partecipa la redazione di Napoli Monitor che presenta il numero: ‘Fino all’ultimo stadio: dove sono gli ultras’

     

     

     
    l’Altrolibro 2008

    giovedì 1 maggio
     

     

     
    ore 18.30
     

     
     
     

     

     

     

     

     

    incontro con l’autore

    Los Amigos de Ludd. Bollettino d’informazione anti-industriale
     

     

     
    A.c.r.a.t.i
     

     

     

     

     

     

     
    Gli autori intendono stendere un salutare discredito nei confronti della societa’ industriale. Una volta identificata l’industria come il dominio tecnificato del capitale per i fini del capitale, la critica del capitalismo e la critica dell’industria diventano sinonimi giacche’ l’industria non e’ semplicemente un mezzo, bensi’ il mezzo oggettivo del capitale con il quale esso giunge ad intensificare la produzione.

    Los Amigos de Ludd ripercorrono i passaggi della resistenza, passata e attuale, all’imposizione del macchinismo e dell’industria (sabotaggi, scioperi, rivolte) facendo riemergere i modi di vita e di produzione pre-industriali, non per invitare ad un improponibile ritorno al passato ma per sostenere la necessita’ della riappropriazione di quel saper fare del quale siamo stati spossessati. Attraverso le loro analisi, gli studi storici, la proposizione di altri contributi e le recensioni criticano senza sosta l’industrialismo e tutte le illusioni progressiste, cercando contemporaneamente i mezzi pratici per liberarsi della gigantesca rete di bisogni fittizi che l’industria ha generato.

    ore 20.00
     

     
     
     

     

     

     

     

     

    ascolto collettivo

    Il passaggio della linea.
     

     
     
     

     

     

     

     

     

    Viaggio nei treni dell’Italia notturna

    di e con Marcello Anselmo / Audiodoc
     

     

     

     

     

     

     
    I protagonisti del viaggio narrano della vita, del lavoro, dei desideri e dei vizi di un moderno popolo degli abissi segnato da un’esistenza complessa e vorticosa. All´ormai stabile precariato lavorativo infatti, si sovrappone oggi un precariato esistenziale acuito dal pendolarismo settimanale o mensile tra il Nord e il Sud dell’Italia. Il viaggio dei migranti moderni continua ad essere faticoso e lento negli Espresso Notte che attraversano la penisola italiana distesi in un lungo viaggio notturno.

    Le storie dell´Italia notturna sono racconti di lavoro nero, lavoro edilizio, microcriminalita’ spontanea, di carcere, di ingiustizie vere e presunte, ma sono anche i semi di una guerra tra poveri e migranti. Sono inoltre le contraddizioni del paese raccontate in una lingua intensa, marcata da inflessioni, cadenze e dialetti che formano la sonorita’ del viaggio. Ai dialetti dei contadini di qualche decennio fa seguito un italiano storpiato tanto dalla lingua della televisione quanto dalle secrezioni dialettali.

     

     

     
    l’Altrolibro 2008

    giovedì 1 maggio
     

     

     
    a seguire
     

     

     
    Lavora-produci-consuma-crepa
     
    Concerto di poesia per voce sola di e con Vozla
     
    su testi di g.corso c.bukowski p.ciampi h.m.enzensberger
     
    ingannate moltitudini in vaste cospirazioni [da g.corso]

    -consapevolezza coscienza critica lavoro liberta’-diritti inconfutabili,,ed e’ un diritto poter avere la possibilita’ di germinarli. le disperanti preoccupazioni messe in atto dall esigenza di sopravvivere nell oggi quotidiano, fanno ombra sulla possibilita’ di acquisire conoscenza- coscienza ,, ci si riduce ad automi in cerca del mezzo che possa garantire una -si pure- precaria manifestazione dell istinto conservativo. si e’ dentatura d ingranaggio nel sistema -vigente sul pianeta terra- che canta stridulo ,,produci consuma crepa,,produci consuma crepa,, attuato da organi di potere che tra loro tramano cospirazioni ad allargare la rete delle ingannate moltitudini.

    .livka vozla.

    siamo gli uomini vuoti siamo gli uomoni impagliati che appoggiano la testa l un l altro piena di paglia .ahimme’. – t.eliot dalla .terra desolata.

    in chiusura…dalle ore 23.00 in poi…
    l’Altrobicchiere: interpretazioni musicali e alcoliche
    dei temi sviluppati nella rassegna
    >>>Perditempo – via S. Pietro a Maiella, 8

    per info e contatti:
    Associazione l’Altrolibro
    altrolibro.napoli@virgilio.it
    PERDITEMPO – Libri vini e vinili
    via S. Pietro a Maiella, 8 – Napoli
    tel. 081.444958 _ info@perditempo.org
    JAMM – Libri per viaggiare
    Via S. Giovanni Maggiore a Pignatelli, 32 – Napoli
    tel. 081.5526399 _ jammnapoli@libero.it

  • Marika Macco

    Marika Macco

    Marika Macco è nata a Biella nel 1973. Si laurea in Lingua e Letteratura Araba nel 1999, presso l’Università di Torino, e nel 2007 ottiene un Master degree in Studi di Genere (Facoltà di Scienze Sociali), presso l’Università di Leeds, Regno Unito. Da otto anni vive e lavora in Egitto, inizialmente ad Alessandria e oggi al Cairo. All’interesse per la lingua araba, concilia lo studio delle scienze sociali, relative alle questioni di genere e sviluppo, nel contesto socio-culturale del Medio Oriente. Questi interessi si riflettono nelle sue scelte lavorative, e nel desiderio di comunicare, attraverso l’attività di traduzione, realtà ma anche fantasie, di una società spesso sconosciuta ed erroneamente interpretata.

  • L’amore ai tempi del petrolio di Nawal El Saadawi

    L’amore ai tempi del petrolio di Nawal El Saadawi

    Quel giorno di Settembre la notizia uscì sui giornali.
    Le tipografie avevano stampato metà riga a lettere sfuocate: “Una donna è uscita in vacanza e non è tornata”.
    La scomparsa di persone era un fatto normale.
    Come ogni giorno spunta il sole, così escono i giornali, nella cui pagina interna si trova l’angolo delle notizie riguardanti le persone.  La parola “persone” può essere rimossa o sostituita con un’altra parola, senza che assolutamente nulla cambi. Le persone. Il popolo. La nazione. Le masse. Parole che significano tutto e niente contemporaneamente.
    In prima pagina vi era una foto a colori e a grandezza naturale di Sua Maestà, dal titolo grande: “Il festeggiamento per il compleanno del re”.
    La gente sfregò gli occhi, dagli angoli delle palpebre infiammati, e girò pagina dopo pagina, sbadigliando fino a far schioccare le ossa delle mascelle.
    La notizia comparve nella pagina interna, si vedeva a mala pena ad occhio nudo.
    “Una donna è uscita in vacanza e non è ritornata”.
    Le donne non erano solite prender giorni liberi. Se una donna usciva, lo faceva per assolvere ad incombenze urgenti e per poter uscire era assolutamente necessario ottenere il permesso scritto del marito o timbrato dal suo datore di lavoro. (p.5)

    Non era mai successo che una donna fosse uscita e non fosse più tornata. L’uomo poteva partire e non tornare per sette anni, e solo dopo questo periodo, la moglie aveva il diritto di separarsi da lui.
    Gli uomini della polizia si mobilitarono nella sua ricerca, si stamparono volantini ed annunci sui giornali chiedendo il suo ritrovamento, viva o morta, ed annunciando una generosa ricompensa da parte di Sua Maestà il Re.
    “Che legame c’è tra Sua Maestà e la scomparsa di una donna comune?”.
    Era risaputo che nulla al mondo poteva accadere senza l’ordine, scritto o non scritto, di sua Maestà.
    Sua Maestà, infatti, non sapeva né leggere né scrivere, e questo era un segno di distinzione. Quale era infatti il vantaggio di leggere e scrivere?
    I profeti non sapevano né leggere né scrivere, era quindi possibile che il Re fosse migliore di loro?
    Vi era anche la macchina da scrivere, che funzionava ad elettricità.
    Una nuova macchina da scrivere invece funzionava a petrolio e scriveva in tutte le lingue.
    Dietro la macchina per scrivere si trovava una sedia girevole di pelle, su cui sedeva il commissario di polizia, e dietro la sua testa pendeva dalla parete un’immagine ingrandita di sua Maestà, in una cornice d’oro, dai bordi decorati con le lettere del testo sacro.
    “Era già successo che sua moglie fosse andata in vacanza?”. (p.6)

    Suo marito serrò le labbra in silenzio, i suoi occhi si spalancarono come chi all’improvviso si sveglia dal sonno. Indossava il pigiama, i muscoli del suo viso erano flosci, con la punta delle dita sfregò gli occhi e sbadigliò.
    Sedeva su una sedia di legno, fissata al pavimento.
    “No”
    “Avete litigato?”
    “No”
    “Ha mai lasciato la casa coniugale?” (Nota: ”sottomissione” e “ubbidienza” hanno lo stesso significato di tetto coniugale e casa del marito)
    “No”
    L’indagine si svolgeva in una stanza chiusa, una lampada rossa era appesa alla porta. Nulla poteva uscire ai giornali. I rapporti venivano conservati dentro una cartella segreta, dalla copertina nera, su cui era scritto: “Donna che esce in vacanza”
    Il commissario di polizia era seduto sulla sedia girevole, su cui girò e si trovò con la schiena verso la parete e l’immagine di Sua Maestà. Di fronte a lui si trovava l’altra sedia, fissata al pavimento, su cui sedeva un altro uomo, non suo marito ma il suo datore di lavoro.
    “Era una di quelle donne ribelli e disubbidienti all’ordine?”
    Il datore di lavoro aveva accavallato le gambe, tra le sue labbra aveva una pipa nera, che si curvava in avanti come il corno di una mucca. I suoi occhi erano fissi verso l’alto. (p.7)

    “No, era una donna assolutamente ubbidiente”
    “E’ possibile che sia stata rapita o violentata?”
    “No. Era una donna normale che non provocava in nessuno il desiderio di violentarla”
    “Che cosa significa?”
    “Intendo dire che era una donna sottomessa, che non provocava il desiderio di nessuno”
    Il commissario di polizia annuì con il capo in segno di comprensione. Girò sulla sedia e la sua schiena si trovò di fronte al datore di lavoro ed iniziò a battere sulla macchina per scrivere. Si diffuse uno strano odore di gas bruciato. Allungò il braccio ed accese il ventilatore, poi girò di nuovo sulla sedia.
    “Crede che sia fuggita?”
    “Perché fuggire?”
    Nessuno sapeva perché una donna poteva fuggire. Se fosse fuggita, dove sarebbe andata? Sarebbe fuggita da sola?
    “Pensa che possa essere fuggita con un altro uomo?”
    “Un altro uomo?”
    “Sì”
    “Non è possibile. Era una donna assolutamente rispettabile, non le interessava altro che il lavoro e la ricerca”
    “La ricerca?” (p.8)

    “Lavorava nell’unità di Ricerca, presso il Dipartimento di Archeologia”
    “Archeologia. Che cosa significa?”
    “Sono i monumenti antichi che vengono scoperti scavando la terra”
    “Ad esempio?”
    “Statue di divinità antiche come Amoun e Akhenaton, o di dee antiche come Nefertiti e Sekhmet”
    “Sekhmat? Chi è ?”
    “L’antica dea della morte”
    “Dio ci protegga!”
    Arrivò la notizia dal capo di una delle lontane stazioni di polizia: era stata avvistata una donna che si stava imbarcando su un battello.
    La donna portava sulle spalle una borsa di pelle dalla lunga tracolla, sembrava una studentessa o una ricercatrice universitaria, era completamente sola, senza alcun uomo. Dalla borsa spuntava qualcosa dall’estremità di ferro appuntita, sembrava uno scalpello.
    Il commissario di polizia s’irrigidì e sulla sua fronte comparvero delle gocce di sudore. Premette sul pulsante nero e la velocità del ventilatore aumentò, la base del ventilatore girava su se stessa e l’aria della stanza era asfissiante.
    “Era una donna normale?” (p.9)

    Sulla sedia di legno fissata al pavimento sedeva uno psicologo. La sua bocca si piegava a sinistra mentre la pipa dal corno piegato pendeva a destra, mentre gli occhi erano fissi verso l’alto, un po’ più in alto della parete, dove si trovava l’immagine rinchiusa dentro la cornice d’oro.
    Soffiò il fumo intensamente sulla faccia di Sua Maestà, poi avvertì l’ansia e girò la testa in direzione del ventilatore ed abbassò le palpebre.
    “Non credo che fosse una donna normale”
    “Si riferisce al suo interesse per la ricerca?”
    “Sì, spesso ciò che porta la donna ad interessi che esulano dalla casa, è una malattia psicologica”
    “Che cosa intende?”
    “Una giovane donna che si dedica ad un lavoro inutile, come collezionare statue antiche!? Non è forse un segno di malattia, o almeno di deviazione?”
    “Deviazione?”
    “Questo scalpello rivela ogni cosa”
    “Come?”
    “La donna per compensare i suoi desideri che non sono stati soddisfatti, prova piacere nell’affondare la testa dello scalpello nella terra, come se fosse il pene dell’uomo”
    Il commissario di polizia sussultò sulla sedia e girò diverse volte su se stesso, come il ventilatore. (p10)

    Le sue dita s’irrigidirono sulla macchina per scrivere mentre batteva la parola “pene dell’uomo”. Smise di scrivere e si girò con un movimento veloce.
    “La questione diventa seria”
    “Sì, lo è. Ho alcuni studi su questa malattia. La donna, dalla sua infanzia cerca inutilmente questo “pene”, e per la disperazione trasforma questo desiderio in un altro”
    “Un altro desiderio? Quale ad esempio?”
    “Ad esempio quello di guardarsi allo specchio, è una sorta di amore folle verso se stessa”
    “Dio me ne scampi!”
    “La donna è incline all’isolamento e al silenzio, e a volte prova il desiderio di rubare”
    “Rubare?”
    “Furto di oggetti rari e statue antiche, specialmente statue di dee femminili, è attirata da persone del suo stesso sesso e non quello opposto…”
    “Dio ce ne scampi!”
    “Viene colta da un urgente desiderio di sparire”
    “Sparire!?”
    “In un altro senso, una forte attrazione verso il suicidio o la morte”
    “Dio ci protegga!” (p.11)

  • Al Cairo tassisti fittizi come se fossero reali

    ISBN 9788887847147 © il Sirente 

    di Jonathan Wright (da Daily News Egypt, 31 marzo 2007)

    CAIRO: L’autore egiziano Khaled Al Khamissi, in una raccolta di racconti brevi sulla capitale egiziana, che è diventata best-seller, ha trasformato una vecchia tecnica usando se stesso.

    Invece di avere in pugno la città parlando ai taxi driver, Al Khamissi ha composto 58 monologhi inventati suui taxi—drivers del Cairo, con tale convinzione e autentica linguistica che la maggior parte dei lettori li prendono per veri.

    Ma Al Khamissi, giornalista, regista e produttore, venerdì ha detto in un’intervista a Reuters che nessuno dei tassisti di “Taxi” è mai veramente esistito.

    “Questo è un libro di genere letterario. Io non ho registrato nulla. Non si tratta di reportage o di giornalismo”, ha detto.

    “Sono tutte storie che mi sono ricordato e ho recuperato quando stavo scrivendo. In molti casi, qualcuno potrebbe dirmi una parola e qualcun altro potrebbe dirmi qualcosa’altro e così via”, ha aggiunto.

    Al Khamissi, che ha studiato scienze politiche presso la Sorbona di Parigi e ha un interesse in sociologia e antropologia; ha detto che le 220 pagine che compongono l’opera di finzione hanno un valore per le persone a cui di solito nessuno da voce.

    I tassisti sono sognatori e filosofi, misogeni e fanatici, contrabbandieri e falliti, mistici e comici. Tutti loro sono uomini, che lottano per guadagnarsi da vivere in un crudele, rumoroso, caotico e malsano mondo.

    Schiacciati da altre automobili, soffocati dai fumi e dal calore estivo, sopraffatti dai poliziotti corrotti, sovraccarichi di lavoro e sottopagati, parlano di quasi di tutto – politica, donne, film, viaggi all’estero e il più delle volte del loro disprezzo per le autorità.

    Il libro in Egitto, da quando è uscito il 5 gennaio 2007, ha venduto 20000 copie- un numero incredibile in un paese in cui le opere di letteratura raramente vendono più di 3000 copie.

    La quarta edizione è stata appena ristampata e Al Khamissi ha già incontrato gli editori stranieri per parlare di traduzioni.

    Insieme con i due ultimi romanzi di Alaa El Aswani, questi libri hanno contribuito a ravvivare la lettura in Egitto, dove molte famiglie non hanno altri libri che il Corano.

    Uno dei segreti del successo di Al Khamissi potrebbe essere che i suoi monologhi sono tutti in Egiziano, ricco dialetto colloquiale, che è molto diverso dalla lingua letteraria che gli scrittori in genere utilizzano.
    Il libro ha ricevuto applausi dalla critica, la maggior parte, da persone che hanno vissuto il libro come un lavoro di antropologia urbana.

    Baheyya, un anonimo, ma influente blogger egiziano, ha detto: “Il libro parla della resistenza dello spirito umano, è una potente cronaca della colossale lotta per la sopravvivenza”.

    “Documenta le disuguaglianze sociali e riporta fedelmente il potere pungente dei dialoghi quotidiani”, ha aggiunto.

    Galal Amin, un economista e sociologo che insegna presso l’Università Americana del Cairo, l’ha chiamato “un lavoro innovativo che dipinge un quadro veritiero della situazione della società egiziana di oggi, come si è visto da parte di un importante settore sociale”

    Al Khamissi ha detto che è stato fedele alla realtà. “I monologhi, a mio avviso, sono 100 per cento realistici … Se scendi e chiedi ad un taxi driver una qualsiasi delle problematiche troveresti che è esattamente ciò che è scritto nel libro” ha detto.

    Come il lavoro di El Aswani, “Taxi” include una forte dose anti-governativa, che riflette la progressiva espansione della libertà di espressione in Egitto.

    Ma Al Khamissi dice che non ha cercato di imporre ai suoi personaggi la sua ostilità nei confronti del governo.

    “Personalmente sono contro [l’ex presidente] Anwar Sadat, ma troverete un tassista assouultamente devoto a lui”, ha detto.

    Al Khamissi ha dichiarato che il suo prossimo libro racconterà le storie degli egiziani che viaggiano all’estero per lavoro, o sono tornati dall’estero o hanno provato e non sono riusciti ad emigrare.

    “Finora ho parlato con circa 150 persone per il prossimo libro”, ha detto.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • La cruda realtà sull’Egitto emerge dalle opinioni dei taxi-drivers

    ISBN 9788887847147 © il Sirente 

    di Liz Sly (Chicago Tribune)

    Il libro composto da conversazioni in taxi è diventato un best-seller che attraversa il paese.

    CAIRO, EGITTO – Khalid al-Khamissi ha scoperto qualcosa su cui i corrispondenti stranieri hanno scherzato per lungo tempo – i tassisti possono essere tra le migliori fonti di analisi di un paese.

    Non è solo che sono facilmente arrivabili. I Taxi driver incontrano una vasta gamma di persone ogni giorno, ascoltano le notizie alla radio; visitano ogni angolo della loro comunità e per la maggior parte del tempo sono annoiati, felici di chiacchierare con chiunque entri nel loro taxi.

    “Si comincia con le cose ordinarie, ma dopo 10 minuti cominciano a raccontarti cose che riflettono realmente l’anima della società”, spiega Khamissi, uno scienziato politico che ha studiato presso l’Università del Cairo e alla Sorbona di Parigi.

    C’è anche il fattore dell’anonimato, che entra in gioco nelle società con regime autoritario come l’Egitto. I tassisti danno voce alle loro menti, fiduciosi che non riincontreranno di nuovo la stessa persona e che le loro parole non potranno mai ritorcersi contro di loro.

    E così Khamissi si è occupato delle intuizioni dei tassisti che ha incontrato al Cairo per scrivere un libro, chiamato Taxi, sulla base di colloqui con i suoi taxi-drivers in un periodo di circa un anno.

    Il risultato è stato un inaspettato best-seller, ora alla sesta ristampa e con più di 60000 copie vendute, un numero elevato rispetto agli standard egiziani. E ‘stato tradotto in inglese. Spera che il prossimo anno verrà pubblicato nel Regno Unito e negli Stati Uniti.

    Non è tanto un libro sui tassisti quanto un ritratto della società egiziana, come l’era del 79enne presidente Hosni Mubarak che si avvicina alla fine.

    E ‘un libro sulla microcriminalità, le frustrazioni quotidiane dei poveri lavoratori egiziani che vivono nella quasi impraticabile metropoli del Cairo. È un libro per farti sentire in colpa se hai mai provato a contrattare sulla tariffa di un taxi in un qualsiasi paese povero.

    I tassisti di Khamissi’s cadono sotto il corrotto autoritarismo dittatoriale, ma sono troppo occupati a cercare di guadagnarsi da vivere che non fanno nulla. Pagano mazzette ai poliziotti piuttosto che perdere giorni di guadagno, intrappolati nel labirinto della burocrazia Egiziana, per pagare una multa. Si addormentano al volante dopo aver lavorato 72 ore non-stop per pagare le rate delle loro auto.

    Un tassista piange perché non può permettersi l’operazione necessaria a far cessare il suo mal di schiena, causato dal suo lavoro al volante.

    Khamissi attribuisce il successo di Taxi alla luce che fa risplendere sugli angoli bui della società egiziana. Lavoro artigianale di 57 conversazioni con i tassisti, il libro si propone di trasmettere la cruda verità dell’Egitto, di cui di solito si parla in privato.

    “Ho cercato di annullare l’autocensura che ogni scrittore egiziano fa. In Egitto viviamo la nostra vita in una gigantesca auto-censura”, ha detto in un’intervista all’ ufficio Cairota dell’impresa di investimenti dove lavora.

    Diversi redattori sono stati recentemente condannati al carcere per esprimere alcune delle opinioni espresse dagli anonimi tassisti di Khamissi, ma Khamissi non ha avuto alcun problema con le autorità.

    Il suo tassista deride il governo, racconta crude barzellette per screditare il sistema. Uno dice che vorrebbe vedere i fuorilegge fondamentalisti islamici Fratelli musulmani al potere, anche se non prega o non va alla moschea. “Perché abbiamo provato di tutto”, egli spiega.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • Taxi

    ISBN 9788887847147 © il Sirente 

    di Sasha Simic (da Socialist Review, marzo 2008)

    Circa 80000 taxi girano per le strade del Cairo. Le martoriate macchine in bianco e nero attraversano in modo caotico le strade della capitale Egiziana, sono così onnipresenti che è facile dimenticare che ciascuno di essi trasporta almeno una storia umana.

    L’anno scorso il giornalista egiziano Khaled Al Khamissi ha raccolto 58 conversazioni che ha avuto con i tassisti in un libro. Il risultato – Taxi – è stato un best-seller immediato. E ‘un meraviglioso lavoro, che cattura la lotta giornaliera dei lavoratori nel moderno Egitto, attraverso le loro stesse parole.

    I governanti egiziani hanno abbracciato con entusiasmo il neoliberismo rendendo la vita molto più difficile per la popolazione. I tassisti di questo libro sono giovani e meno giovani, religiosi e laici, rappresentanti di diversi gruppi provenienti da tutta la società egiziana, ma ognuno lotta per sopravvivere nella sua “pesce mangia pesce” società.

    Semplicemente cercare di rinnovare la patente di guida diventa un incubo di burocrazia e corruzione che non trova in Kafka un rivale. La maggior parte di loro odia il dittatoriale presidente Hosni Mubarak, e disprezza i ricchi egiziani. Molti capiscono che cosa le sfrenate forze del mercato hanno fatto alla loro vita: “Sono come un pesce e il taxi è come un contenitore di pesce… E ‘vero io guido in giro per tutto il giorno, ma vedo solo la parte interna del mio taxi, i miei limiti Sono le finestre del taxi. La Vita è una prigione, che termina nella tomba”.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • Le confessioni dei tassisti del Cairo

    ISBN 9788887847147 © il Sirente 

    di Omayma Abdel-Latif (da Book Review, Foreign Policy, settembre/ottobre 2007)

    Nel mese di luglio, quattro mesi prima della sua scomparsa, lo studioso Alain Roussillon espresse profonda preoccupazione per l’aumento delle tensioni nella società egiziana. Esse riflettono il ritorno della “questione sociale” nella politica egiziana. La più grande minaccia per il regime, ha suggerito, non è stata la Fratellanza musulmana o di qualsiasi altro gruppo di opposizione, ma piuttosto l’atteggiamento della popolazione verso di essa. A giudicare dai più di 200 sit-in, gli arresti, gli scioperi della fame, e le dimostrazioni che si sono verificate in tutto il paese solo lo scorso anno, gli egiziani esprimono sempre più autentiche rimostranze contro il loro governo.

    Ma non avrebbe senso, la paura o la rabbia della maggior parte degli egiziani che ascolta le élite politiche del paese parlare a seminari e saloni. Come in molti paesi di tutto il Medio Oriente, è la ” lingua della strada “, che spiega i modi in cui la maggioranza degli egiziani pensa e si comporta politicamente. Forte come sono numericamente, la maggioranza dei cittadini del paese rappresenta un Egitto la cui voce non è ascoltata.

    Quindi, Khaled Al Khamissi, uno scienziato politico egiziano trasformatosi in sceneggiatore e giornalista, ha messo in atto il modo di decifrare gli atteggiamenti politici della persona media sulle strade arabe, ha deciso di parlare con le persone che passano le loro giornate alla guida: i tassisti Del Cairo. Essi hanno il privilegio di mischiarsi con persone provenienti da tutto lo spettro sociale, e in quanto tali, le loro opinioni spesso riflettono il pensiero di al-ghalaba, un termine popolare coniato per riferirsi agli strati più bassi della società, coloro che vivono ai margini della politica e sono colpiti da essa. Durante il suo anno di viaggi quasi esclusivamente in taxi, Khamissi è giunto a credere che alcuni tassisti offrono un’analisi molto più profonda degli analisti politici, e che sono importanti barometri degli umori popolari e delle rimostranze contro il governo.

    Il risultato della sua ricerca è Taxi, un romanzo pubblicato a gennaio (2007) e diventato già un best-seller, con oltre 35.000 copie vendute in un paese in cui le 3000 copie sono considerate come un successo Ma invece di tessere insieme un ben definito intreccio narrativo o un’avventura, Khamissi ha prodotto una serie di vignette di diverse esperienze di tassisti, nel tentativo di catturare l’immagine il più ampia possibile dell’altra faccia della politica egiziana. Per questo motivo, e forse anche per proteggere i caratteri “identità”, i tassisti che egli introduce in taxi sono figure composite, prodotti fittizi del suo tempo trascorso a parlare di tutto, dall’ economia e educazione alla salute e la politica.

    L’interesse Egiziano per il libro non dovrebbe sorprendere. Anche se vi è stato un diffuso lavoro accademico per tentare di capire “cosa è successo agli egiziani,” il romanzo di Khamissi spicca. Il suo approccio improbabile, la lucida prosa, e un raro spaccato sulla coscienza popolare rende Taxi forse la più interessante delle opere che la cronaca sociale e le trasformazioni politiche Egiziane hanno prodotto nel corso degli ultimi cinque decenni.

    Naturalmente, è utile la sua scelta di documentare la “strada” in uno dei momenti più politicamente pieni della recente storia egiziana. Per la prima volta nel corso dei decenni, il dissenso popolare non è stato diretto principalmente contro Israele o gli Stati Uniti, ma contro un avversario interno-lo stato, la sicurezza e i sistemi che controllano i centri nervosi del regime. Dall’ aprile 2005 al marzo 2006, Khamissi ha guardato la strada emergere come centro della scena politica, da proteste anti-regime, dimostrazioni, elezioni, e aberranti scene di violenza commesse contro i manifestanti.

    Aveva una frontale, più esattamente, vista da dietro le quinte delle reazioni egiziane al primo movimento indipendente di protesta che sfidava il regime del Presidente Hosni Mubarak. Bisognava seguire Una serie di eventi politici, compreso il paese alle prime elezioni presidenziali, con ben nove candidati che concorrevano al posto di presidente. (Non che questo abbia fatto qualche differenza.) Poi sono arrivate le elezioni parlamentari in cui la Fratellanza musulmana ha vinto 88 seggi, dopo dure, violente battaglie e misfatti del partito al potere. L’anno ha visto anche la strada diventare il cuore della battaglia tra i giovani sostenitori di Mubarak e i suoi oppositori.

    E in tutto questo Khamissi guardava e ascoltava i tassisti, che sono spesso insegnanti, ragionieri, avvocati di formazione, ma il cui paese non è in grado di offrire un lavoro adatto alla loro istruzione. Indignati dall’ austerità economica e guidati dal malcontento delle classi inferiori impoverite, i tassisti stanziati nel loro piccolo spazio pubblico per sfogare la loro rabbia e frustrazione contro il governo e agli stranieri che aderiscono a simili rimostranze. La genialità di Taxi è che coglie il punto in cui il taxi cessa di essere solo un mezzo di trasporto e diventa invece uno spazio di dibattito e di scambio, in un momento in cui tutti gli altri spazi pubblici, tra cui la stessa strada, erano diventati inaccessibili sotto la Brutale forza della polizia di Stato.

    Nel mezzo di questa tumultuosa atmosfera, Khamissi ha lanciato grandi intuizioni nella schizofrenica relazione tra gli egiziani e lo stato. Vi è allo stesso tempo un disprezzo profondamente radicato per l’autorità, ma anche una schiacciante paura che li blocca a ribellarsi contro di essa. Alcune teorie datano questo conflitto indietro nel tempo, al tempo dei faraoni, rilevando che l’Egitto è sempre stato un forte stato interventista, e gli egiziani hanno quasi religiosamente temuto e adorato la sua autorità dagli albori del paese. Khamissi ricrea un incidente che riflette questo rapporto ambivalente attraverso un tassista che insulta il Ministero degli interni, simbolo di oppressione per molti, ma allo stesso tempo dice che lo rispetta.

    In un altro episodio, Khamissi offre una semplice risposta sul motivo per cui gli egiziani non aderiscono alle proteste di piazza, nonostante la loro sofferenza e la miseria. ” ora Tutto ha perso il suo significato “, dice un autista. “Duecento persone sono circondate da due mila ufficiali di leva.” Anche se, come dice Khamissi, la percezione popolare del governo è che “è debole, corrotto, e terrorizzante. Se ci si soffia sopra, cade a pezzi “, dicono diversi tassisti. Ma se questa è la percezione dominante, perché non si uniscono contro di essa? Spiegando la cronica apatia politica degli Egiziani, un tassista commenta: “Il problema è che in noi egiziani, il governo ha piantato i semi della paura di morire di fame. Questo ci fa pensare solo a noi stessi, e la nostra unica preoccupazione è come far quadrare il bilancio. ” Stiamo vivendo una menzogna, e il ruolo del governo è quello di assicurarsi Che noi continuiamo a crederci. “

    Tra i tassisti a cui da voce Khamissi, la questione economica resta in gran parte il vero mal di testa- con stipendi che sono appena sufficienti per le necessità di base e le variazioni dei prezzi sono una routine quotidiana. I tassisti danno la colpa al governo, che pensa solo ai “ricchi turisti”. “Il piano reale del governo è di farci uscire dal paese. Ma se lo facciamo, non avrà nessuno da imbrogliare e da derubare. “Non esattamente il tipo di realtà che si può avere da saloni o dagi incontri di riflessione sulla democratizzazione in Medio Oriente al Cairo.

    Questo è esattamente il motivo per cui Khamissi ha colpito. Più di tutto, i suoi racconti suggeriscono che vi è un grande magazzino sociale di rabbia e frustrazione contro lo status quo. La triste realtà è che, se la rappresentazione del Cairo di Khamissi è vera, vi sono scarse probabilità che la loro scontentezza sia presto trasformata in una forza per il cambiamento di una società, il cui sviluppo è stato bloccato per tanto tempo.

    Omayma Abdel-Latif è coordinatore di progetti presso il Carnegie Endowment for International Peace’s Middle east Center a Beirut.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • Un taxi cairota guida con uno scrittore seduto nel sedile posteriore

    ISBN 9788887847147 © il Sirente 

    di Scott Jagow (da Marketplace, 3 marzo 2008)

    Khaled Al Khamissi ha trascorso un anno parlando con i tassisti su e giù per il Cairo. Poi ha scritto un libro per raccontare la storia di una frustrata classe operaia. Scott Jagow seduto in un taxi con lui per sentire di più e vedere la città.

    Scott Jagow: Questa è la strada Cairota. Caotica e inquinata, certamente. Ma anche piena di vita. La prossima settimana, vi mostreremo il Medio Oriente al lavoro. Come le persone fanno affari in questa parte vitale del mondo. La prima persona che ci soddisfa è Khaled Al Khamissi. Ha trascorso un anno al Cairo in giro sui taxi – semplicemente parlando ai loro conducenti. Poi ha scritto un libro per raccontare la storia di un frustrata classe operaia. Abbiamo preso un taxi con lui per sentirne di più.

    Ma, dal momento che questo è l’Egitto, prima di tutto negoziamo la tariffa con il conducente. Una volta che ci siamo sistemati, ho chiesto a Khaled che dice il suo libro dell’Egitto, e della gente del Cairo.

    Khaled Al Khamissi: Molte persone parlano di oppressione in termini di oppressione politica. Ma che cosa si soffre qui in Egitto, è l’oppressione economica. L’Egitto ha un potenziale, e questo potenziale è andato perso al 100 per cento.

    Jagow: Un cento per cento. Suona piuttosto senza speranza.

    Al Khamissi: Sì. Penso che ci troviamo in una situazione senza speranza, e la gente deve lavorare 20 ore al giorno per sopravvivere.

    Jagow: Khaled, puoi raccontarmi una storia, una che potrebbe rappresentare il libro?

    Al Khamissi: posso dirti una storia. È la storia di un tassista. Mi ha detto che un funzionario di polizia, dopo un’ora in taxi, gli chiese, “Dammi la tua carta di identità “. Ed egli sapeva che voleva dei soldi. E poi gli ha dato 5 sterline. E il funzionario ha detto: “Questo non è abbastanza”. E allora gli ha dato 10 sterline. E queste 10 lire sono gli unici soldi che questo tassista ha guadagnato in cinque o sei ore ‘di lavoro.

    Jagow: Alla fine del libro, dopo la lettura di tutte queste storie in cui si sentiva un senso di disperazione, l’ultima storia sembrava avere qualche speranza. Hai sentito un senso di speranza alla fine, quando stavi finendo il libro?

    Al Khamissi: certamente – non si può vivere senza speranza. Credo che il popolo egiziano ha il grande potere di scherzare giorno per giorno. Questa è anche la nostra speranza – la nostra vera speranza.

    Jagow: Puoi dirmi uno degli scherzi, per voi rappresentativi?

    Al Khamissi: posso dirvi la barzelletta del giorno.

    Jagow: OK, abbastanza equo.

    Al Khamissi: Al Cairo ci sono 18 milioni di persone, e 18 milioni di persone in una sola città è molto. Voglio andare lì – per cinque minuti di lavoro, e tre ore di macchina.

    Jagow: Che somma da record.

    Al Khamissi: Hahaha.

    Jagow: Khaled, la ringrazio molto, è stato un piacere viaggiare in taxi con te.

    Al Khamissi: Grazie a te, il piacere è il mio.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • Simone Benvenuti

    Nato a Roma, Simone Benvenuti ha studiato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Ha vissuto in Canada, Francia e Roma, dove attualmente vive e lavora. Ha collaborato con la Newton Compton Editori e il Gruppo Espresso. È autore di traduzioni dal francese e pubblicazioni di diritto costituzionale comparato.

    PER ULTERIORI INFO SULL’ATTIVITÀ DI SIMONE:
    @ simone_benvenuti@tiscali.it

  • Enrico Monier

    Enrico Monier (Roma1970) è un giornalista e traduttore italiano.

    Ha studiato Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Ha lavorato presso l’Ufficio Stampa e Relazioni Esterne del Touring Club Italiano, Sede di Milano, e collaboratore del Centro Studi e Formazione del TCI, della “Rivista del Turismo” e del periodico “Qui Touring”, sempre del Touring Club Italiano, Sede di Milano. Ha collaborato con il Corriere della Sera in Cronaca di Roma e Ultime Notizie, quotidiano regionale del Lazio. È stato redattore a Libertà di Piacenza. Dal 1996 al 1998 ha curato la rubrica su arte e letteratura di Viatico, bimestrale campano di arte contemporanea. Ha collaborato con l’Archivio del 900 della Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. È autore di traduzioni dall’inglese, tra cui recentemente l’inchiesta giornalistica The Oil and the Glory: the pursuit of empire and fortune on the Caspian Sea di Steve LeVine (pubblicato nel 2008 dall’Editrice il Sirente con il titolo Il petrolio e la gloria: la corsa all’impero e alla fortuna del Mar Caspio).

    Pubblicazioni

    Collegamenti esterni

    FONTE: Enrico Monier. (1 giugno 2008). Wikipedia, L’enciclopedia libera. Tratto il 1 giugno 2008, 17:09 da http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Enrico_Monier&oldid=16487639.
  • Nawal El Saadawi

    Nawal El Saadawi 

    Nawal El Saadawi, paladina dei diritti delle donne e della democratizzazione nel mondo arabo, è conosciuta internazionalmente come scrittrice e psichiatra. I suoi libri sulla condizione della donna nel mondo arabo hanno avuto un profondo effetto sulle ultime generazioni. A seguito delle sue pubblicazioni scientifiche e letterarie ha dovuto affrontare numerose difficoltà. Nel 1972 ha perso il suo lavoro presso il governo egiziano; “Health” il  giornale da lei fondato è stato chiuso dopo 3 anni di attività. Nel 1981, sotto il governo del presidente Sadat è stata incarcerata, fu rilasciata un mese dopo l’assasinio di Sadat. Dal 1988 al 1993 il suo nome era tra quelli segnati su una lista di morte di un gruppo terroristico fondamentalista. Alcuni suoi romanzi tra cui “l’amore ai tempi del petrolio” sono stati banditi e censurati dalla massima istituzione religiosa Egiziana Al Azhar, che ha ordinato il ritiro da tutte le librerie egiziane. Il 15 giugno del 1991 a seguito di un decreto del governo egiziano è stata chiusa l’AWSA (Arab women’s solidarity associationn) che Nawal presiedeva, tre mesi prima della chiusura dell’associazione il Governo chiuse il giornale dell’associazione “Noon” di cui Nawal Al Saadawi era capo redattrice. Nawal ha vinto numerosi premi letterari e ha presieduto diverse conferenze in giro per il mondo. L’8 dicembre del 2004 si era presentata come candidata alle prime libere elezioni presidenziali in Egitto.

  • Cenni storici su Regina Coeli

    La storia di Regina Coeli è determinata dalla storia di Roma e dell’Italia. Il modo in cui storia della città e del carcere si intrecciano si evince chiaramente anche solo dai brevi cenni che seguono, a dimostrazione del fatto che il carcere è parte, a pieno titolo, del tessuto cittadino.

    Nel 1973 l’attore francese Pierre Clémenti ha scritto un libro che si intreccia con questa storia ed è apparso nuovamente nel 2007 presso l’Editrice il Sirente con il titolo Pensieri dal carcere. Il libro ripercorre attraverso riflessioni e flash narrativi l’esperienza carceraria dell’attore e regista: l’arresto, l’arrivo nel carcere di Rebibbia e poi in quello di Regina Coeli, l’incontro con l’umanità repressa e dimenticata, la cruda realtà delle rivolte e delle rappresaglie, l’annullamento spirituale ancor prima che fisico, l’ipocrisia del ceto dirigente italiano, il processo fino all’assoluzione definitiva che suonerà paradossalmente come una condanna. L’articolo che segue è a cura di Luciana Arcuri e le notizie storiche sono tratte da:

    • ADINOLFI G., Storia di Regina Coeli e delle carceri romane, Roma, Bonsignori, 1998;
    • D’AMICO S., Regina Coeli, Palermo, Sellerio, 1994;
    • ROSSI E., Nove anni sono molti. Lettere dal carcere 1930-39, Torino, Bollati Boringhieri, 2001;
    • CLÈMENTI P., Pensieri dal carcere, Fagnano Alto (AQ), Editrice il Sirente, 2007.

    L’Edificio e la conversione in carcere
    La costruzione venne iniziata nel 1643 per ospitare un monastero, che la committente Anna Colonna volle posto sotto la direzione dei Carmelitani Scalzi. Fu poi aperto nel 1654 ed affidato alle cure di Suor Maria Chiara della Passione, anche lei appartenente alla famiglia dei Colonna. Già due anni dopo, nel 1656, rischiò di cambiare destinazione d’uso: a causa di un’epidemia di peste si pensò di utilizzarlo come lazzaretto, come del resto accadde ad altri edifici religiosi della zona. Regina Coeli alla fine fu invece risparmiato.
    Per la prima volta ospitò detenuti condannati a pene brevi, e solo in alcune celle, dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, con la conseguente confisca dei beni ecclesiastici. Esistevano a Roma, in quell’epoca, quattro carceri: San Michele, prima ospizio, poi carcere minorile e infine carcere degli oppositori politici nello Stato Pontificio, le Carceri Nuove e Regina Coeli per gli uomini, mentre alle donne era destinato il Buon Pastore. I tre istituti maschili disponevano di 64 cameroni e 202 celle per una popolazione di circa mille detenuti.
    Dal 1872 si accese anche in Italia un dibattito sullo stato e l’insufficienza degli stabilimenti penitenziari, come del resto avveniva in Europa e in America. Si discuteva allora, non per la prima volta, su come regolamentare la vita detentiva, in particolare sull’opportunità del silenzio assoluto, dell’isolamento notte e giorno, del lavoro. Fu proposta la costruzione di un unico grande carcere, degno della città che, secondo una legge del Regno d’Italia del 1864, doveva essere a sistema cellulare, ossia prevedere una cella per ogni detenuto. Si discusse anche sul luogo della costruzione: fu scartata la zona di S. Croce in Gerusalemme per l’alto rischio malarico, si trattò per il Convento delle Sette Sale al Colle Oppio; ma la rapida crescita demografica della città rese indispensabili altre ed ingenti spese per la costruzione di nuovi quartieri e nuove strade. Infine, nel 1880, Depretis, Ministro dell’Interno, dichiarò l’intenzione del Governo di limitarsi ad un progetto più semplice e meno costoso.
    Fu allora che si decise di trasformare in Carcere Regina Coeli, che si trovava in una zona, a quei tempi, poco abitata ma non lontana dal centro. Oltre ad ospitare già condannati a pene brevi, per una capienza di circa 200, dal 1873 era anche sede di una scuola per 150 allievi aspiranti guardie carcerarie, motivo per cui si fa risalire a questa data l’origine della polizia penitenziaria. Successivamente, dal 1903 ospiterà una scuola di polizia scientifica.
    La ristrutturazione ebbe inizio nel 1881 e fu terminata nel 1900. Anche nei decenni seguenti vi saranno ristrutturazioni e ampliamenti che sfrutteranno il vicino convento delle Mantellate, che dal 1873 era destinato alle detenute, le ultime delle quali saranno trasferite a Rebibbia nel 1959. In principio fu concepito con tre distinti fabbricati: quello affacciato su Via della Lungara, ospitante la direzione, gli alloggi, il corpo di guardia, il parlatorio, la cucina, il medico e i magazzini; due fabbricati a crociera con una rotonda centrale coperta da una grande volta a padiglione, ospitanti le celle. Secondo un uso ereditato dai secoli precedenti erano previste celle a pagamento e la possibilità di farsi portare il vitto da fuori, e tale condizione permarrà sicuramente almeno sino al 1943.
    Si parla della demolizione di Regina Coeli già nel congresso penale e penitenziario di Berlino del 1935. Ci si pose allora come obiettivo per il seguente Congresso, che doveva tenersi a Roma, la costruzione di una città penitenziaria, che doveva sorgere a Forte Boccea, con celle singole, ospedale e officine. Ma la guerra d’Etiopia, l’appoggio a Franco in Spagna e poi lo scoppio della seconda guerra mondiale resero ancora una volta prioritarie altre spese. A Regina Coeli furono invece installati nuovi laboratori di radiologia e analisi, nonché l’infermeria medica e chirurgica, ed alla tipografia e alla legatoria già esistenti si aggiunsero la falegnameria, la sartoria e la calzoleria.
    Neanche dopo la costruzione dell’imponente complesso di Rebibbia, che comprende quattro diversi istituti penitenziari, si è giunti alla chiusura di Regina Coeli, ove a tutt’oggi sono in corso lavori di ristrutturazione. Né per il giubileo del 2000, sempre per via dell’elevato importo della spesa. Pure, ora più che in passato, l’età e la concezione stessa dell’edificio danno luogo a uno stridente contrasto con la concezione della pena e con quanto previsto dall’Ordinamento Penitenziario e dall’ultimo Regolamento. Si pensi agli spazi dedicati alla cosiddetta “ora d’aria”, piccoli cortili in cemento, alla mancanza di strutture dedicate all’esercizio fisico, all’assenza di locali adatti ad attività comuni all’intero carcere (come è ben noto, tutte le attività all’interno di Regina Coeli, dai concerti alle visite dei Papi, fino alla liturgia domenicale, avvengono nella prima rotonda); fino alla mancanza di riscaldamento in alcune sezioni.

    Durante il fascismo
    Con l’avvento del fascismo e la repressione degli oppositori politici, Regina Coeli vedrà passare nomi illustri della cultura italiana e personaggi che ricopriranno in seguito importanti cariche istituzionali: ricordiamo in particolare Sandro Pertini, che sarà protagonista con altri di un’evasione, Gaetano Salvemini, Alcide De Gasperi, Gramsci, che vi fu detenuto per brevi periodi ma li ricorda tra i peggiori del suo tempo in carcere, Cesare Pavese, Luchino Visconti.
    I politici erano in gran parte reclusi nel VI braccio, dove, fino al 1943, erano in isolamento. Le condizioni di vita erano durissime: un solo pasto di pane e minestra al giorno, cimici, condizioni igieniche precarie.
    Francesco Fausto Nitti, che rimase a Regina Coeli tre settimane nel 1926, accusato di cospirazione, descrive nel libro “Le nostre prigioni e la nostra evasione” le condizioni della detenzione nelle celle di rigore: “…Ogni cella è lunga un metro e mezzo e larga un metro. Ha una porta di legno massiccio, fornita di due cancelli di ferro. Un uomo chiuso là dentro per tanti giorni ha l’impressione di essere sepolto vivo. Il pane e l’acqua sono i suoi alimenti. Una tavola di legno fissata al muro è il giaciglio. La luce entra da un piccolo finestrino sul soffitto altissimo. Poiché il finestrino è fornito di duplici sbarre, di griglie e di vetri polverosi, la luce non entra in quella tomba che per due ore al giorno…C’è un’orribile ricercatezza nell’infliggere sofferenze: nelle “celle di rigore” l’acqua è contenuta in un recipiente metallico, assicurato a una catena e posto tra i due cancelli che sono all’ingresso. Per bere occorre inginocchiarsi a terra, alzare al di là del primo cancello attraverso le sbarre il recipiente e avvicinarlo alla bocca. E’ un supplizio di Tantalo riveduto e corretto.”.
    Delle condizioni di detenzione a Regina Coeli in questo periodo, e di come fosse affrontata dai prigionieri politici, ci ha lasciato testimonianza Ernesto Rossi che vi rimase oltre sei anni. Insegnante, poi scrittore, fu arrestato con altri componenti di Giustizia e Libertà. Isolamento in cella, censura sulla corrispondenza con i familiari, triplo nulla osta (del direttore del carcere, del cappellano e del Ministero dell’Interno) per l’acquisto di libri, testa rasata, divisa a righe, due ispezioni quotidiane della cella e qualcuna di notte, controllo a vista dallo spioncino, lampadina accesa tutta la notte, troppo debole per leggere, troppo forte per dormire, vitto scarso, assenza di riscaldamento sono caratterizzanti il suo soggiorno nel carcere romano. Pure, gli aderenti a Giustizia e Libertà avevano due ore al giorno di incontro in una sala comune, in realtà allo scopo di ricavare informazioni, poiché, con uno dei primi esperimenti italiani di controllo ambientale, nella stanza erano stati nascosti dei microfoni, come per altro venivano ascoltati, nonostante il divieto di legge, i colloqui con gli avvocati (che potevano essere chiamati solo per motivi personali e civili, come una separazione). Quelle due ore erano dedicate all’amicizia , all’ironia verso il regime e la propria condizione, e soprattutto allo studio comune di varie materie, dal diritto all’economia alla matematica. Si trattava infatti di persone colte, che utilizzarono al meglio il tempo del carcere, e lo strumento della lettura e dell’apprendimento per resistere a una detenzione di cui non conoscevano la fine. In compenso era vietato scrivere nella sala comune e quindi prendere appunti; In un’intercettazione del 1934 Rossi diceva: ”Ma io scrivo ugualmente…scrivo a terra con l’acqua e il dito; il Ministero non vuole che noi si scriva, ed io scrivo lo stesso; l’acqua ce la lasceranno speriamo, e con il dito posso scrivere quanto voglio.”
    Rossi, e probabilmente non fu il solo, fu sostenuto nella sua decisione di non abiurare la propria posizione antifascista sia dalla madre che dalla moglie, che anzi lo sposò in carcere nel 1931, perdendo per questo il posto di lavoro.
    Condizioni dure, che saranno però impensabili poco dopo, alla caduta del fascismo.

    Dal 25 luglio 1943 alla fine della guerra
    Dopo l’arresto di Mussolini, il governo Badoglio decreta la scarcerazione dei prigionieri politici, fatta eccezione per gli anarchici e i comunisti, che saranno scarcerati in agosto in seguito alle pressioni delle organizzazioni sindacali.
    Cominciano invece ad affluire a Regina Coeli esponenti di rilievo del Partito Fascista, tra cui Bottai, fondatore dei fasci e Achille Storace, segretario del partito. Fu una parentesi di breve durata. Subito dopo l’8 settembre infatti, il terzo braccio fu occupato dai Tedeschi, e fino alla fine della guerra Regina Coeli fu utilizzata per gli arresti effettuati dai Tedeschi e dai fascisti della Repubblica di Salò, insieme al carcere di Via Tasso.
    Oltre ai partigiani e ai politici furono incarcerati in questo periodo anche molti appartenenti alle diverse armi per atti di boicottaggio o per aver fornito armamenti e aiuti alla guerra partigiana; sacerdoti e laici per aver nascosto ebrei. Ma bastava molto meno, anche solo la diffusione di volantini. Solo in questo periodo, nell’intera storia del carcere, nel terzo braccio furono recluse anche donne. Si tratta di un periodo del tutto particolare, perché la guerra era ormai anche guerra civile e ciò che avveniva, in particolare l’olocausto, coinvolsero nella necessità di una scelta tante persone diverse per storia, formazione e ruolo sociale: sacerdoti, militari, comunisti, anarchici, cattolici, studenti e professori universitari. Solo in questo particolare momento il personale del carcere, dal direttore ai medici agli agenti di custodia, prese posizione contro i tedeschi favorendo in vari modi i prigionieri, salvando la vita ad alcuni, ed addirittura organizzando l’evasione di cui fu protagonista tra gli altri Sandro Pertini. Si giunse ad alloggiare a Regina Coeli fino a 2500 persone, quando la capienza massima, già al limite del vivibile, è inferiore ai 900. Tanto che in ottobre ci fu una sollevazione dei detenuti comuni, che presero in ostaggio due magistrati finchè la rivolta non fu repressa con le armi. Il vitto scarseggiava, anche in relazione alla penuria all’esterno. Non era più il tempo della resistenza dei detenuti politici, né degli studi, essere arrestati dai tedeschi significava tortura e spesso la morte. Furono scarcerati i gerarchi fascisti arrestati dopo il 25 luglio, ed arrestati invece diversi firmatari dell’ordine del giorno Grandi, presentato il 25 luglio contro Mussolini. In ottobre vennero presi anche Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, che saranno sottratti al terzo braccio e quindi ai tedeschi perché i documenti relativi ai loro processi erano stati intenzionalmente recapitati alla giustizia militare italiana, e in seguito fatti evadere con la complicità di diverse persone. In novembre, nel corso di una retata presso la tipografia del giornale Italia Libera, voce ufficiale del Partito d’Azione, fu arrestato tra gli altri Leone Ginzburg, che ne era direttore, e che morirà in febbraio nell’infermeria del carcere in seguito alle percosse subite dai nazisti.
    Qui venne mandato a morire, per le torture subite a Via Tasso, anche Bartolo Di Pietro, che era comandante di un gruppo di partigiani. I nazisti di solito trasferivano da Via Tasso a Regina Coeli i prigionieri già stremati dalle torture, quando non ritenevano più utile prolungarle per ottenere informazioni.
    Gli arresti erano numerosi anche in conseguenza di una diffusa attività di delazione che si verificò in quei mesi, tanto che a Via Tasso c’era un ingresso sul retro dedicato alle spie, da cui si poteva passare senza essere notati.
    Nel febbraio furono condotti a Regina Coeli anche i 66 uomini arrestati in seguito all’irruzione nel monastero della Basilica di San Paolo, dove erano nascosti.
    A meno di 24 ore dall’attentato di Via Rasella si consumò la strage delle Fosse Ardeatine. Il numero fissato per le esecuzioni era di dieci per ognuna delle 32 vittime tedesche. Durante il processo Kappler dichiarò che avendo avuto notizia della morte di un altro dei feriti, aveva lui stesso deciso di aumentare a 330 i morti per rappresaglia. Per raggiungere il numero prestabilito Kappler chiese al questore Caruso 50 prigionieri. Il questore chiese a sua volta a Regina Coeli un elenco, in cui andavano inclusi i già condannati alla pena capitale, o coloro le cui accuse prevedevano la pena di morte. Ma poiché l’elenco tardava, e i nazisti avevano fretta perchè la strage fu eseguita in segreto, vennero aperte le celle e furono scelti prigionieri a caso, tra cui già assolti e imputati di reati lievi, e tutti i 66 ebrei presenti nel terzo braccio. Vi erano persone fermate ai posti di blocco e non ancora interrogate; tra gli altri nove ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Invece di 320 i giustiziati furono 335, come si seppe dopo la Liberazione, quando si procedette all’identificazione delle salme. Secondo alcune testimonianze dirette di altri allora detenuti, dal terzo braccio di Regina Coeli furono fatte partire, fu detto per lavorare, 192 persone.
    Dopo la strage l’attività di arresti e conseguenti esecuzioni non si fermò. Ricordiamo qui, per tutti, la figura assai nota di Don Giuseppe Morosini, la cui vicenda ispirò poi il film “Roma città aperta” di Roberto Rossellini.
    Ai primi di giugno del 1944 tutti avvertivano l’imminente arrivo delle forze alleate. I nazisti si ritirarono, sostituiti nella custodia del carcere, in realtà per circa un giorno, da reparti provenienti dall’Alto Adige. Il 4 giugno il Comitato di Liberazione Nazionale decretava l’immediata scarcerazione dei prigionieri politici.
    Sotto il governo presieduto da Bonomi, fu nominato sovrintendente alle carceri il capitano americano Freeman. Per prima cosa si procedette alla ristrutturazione di Regina Coeli, e tra l’altro ad imbiancare le pareti, con la cancellazione delle scritte murali dei detenuti. Ne fu rinvenuta una che ricordiamo perché legata alla storia della deportazione degli ebrei romani: era di un giovane ebreo, morto alle Fosse Ardeatine, che accusava Celeste Di Porto, detta la “pantera nera”, una ragazza anch’essa ebrea, tristemente nota in città per la sua attività di delazione, sulla cui vicenda Giuseppe Pederiali ha scritto un bel libro intitolato “Stella di Piazza Giudia”. E’ una delle figure che la memoria dei romani si tramanda, come quella della donna, una povera gattara, che cercò di avvisare gli abitanti del ghetto dell’inizio dell’arresto in massa e non fu creduta, anch’essa immortalata nel romanzo “La storia” di Elsa Morante.

    Dal dopoguerra ai giorni nostri
    Subito dopo la Liberazione cominciarono i processi ai fascisti. Tra gli altri quello contro il questore di Roma Pietro Caruso, che fu a sua volta detenuto a Regina Coeli. Al processo erano presenti i parenti dei prigionieri prelevati da Regina Coeli per le Fosse Ardeatine; si radunò una vera e propria folla, che invase il Palazzo di Giustizia, tanto che la prima udienza fu sospesa. Tra la folla sempre più agitata si trovava anche Donato Carretta, direttore del carcere dal settembre 1943 al luglio del 1944, che doveva testimoniare contro il questore. Qualcuno però lo scambiò per Caruso. Sottratto ad un primo tentativo di linciaggio nell’aula, fu riconosciuto all’uscita; dopo un tentativo andato a vuoto di costringere un conducente di tram a schiacciarlo, la folla lo gettò nel fiume e ne appese poi il corpo sul portone di Regina Coeli. Terribile ed efferata esplosione, che testimonia però quale sconvolgimento a livello del sentire cittadino avesse provocato la strage delle Fosse Ardeatine.
    Anche Kappler restò un anno a Regina Coeli in attesa del processo tenutosi presso il Tribunale Militare che allora era a Palazzo Salviati; e Pietro Koch, capo di una banda di fascisti che aveva imperversato per la città, arrestando e torturando quanto i nazisti, che fu completamente isolato, e poi fucilato.
    Poi Regina Coeli tornò ad essere un carcere per i reati comuni. Bisogna giungere alla fine degli anni ’60, con l’arresto di Pietro Valpreda per la bomba che esplose alla Banca dell’Agricoltura a Milano, perché si torni a parlare di accusati di atti di boicottaggio politico. In realtà fu poi scagionato, e si parlò di strage di stato. Si inaugurava però la stagione dei nuovi detenuti politici: questa definizione in realtà si deve a loro stessi, che tali si consideravano nei confronti di un sistema che ritenevano di dover abbattere con la violenza.
    Cambiava anche il rapporto tra “politici” e “comuni”: mentre durante l’occupazione tedesca erano stati i detenuti comuni a sollevarsi, reclamando un’amnistia prima per l’insediamento del governo Badoglio e poi per la Repubblica di Salò, le rivolte che scuoteranno il sistema penitenziario in tutta Italia negli anni ’70 saranno viceversa spesso fomentate e capeggiate dai politici che, oltre ad avere a disposizioni maggiori strumenti culturali, elaborarono un discorso di tipo politico e strutturale sul carcere e il suo ruolo nell’attuale società, sia dentro che fuori le mura dei penitenziari. Il clima culturale e politico di quegli anni, insieme al dilagare delle rivolte, che chiedevano la riforma penitenziaria, condussero in effetti ad una serie di studi e inchieste sulle condizioni di detenzione e ad una riflessione sulla finalità della pena e quindi sulla sua applicazione. Tutto ciò contribuì a dare vita all’Ordinamento Penitenziario, ancora in vigore, che fu promulgato nel 1975. Pur portando un enorme cambiamento all’interno del sistema carcerario, si può dire che ancora oggi esso non sia pienamente realizzato, ma come spesso accade, delinea comunque una realtà cui bisogna idealmente tendere.
    Anche Regina Coeli è stata teatro di una rivolta nel 1973, che causò molti danni. In seguito, poiché le condizioni igieniche erano una delle rivendicazioni avanzate, dall’unione di due celle si ricaverà il gabinetto. Poi, con la fine degli anni ’70, vedrà passare i terroristi; e vari attentati saranno diretti a persone dell’amministrazione penitenziaria, dal dirigente sanitario di Regina Coeli, a un’impiegata del centro studi del Ministero,  a una vigilatrice di Rebibbia, fino al generale dei carabinieri Galvaligi, che era responsabile dell’Ufficio Coordinamento delle misure di sicurezza negli istituti penitenziari.
    Negli anni ’90 si è costituito un Comitato di Ispettori Europei che ha visitato questure e carceri in tutta Europa; il rapporto sulla realtà italiana è stato pubblicato da Sellerio nel 1995; non manca di rilevare l’inadeguatezza della struttura di Regina Coeli.
    La bibliografia allegata, pur parziale, fornisce titoli utili sia nell’ambito delle testimonianze personali che della riflessione e degli studi storico-giuridici sul carcere.

  • Reportage dai taxi egiziani. Ed è bestseller

    ISBN 9788887847147 © il Sirente 

    di Paolo Casicci (da Il Venerdì di Repubblica, numero 1042, 7 marzo 2008)

    ON THE ROAD Un cronista ha raccolto storie e sfoghi sulle auto pubbliche del Cairo

    Un giornalista, qualche decina di tassisti e una valanga di proteste contro il governo e i politici. Non è la riedizione della rivolta italiana delle auto bianche, ma il soggetto di un libro campione di vendite in Egitto: Taxi, di Khaled Al Khamissi. Il volume raccoglie cinquantotto racconti che l’autore, scrittore e giornalista del Cairo, classe ’62, una laurea in Scienze politiche alla Sorbona, ha scritto dopo avere circolato per un anno nella propria città solo a bordo di auto pubbliche. Raccogliendo, così, lo sfogo dei conducenti, campionario umano molto rappresentativo della crisi sociale in corso nel Paese del presidente Hosni Mubarak. Il linguaggio del libro è quello della strada, e i racconti alternano ironia e amarezza. Uscito in patria un anno fa, Taxi è stato ristampato sette volte e sta per essere tradotto in inglese, francese e italiano. Da noi, uscirà dopo l’estate per l’editore il Sirente de L’Aquila.

  • Steve LeVine

    Steve LeVine 

    Steve LeVine è stato in Asia Centrale e nel Caucaso per 11 anni – a partire da due settimane dopo il crollo sovietico del 2003.

    È stato corrispondente del The Wall Street Journal per la regione delle otto-nazioni e prima ancora per il New York Times.

    Dal 1988 al 1991 è stato corrispondente del Newsweek in Pakistan e Afghanistan. Prima di ciò, ha coperto le Filippine per il Newsday dal 1985 al 1988. Ha lavorato sul petrolio con lo staff del The Wall Street Journal dal gennaio 2007.

    Attualmente sta scrivendo un nuovo libro sulla Russia che, tra le altre cose, cerca di spiegare la serie di omicidi di alto profilo.

    LeVine è sposato con Nurilda Nurlybayeva e insieme hanno due figlie.

    PER ULTERIORI INFO SULL’ATTIVITÀ DI STEVE:
    W http://oilandglory.com
    @ stevlevine@gmail.com

  • Per le strade del Cairo su un taxi bianco e nero

    L’inviato del Marketplace Morning Report Scott Jagow vaga per le strade del Cairo su un taxi bianco e nero con Khaled Al Khamissi, autore di “Taxi”. Khamissi è stato per un anno intero girando il Cairo a bordo di taxi e parlando con gli autisti. Questo libro racconta le storia della classe operaia frustrata dell’Egitto.

    [http://www.vimeo.com/740107/l:embed_740107]

  • Un talento folle, un libro folle

    di Réginald Martel (La Presse, Sabato 21 marzo 1981)

    Più di trecento pagine di grande formato e a caratteri piccolissimi, è una cosa da far paura. E François Barcelo, detto tra noi, non è un nome noto. E il titolo del suo libro, Agénor, Agénor, Agénor et Agénor, di per sé non promette nulla. Allora si sfoglia il volume e poi lo si posa per un po’ di tempo; ci si torna su e si fa la stessa cosa. E poi, alla fine, punzecchiati nel vivo da un intervento dell’autore, sorta di intimazione a commentare, il critico letterario ci si mette per davvero.

    Diciamolo francamente: ecco un’esperienza di lettura assolutamente nuova. Veramente nessuno da queste parti ha mai scritto qualcosa che assomigli neanche da vicino agli Agénor di François Barcelo. “Romanzo”, secondo l’editore. Si tratta piùttosto di un enorme racconto, o piuttosto di un corpus di racconti, che riunisce nel passato e nel presente, nell’altrove e nel qui così tanti personaggi che si smette di contarli, senza però dimenticarne uno solo e soprattutto senza confonderli.

    François Barcelo non si perde né perde il lettore. Con la sua verve che non diminuisce mai di intensità,, con un’immaginazione folle, un senso molto forte dell’intensità drammatica, il narratore propone e impone le situazioni più strampalate o quelle più commoventi, senza mai indugiarvi più del necessario. Dopo quindici pagine, sappiamo che il libro non lascerà più le nostre mani e che ci aspettano alcune magnifiche notti in bianco.

    Pagina dopo pagina, l’autore trattiene solo una dozzina di personaggi o poco più. E mentre un capitolo inquadra l’azione e la rilancia, il successivo racconta la storia di uno dei personaggi, senza che ci sia veramente iato nella narrazione. Si tratta in qualche modo di prendere la lente di ingrandimento per esaminare nei suoi dettagli migliori la caricatura. Caricatura? È un modo per dire che i tratti dei personaggi sono fortemente accentuati. Si intuisce che François Barcelo quasi crede in loro, nei suoi personaggi, che ad ogni modo li ama, e che i loro difetti sono solo qualità supplementari per renderli più affascinanti.

    L’evidenza dell’inverosimile.

    La forza del talento consiste nel far credere al lettore che l’inverosimile sia la realtà. Nessuno oserà contestare l’evidenza del passaggio di uno degli Agénor, un extraterrestre, nella vita di rozzi contadini, radicati nella natura ma che minaccia, col passar del tempo, tra il XIX secolo e questo qui, la cultura e le forme più moderne di asservimento.

    Non è possibile riassumere un libro del genere, se non attraverso alcune costanti: l’erotismo, l’umorismo e la tenerezza prorompente. I personaggi femminili sono magnifici, da tutti i punti di vista, cosa che favorisce i propositi dell’autore e di coloro che li amano. Che li amano e che li seguono, poiché in molti casi sono loro a portare avanti il destino del clan. Sono loro a scegliere i propri uomini e a fare la Storia. Personaggi indimenticabili, che non smettono di essere presenti nella memoria, fino a che non si chiude questo libro troppo corto. Ma François Barcelo promette quasi un seguito.

    L’umorismo occupa un posto importante, non tanto con i brillanti giochi di parole, che sono piuttosto rari, ma nel ritmo stesso di una scrittura estremamente vivace, in cui la formula ellittica o incisiva segue o precede la lunga fase descrittiva. Umorismo alle spese dei personaggi, che sono spesso commoventi per l’ingenuità o la loro assurdità.

    E poi la tenerezza avvolge tutto quanto, attraverso i drammi stessi vissuti dai personaggi, attraverso le guerre che devono portare gli uomini in paesi stranieri. Perché c’è posto per l’epopea, per i grandi atti di coraggio, in questo affresco sempre mutevole e che riesce sempre a stupire.

    I racconti di François Barcelo non prendono in prestito granché dal folklore. La leggenda e le magie nascono dalla sua penna, provenendo dall’universo che a poco a poco nasce e si amplia: è qualcosa di nuovo. Al contrario, le allusioni alla storia sono numerose, alla nostra storia in particolare, che l’autore evoca facendo l’occhiolino al lettore. È proprio qui e di qui che sono i suoi personaggi, che portano dentro di sé allo stesso tempo quello che siamo stati e quello che siamo, e anche quello che non riusciamo a essere. Fortunatamente, François Barcelo ha saputo resistere fino alla fine alla tentazione, sempre che l’abbia avuta, di fare un romanzo a tesi.

    Siamo infatti in piena letteratura d’immaginazione, una letteratura fresca, colorata e che scoppia di salute. Una letteratura che trova il suo giusto posto in una collana che attira e riunisce, salvo eccezioni, alcuni degli scrittori maggiormente suscettibili di costituire questa nuova generazione di scrittori franchi tiratori che rinnoverano la prosa in Québec. Saremmo molto avveduti a far la conoscenza di François Barcelo. Per un piacere di leggere garantito.

    (traduzione di Simone Benvenuti)

  • Colletta per gli agenti imputati

    Colletta per gli agenti imputati

    inviato da apollinaire il 11 marzo 2008 alle 19:19

    vorrei acquistare 44 copie del libro di Pierre Clémenti da regalare a ogni imputato, impareranno sicuramente qualcosa… Pubblicato per la prima volta nel 1973 e apparso nuovamente nel 2007 presso le edizioni il Sirente, il libro di Pierre Clémenti ripercorre attraverso riflessioni e flash narrativi l’esperienza carceraria dell’attore e regista: l’arresto, l’arrivo nel carcere di Rebibbia e poi in quello di Regina Coeli, l’incontro con l’umanità repressa e dimenticata, la cruda realtà delle rivolte e delle rappresaglie, l’annullamento spirituale ancor prima che fisico, l’ipocrisia del ceto dirigente italiano, il processo fino all’assoluzione definitiva che suonerà paradossalmente come una condanna. «O ti vendi e ti svuoti molto rapidamente, o resti ai margini e ti batti per le tue idee». Il suo libro è una testimonianza contro il codice penale italiano risalente al fascismo, contro il regime carcerario e la società repressiva, perché nelle celle ci sia più luce e umanità.

    http://genova.repubblica.it/dettaglio-inviato?idarticolo=repgenova_1432712&idmessaggio=254647

  • Agénor, Agénor, Agénor e Agénor di Gaëtan Lévesque

    di Gaëtan Lévesque (da Voix et Images, 1982, vol. VII, n. 2, pp. 423-424)

    Dalla pubblicazione di Quand la voile faseille di Noël Audet  e de La Saga des Lagacé di André Vanasse , pochi sono gli scrittori che hanno maneggiato magistralmente un genere letterario che richiede una così grande abilità quanto il racconto umoristico. François Barcelo riesce in questo tour de force letterario nel suo primo romanzo, Agénor, Agénor, Agénor e Agénor.

    Dapprincipio, il titolo non lascia supporre nulla di più che un nome, che non sentiamo tutti i giorni ma che è ripetuto come una specie di eco “visiva” che invita alla lettura di questo meraviglioso romanzo di 320 pagine: un romanzo che il lettore trova troppo corto, tanto la scritturta di Barcelo è affascinante e i suoi personaggi avvincenti.

    L’autore situa il suo racconto tra il XIX e il XX secolo e i suoi personaggi si muovono in uno spazio immaginario che potrebbe essere «il Québec come qualunque altro paese», mentre l’azione si svolge tra l’umorismo e la tenerezza. Partendo da una serie di giochi di parole, Barcelo ci immerge in un universo fittizio, pieno d’immaginazione, che potrebbe però benissimo riflettere la realtà.

    I personaggi principali di questo “colossal romanzesco” sono personaggi femminili; tra questi, quello di Maria-Clarina, donna forte e simpatica, presente dall’inizio alla fine del racconto. È attorno a questo personaggio principale che si innestano i personaggi secondari; in totale, ventitre capitoli, nei quali si sviluppa una dozzina di personaggi dei più impressionanti. Ogni attore ha diritto a un capitolo di presentazione, nel quale l’autore ci racconta la sua storia. In questa maniera, egli riesce a collocare i personaggi in rapporto con gli altri senza farci perdere il filo della narrazione. È necessario molto talento per giocare con tanti personaggi e riuscire a creare una storia interessante.

    Che si tratti dell’Agénor extraterrestre o dell’Agénor militare, Barcelo disegna in modo originale il carattere e la personalità di ciascuno di essi nel contesto sociale e individuale nel quale si sviluppa. Tanto le scene di guerra sono sanguinose e decadenti, tanto le scene d’amore sono belle e tenere. È una visione dell’erotismo non gratuita. Del resto, nulla è gratuito in questo romanzo, nel quale ogni elemento ha la propria ragion d’essere. Ogni storia si inserisce nel piano globale per restituirci un racconto estremamente ben costruito.

    Per la sua originalità, Agénor è uno dei romanzi importanti del 1980 e il suo autore si inserisce nella tradizione dei migliori scrittori quebecchesi. C’è da sperare che François Barcelo ci offrirà presto altre storie così appassionanti.

    (traduzione di Simone Benvenuti)

  • Downtown Cairo

    Al Cairo c’è sempre traffico, sempre rumore, le persone sono sempre in movimento. Con questo suo carattere dinamico il Cairo sembra distaccarsi da molte altre città del mondo arabo, rilassate e contemplative, che senza fretta vivono i loro giorni. Questa megalopoli così affollata è un continuo miscuglio di vecchio e nuovo, una fonte inesauribile di contraddizioni, contaminazioni, sinergie, sorgenti inestinguibili di ispirazioni. Per la sua strana conformazione il Cairo ti disorienta, il Nilo divide la città in modo asimmetrico e scorre verso nord e questo a volte rappresenta un elemento di confusione, camminando per il centro – Down town – o come lo chiamano gli egiziani Wist el-Balad, è facile perdersi. Attraversando Wist el-Balad si incontrano una serie di piazze circolari, tutte simili e tutte con al centro una statua di un grande personaggio importante per la storia dell’Egitto. Queste piazze circolari e l’asimetria del percorso del Nilo fanno sì che le strade al Cairo non siano mai parallele, sebbene si abbia sempre l’impressione contraria. Wist el-Balad è il cuore dinamico e giovane del Cairo, ed è anche il nome di un gruppo musicale molto conosciuto che si rispecchia con la vita di questo quartiere. La loro musica Jazz è un continuo incontrarsi di sonorità occidentali (vagamente spagnole) e ritmi orientali, così come Wist el-Balad è un luogo vitale e produttivo di incontro tra artisti e creativi di ogni genere egiziani e occidentali vogliosi di comunicare e capire un mondo diverso. Questo mélange arabo-occidentale si ritrova al caffè Hurreia (Libertà). Il caffè Hurreia è uno dei pochi locali al Cairo, come dice lo stesso nome, dove vengono servite, liberamente e con disinvoltura bevande alcoliche (soprattutto la birra Stella principale marca locale), anche a clienti egiziani. Un antico e spazioso caffè con sedie e tavolini in legno e una serie infinita di specchi che riflettono continuamente i visi di queste persone; gli attimi di questi incontri e le idee che si muovono e si scambiano tra due mondi e due culture, fra una birra e un tè. Gli artisti egiziani (documentaristi, attori, coreografi, pittori.. ecc), si lamentano della poca considerazione che hanno all’interno della società. Il pubblico non li capisce, e il governo non li aiuta, finanziando solo i prodotti artistici altamente commerciali. La cultura è decisamente l’ultima ruota del carro per il rais egiziano e il suo staff. La maggior parte di questi artisti, segue uno stile indipendente, sperimentale. Hanno una linea fluida, disincantata e ancorata al presente, i loro lavori che ho avuto la possibilità di apprezzare: sono molto interessanti. Mi auguro che tutte queste idee, questo vivere e sentire egiziano, così ben rappresentato da queste opere non rimanga solo un riflesso nei vecchi specchi del caffè Hurreia, ma che riesca ad espatriare e ad avere un’eco al di fuori di questi confini.

  • Touring Italy con ‘Il diavolo’ e un violino

    Touring Italy con ‘Il diavolo’ e un violino

    da Les Pages Noires News 

    Devil’s Tour @ Napoli

    Nawrocki ha definito ‘his most amazing tour – ever!’ la sua recente esibizione per 9 spettacoli in 11 giorni e 6 città in tutta Italia per promuovere la nuova traduzione italiana del suo libro: ‘L’Anarchico e il Diavolo fanno cabaret’.

    L’incredibile ospitalità a Roma dell’editore, il Sirente, e tutti i loro amici, familiari e collaboratori, che gli hanno riservato il miglior cibo, il vino, il sostegno e un’amicizia inimmaginabile.

    Nawrocki, accompagnato da se stesso e il suo violino loopato, ha eseguito estratti dal libro con l’apprezzamento di nuovi lettori da tutta Italia. Un breve film documentario sul tour sarà pubblicato al più presto. Le foto del tour:
    https://www.sirente.it/9788887847116/index.html

    Tour highlights: la magnifica città universitaria de L’Aquila in cima a un’altipiano, dove Nawrocki suona con una tripla fisarmonica da vecchi tempi, insieme a un gruppo di musica folkloristica; una graziosa accoglienza presso il centro anarchico ‘Camillo Di Sciullo’ di Chieti; Roma, il suo debutto nella libreria radical chic ‘Bibli’; ha inaugurato il nuovo Info Shop anarchico di Modena, suonando in un compresso e freddissimo locale; ‘Modo Info Shop’ a Bologna; il lancio ufficiale alla prestigiosa Fiera del Libro di Roma e il colossale ‘Palazzo dei Congressi’; un’improvvisazione dal vivo con la celebrata ‘noise band’ Obsolescenza Programmata, nella hippy libreria/bar/negozio ‘Perditempo’ di Napoli.

    Nawrocki sta attualmente lavorando a un libro ispirato alla sua grande avventura italiana: ‘Cazzarola!’ – L’Italia di ieri e di oggi, i Rom e Roma.

  • Il compleanno di Bakunin

    da L’Anarchico e il Diavolo fanno cabaret di Norman Nawrocki (pp. 232-233) 

    Festeggiamo il centottantatreesimo compleanno di Michael Bakunin a Milano, nel lussuoso Centro Anarchico Ponte della Ghisolfa, col pavimento in marmo. Chi ha detto che gli anarchici russi non vivono per sempre?

    In questo concerto tiriamo giù il tetto. Mentre suoniamo, dei pezzi di intonaco vecchi di due secoli cadono addosso a noi e alla folla sfrenata. È un segnale dal paradiso degli anarchici. Con l’appoggio del coro dei cento anarchici ubriachi presenti, cantiamo Buon Compleanno al vecchio Michael, in italiano. Ognuno di loro innalza una bottiglia di vino. La festa prima del concerto è stato un rifornimento senza limiti di vino e pasta: pasta con piselli e aglio, pasta coi peperoncini piccanti, pasta coi fagioli rossi, pasta con le olive. Dopo lo spettacolo proseguiamo la festa di compleanno con bottiglie di grappa che si autoriproducono.

    Chi ha detto che gli anarchici non sanno come far festa? Tra un brindisi e l’altro, intervisto una femminista anarchica studiosa di storia, e registro le canzoni tradizionali del secolo scorso che lei canta per me – canzoni di lavoratrici italiane, zoppicanti per le lunghe ore in cui stavano in piedi nell’acqua fredda delle risaie allagate, che rientravano a casa stanche morte e sottopagate, come al solito. E le raccoglitrici di riso odierne?

    A mezzanotte, rinforzato dalla grappa e dallo spirito di Bakunin, mi ritrovo seduto dietro una Moto Guzzi. È una grossa moto italiana, ma mi tengo aggrappato perché la vita mi è cara. Non mi è d’aiuto sapere che quello che guida è ubriaco marcio, non aiuta il casco che mi sta male e che a ogni blocco di acciottolato mi rimbalza cinquanta volte sulla testa. Per farmi forza, canticchio una canzone che mi ha insegnato la studiosa di storia. Arriviamo illesi, e tutti e due cantiamo gli auguri di compleanno per Bakunin, barcollando dentro un tranquillo appartamento italiano. Una volta dentro, ci accoglie l’assonnata moglie del mio amico e i brindisi continuano: a Emma Goldman, a Enrico Malatesta, a Buenaventura Durruti, a Peter Kropotkin, a Noam Chomsky e a tutti gli altri anarchici che ci vengono in mente, vivi o morti.

    I loro spiriti mi raggiungono per discutere, mentre vagheggio: cosa può fare un gruppo rock’n’roll anarchico per creare un mondo nuovo, libero, meraviglioso? Una musica da ballo? Una musica per occupare e prendersi le banche, i municipi, le fabbriche, le scuole, gli autolavaggi? Una musica per aiutare a trovare le alternative? Una musica che serva a preparare la grande festa del dopo-rivoluzione? Non c’è un accordo. Mi giro e mi rigiro, senza trovare riposo.

  • Poznan, Polonia, Agosto 1937

    da L’Anarchico e il Diavolo fanno cabaret di Norman Nawrocki (p. 32) 

    Caro Franek,

    ho parecchie notizie da raccontarti. Da quando sei partito, il nostro paese non è più lo stesso. I giornali parlano di una Polonia che ‘vive nella paura’. È vero.

    Prego che il Canada sia più pacifico che non qui. Abbiamo paura di Hitler sì, ma anche dei suoi sicari fascisti del posto – della nostra stessa gente. Terrorizzano quelli che odiano. Spaccano le finestre dei negozi ebrei. Aggrediscono gli omosessuali per strada. Non sappiamo chi sia omosessuale. I sicari li chiamano così e li picchiano. Picchiano anche gli zingari. È terribile. Adesso denunciano chiunque chiamino ‘radicale’. Ricordi lo Zio Janousz? È l’organizzatore del sindacato anarchico a Poznan. È un radicale. Lotta per la gente e stava parlando ai comizi pubblici contro il fascismo. Una notte non è tornato a casa, è scomparso. Zia Lenowa non ha sue notizie. Preghiamo e speriamo che sia da qualche parte al sicuro.

    Non sono un uomo da politica, ma la violenza di questi sicari nelle strade, questo linguaggio di odio, da mercanti di paura, questa lingua del veleno nazista mi sta facendo davvero infuriare. Mamma dice che dovrei stare attento e che devo rimanere calmo. Ma come faccio, quando vedo l’ingiustizia e sento intorno a me le menzogne?

    Tutti parlano del fatto che quella canaglia di Hitler sta invadendo la Polonia. Se dobbiamo lo combatteremo, so che lo farei. Ma possiamo vincere? Hitler ha un grande esercito, con spie e leccapiedi, qui, che tradirebbero le loro stesse madri se lui glielo chiedesse. Il solo pensiero mi fa star male. Mamma va in chiesa tre volte al giorno a pregare che tutto questo finisca.

    È una fortuna che tu non sia qui. Avrei voluto venire con te. Parli inglese, adesso? Hai comprato un’automobile canadese? Non abbiamo ricevuto nessuna lettera da te. Devi scrivere. Mamma è molto in ansia per te. Le prugne sull’albero stanno iniziando a maturare. Spero che mamma farà la marmellata. Forse possiamo mandartene un po’. Voleva mandarti le frittelle, ma le ho detto di no: con tutto il tempo che ci metterebbero per arrivare in Canada diventerebbero pietre. Vi servono altre pietre in Canada? Fammi sapere. Ha, ha.
    Prega per noi, Franek, per favore. Ci manchi e ti mandiamo il nostro amore.

    Harry

  • Noi italiani, on the road prima di Easy Rider

    di Paolo D’Agostini (da Repubblica, Pagina 39 – Spettacoli, Lunedì 10 marzo 2008)

    La regista di “I cannibali” e “Il portiere di notte” ripercorre le tappe del nostro cinema giovane di quegli anni. E ora gira “Albert Einstein”.
    Gli americani erano interessati a “I cannibali”, ma dovevo cambiare il finale dove gli oppositori vengono ammazzati dalla polizia. Rifiutai.
    Il cinema di Bertolucci, Bellocchio, Pasolini, e anche il mio, dimostrava che la nostra capacità di innovare non era finita con il Neorealismo.
      
    Liliana Cavani diventa un fiume in piena se la solleciti sul “come eravamo” nel Sessantotto, secondo il cinema giovane di quegli anni di cui la regista emiliana – come gli altri due campioni della stagione Bellocchio e Bertolucci ma dall´educazione «scombinata e aperta, non borghese, non clericale» – fu protagonista.
    «L´I Care caro oggi a Veltroni veniva allora dall´America: da lì arrivavano i venti di libertà, non certo dall´est comunista. C´erano Luther King e Malcolm X, i Kennedy, Marcuse e Berkeley. Io ero incantata. Seguivo Basaglia, mi appassionavo al Living Theatre, leggevo Foucault che negava lo scandalo del nudo. Proprio niente del Sessantotto, a partire da quello parigino, traeva ispirazione dal bagaglio ideologico della sinistra marxista. Verso il quale ero fredda, così come era stato il mio nonno anarchico. Fredda verso gli apparati. Le cose più belle e stimolanti venivano da un´altra parte. E quando sono arrivata a Roma non ho sentito alcun bisogno di iscrivermi al Pci come invece tanti altri colleghi. Questa estraneità agli apparati mi ha sempre messa in difficoltà. Quando agli inizi degli anni 60 facevo le mie prime inchieste per la Rai monocolore Dc, come La casa in Italia, sono stata censurata. Con il centrosinistra sono stata etichettata come criptocomunista. E il mio primo Francesco d´Assisi, figura che da persona libera di mente – non clericale né anticlericale – ho affrontato con spirito di scoperta trovandovi una ribellione al padre e un conflitto generazionale, non è piaciuto alla Chiesa. Mi sentivo in armonia con i movimenti di liberazione americani. Tra i miei primi soggetti, sotto l´influenza del Black Power, ce n´era uno che s´intitolava “Black Jesus”. Quante cose c´erano in movimento, quante cose di oggi vengono da lì. Quante cose stanno dietro alle candidature di Hillary e Obama».
    Mentre sta completando il nuovo film per RaiFiction Albert Einstein (con il Vincenzo Amato di Nuovomondo) Cavani è oggetto di omaggio da parte della Cineteca Nazionale che dedica il programma di marzo della sua sala romana, il Trevi, dapprima a “Lou Castel, (l´anti) divo ribelle del cinema”, icona degli anni 60, che fu il suo Francesco nel ´66 (ce ne sarebbe stato più tardi un secondo: Mickey Rourke) oltre che protagonista di Grazie zia e I pugni in tasca. E poi agli “Schermi in fiamme. Il cinema della contestazione” dove è rappresentata da I cannibali, 1969, con Pierre Clementi.
    Dopo tanti documentari e servizi per la Rai da metà anni 60 lei si avvicina al cinema scegliendo figure che, da Francesco a Galileo a Milarepa, hanno in comune una lettura non convenzionale della fede e della spiritualità, dell´autorità della Chiesa.
    «Anche Galileo ha avuto le sue belle peripezie di censura. Curiosamente deve la sua maggiore diffusione alla San Paolo Film che lo mandava nelle scuole. Dopo gli studi in lettere antiche e glottologia, la vera università l´ho fatta con i documentari. Sul nazismo, sul comunismo, sulle donne nella Resistenza. A ripensarci mi fa ridere che ancora oggi stiamo a combattere con le quote rosa. Quando nel ´65 intervistai una donna che a 18 anni aveva guidato una battaglia partigiana a Bologna, alla mia domanda “per che cosa hai combattuto” mi rispose: “per la palingenesi, perché noi donne dobbiamo contare, non solo per cacciare i tedeschi”».
    Le sembrano ridicole le quote rosa?
    «No, niente è ridicolo se è necessario. Evidentemente è ancora necessario».
    Il suo Sessantotto è I cannibali. Dal mito di Antigone una metafora della ribellione giovanile di quel momento. Ma, come tutto il cinema suggerito direttamente dal clima della contestazione, non piacque molto.
    «Partecipò alla Quinzaine di Cannes, appena nata, e fu visto da Susan Sontag che lo portò a New York. Un circuito parallelo della Paramount mi offrì 120 mila dollari ma dovevo cambiare il finale dove gli oppositori vengono ammazzati dalla polizia».
    E lei?
    «Dissi di no. E pensare che la sensibilità on the road espressa da I cannibali precedette Easy Rider che non era ancora uscito. Il mio film fu il segnale di una nuova sensibilità che si andava affermando: mal vista da destra e da sinistra, da tutti gli apparati burocratici».
    Ma i film “del Sessantotto” non piacquero al pubblico.
    «Voglio ugualmente difenderli. Sono convinta che quello di Bernardo (Bertolucci, ndr), di Marco Bellocchio, di Pier Paolo Pasolini, e anche il mio, sia stato il nostro nuovo cinema. La dimostrazione che la nostra capacità di innovare non era finita con il Neorealismo. Un cinema critico che strideva con gli apparati, sia cattolico che comunista. Non poteva piacere a chi, nell´estate del ´68, non aveva espresso solidarietà a Praga invasa. La cultura d´apparato soprattutto di sinistra, una cappa che ci è pesata sulla testa, non sapeva come collocarlo. Avrebbe dovuto farci ponti d´oro perché eravamo una ventata di sprovincializzazione, eravamo il tempo presente».
    Quando poi arriva Portiere di notte, ´74, diventa subito un manifesto della trasgressione.
    «Non era ammissibile parlare dei nazisti come persone. Era tabù. Ricordo un dibattito sui Cahiers du cinéma tra Michel Foucault che difendeva il film e la redazione che aveva le bende sugli occhi e rappresentava una cultura blindata, ferma. Almeno in Francia si dibatteva d´ideologia, in Italia tutto si ridusse a stabilire – in censura – se fosse giusto che Charlotte Rampling facesse l´amore stando sopra. Credo davvero che il film aprì delle porte».
    È vero che nel ´71 firmò il documento contro il commissario Calabresi sull´Espresso?
    «Non ricordo di averlo mai fatto né di essere stata mai interpellata».
    È sbagliata la sensazione che lei si sia spostata verso posizioni più moderate, a partire dalla scelta dei soggetti come la biografia di De Gasperi?
    «De Gasperi dobbiamo solo ringraziarlo se allora ci è stato evitato il peggio». 

  • © il Sirente : Sinossi

    (1)

    il Sirente è un progetto editoriale nato alla fine del 1998 e originariamente impegnato nella pubblicazione di saggi e testi scientifici, vertenti principalmente sul diritto e la politica internazionale. A distanza di nove anni, nel 2007, la cooperativa editrice si è rivolta verso la letteratura, senza mettere da parte il suo tradizionale ambito di interesse. Attualmente, il progetto conta una collana di diritto e tre collane di letteratura: “Fuori”, “Lunal” e “Esordienti”. Con il Sirente, i suoi quattro soci intendono semplicemente diffondere idee da essi condivise. Tutto ciò è reso possibile anche grazie al supporto di un’ampia schiera di amici e amiche.

    (2)

    il Sirente “Fuori” si caratterizza come collana potenzialmente aperta. Essa attraversa zone d’ombra, nascoste o marginali, zone di frontiera. Zone in senso geografico, anzitutto, attraverso la scoperta di opere e autori di riconosciuto valore in patria o all’estero, ma scarsamente o per nulla noti in Italia: un modo di far luce sul panorama letterario internazionale, al di là dei nomi noti, a partire dalle opere “prime” di ciascun autore. Ogni opera di questa collana – e la scelta di pubblicarla – è da parte sua caratterizzata da un discorso al livello di linguaggio e di contenuti: l’interesse ricade sia su lavori situati su un piano di rappresentazione surreale o fantastica sia su lavori che si confrontano con il tema della marginalità, o, meglio, delle marginalità.
     
    (3)

    In questo quadro trovano collocazione i primi titoli della collana, provenienti per la maggior parte dal fecondo mondo della letteratura canadese, e in particolare della letteratura canadese francofona, oggetto spesso di una considerazione minore rispetto a quella anglofona. Troviamo qui autori come François Barcelo (Agénor, Agénor, Agénor e Agénor), Gaëtan Brulotte (La Rivelazione), André Carpentier (Taccuino sulla fine possibile di un mondo), Norman Nawrocki (L’Anarchico e il diavolo fano cabaret), ma anche le riflessioni dell’indimenticabile Pierre Clémenti sul sistema carcerario (Pensieri dal carcere), oltre ad attese novità dall’estremo oriente e dal centroamerica.
     
    (4)

    La collana ha una sua identità grafica, con la prima pagina del libro in prima di copertina e l’immagine – foto, disegno o elaborazione grafica – in quarta. Duplice l’obbiettivo di questa scelta: ricordare al lettore che afferri per la prima volta il volume rigirandolo tra le mani la non univocità del reale e consegnare subito in faccia (e in mano) al lettore quella che speriamo essere la sua prossima avventura.

    (5)

    Dedicata al mondo arabo contemporaneo e con ciò caratterizzata da una forte identità di contenuti è la neonata collana “Spicchi di Luna”. La sua “missione” è far conoscere in Italia le realtà del vicino e del medio oriente, le sue sofferenze, i suoi problemi, le sue energie. Realtà non soltanto letterarie, ma anche artistiche, con pubblicazioni dedicate alle correnti artistiche arabe, così poco note in Italia. In ambito letterario intendiamo offrire ai lettori le novità emergenti di queste terre, caratterizzate da un taglio moderno e da uno stile attuale, consapevoli che attraverso gli scrittori, gli artisti e gli intellettuali è possibile creare un ponte di dialogo e di scambio tra culture diverse. E appunto, sarà un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana, Taxi di Khaled el-Khamissi, il primo titolo della collana.
     
    (6)

    La collezione di letteratura “Esordienti”, infine, vuole essere una porta aperta per le nuove voci in lingua italiana, con un’attenzione particolare alla poesia.

  • Chiarastella Campanelli, “Altriarabi” (9 marzo 2008)

    Chiarastella Campanelli, “Altriarabi” (9 marzo 2008)

    TAXI. LE STRADE DEL CAIRO SI RACCONTANO di Khaled Al Khamissi

    Prendere un taxi al Cairo

    di Chiarastella Campanelli, “Altriarabi” (9 marzo 2008)

    Prendere un taxi al CairoEcco un piccolo prontuario da tenere alla mano se intendete avventurarvi in un viaggio in Egitto fai da te… Tra i vari mezzi di trasporto messi a disposizione dalla grande metropoli egiziana, il taxi è sicuramente il mezzo più semplice. In qualsiasi giorno della settimana a qualsiasi ora della giornata, dovunque voi vi troviate ci sarà sempre un taxi che vi passerà davanti pronto a fermarsi appena gli farete un minimo gesto della mano… a meno che non siate estremamente sfortunati. La prima cosa da fare appena un taxi si ferma, dopo un breve saluto che potrebbe suonare “Assalamu aleikum” (che la pace sia con te) che agli egiziani fa sempre piacere, senza troppi preamboli (posizionandovi se siete una donna sola nel sedile retrostante e se siete un uomo nel sedile accanto al conducente), comunicategli la meta che intendete raggiungere. In Egitto non esiste un vero e proprio tariffario da seguire per il pagamento della corsa. In genere le persone si basano su dei prezzi convenzionali non scritti che si apprendono dopo un lungo periodo di permanenza e che variano a seconda delle condizioni del traffico e sicuramente a seconda di che tipo di cliente si siede nel taxi, i turisti hanno sempre dei prezzi maggiorati, è per questo che conviene non sfoggiare guide, occhiali da sole e macchine fotografiche, ma adattarsi agli usi del posto..contando sul fatto che nel 50% delle volte un italiano, specialmente se meridionale, potrebbe essere confuso con un abitante del luogo. Possiamo orientativamente dire che la tratta aeroporto – centro città costa dai 40 ai 50 pound, partendo dall’aeroporto conviene sempre prima della corsa accordarsi con l’autista sul prezzo della tratta, agli egiziani, come alla grande maggioranza degli arabi piace molto contrattare e molte volte se il cliente non tratta viene considerata persona di poco conto, più sarete tenaci e più riuscirete a farvi fare un prezzo ragionevole, o almeno il prezzo giusto per la corsa. In città una piccola tratta di 4/5 km, per esempio dall’isola di Zamalek al Midan Tahrir (Museo egizio), costa non più di 5 pound. Non lasciatevi intimidire da discorsi tesi ad impietosirvi, se sapete di aver pagato il prezzo giusto scendete sicuri di voi stessi chiudete la portiera e salutate anche se magari da alcuni tassisti arriveranno una valanga di maledizioni….pensate però che la professione del tassista al Cairo è stancante è difficile e se potete permettervi qualche lira in più che per voi sono pochi centesimi al tassista cambierà la giornata. Prendere un taxi al Cairo è sempre un’avventura che potrebbe essere assolutamente divertente, interessante, piacevole o il vostro più brutto ricordo. La gamma degli autisti è molto varia, spaziano da colti laureati ad analfabeti. Alcuni sanno bene l’inglese, altri qualche parola, con altri ancora se non conoscete qualche parola di arabo sarà assolutamente impossibile comunicare. Gli egiziani sono dei grandi intrattenitori, cantastorie formidabili, ma se siete nella giornata no in cui non vi va di parlare, ma solo contemplare il paesaggio dell’affascinante Cairo il conducente capirà all’istante e alzerà di buon grado l’audio della radio per farvi assaporare il Cairo al ritmo di musica araba….o prediche religiose se siete meno fortunati. Se siete invece vogliosi di conversare, sicuramente la prima domanda sarà: “da dove viene?” E a quel punto rispondere che siete italiani andrà a vostro favore, gli egiziani hanno un’estrema simpatia per gli italiani che considerano molto simili, vi diranno “Ahsan an-nnasuu” (la gente migliore) e inizieranno a parlare di qualche calciatore, se non vi intendete di calcio fate finta di essere buoni intenditori per non togliere il tono allegro della conversazione. Se malauguratamente il tassista vi chiede di che religione siete avete due opzioni: cristiani o musulmani, se non volete essere vittime di prediche su paradiso e fine del mondo è meglio non dire che siete ebrei o atei perché tenteranno in tutti i modi di convincervi che l’Islam è l’unica religione, chiaramente se il tassista è musulmano, difatti al Cairo c’è una buona minoranza di cristiani coopti ortodossi….ve ne accorgerete guardano il polso dell’autista, se ha una piccola croce tatuata è sicuramente un cristiano. Buon viaggio! e quando scendete non dimenticatevi di ringraziare “Shuukran” e di fare qualche buon augurio al tassista, come “rabbina maak” (Egiziano colloquiale “che Dio sia con te”).

    Taxi. Le strade del Cairo si raccontano : Kaled Al KhamissiL’ultimo consiglio, che vi do di cuore, prima di partire o appena tornati leggete “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano” di Khaled Al Khamissi (Editrice il Sirente, 2008)… vi catapulterà di colpo nel fascinoso caos della grande metropoli, regalandovi ottimi spunti per il prossimo viaggio o offrendovi qualche ricordo che pensavate dimenticato del vostro ultimo viaggio al Cairo.

    Diventato ormai un classico della letteratura Egiziana contemporanea, “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano” è viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti egiziani sono degli amabili cantastorie che, con disinvoltura, conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia. Autentico ritratto di un paese a ridosso del crollo di un’epoca, “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano” è stato scritto nel 2007, considerato il primo libro di successo scritto in dialetto egiziano ha lanciato una nuova tendenza letteraria. A oggi è tradotto in dieci lingue.

  • Nawrocki nel mondo libero

    Quarta di copertina 

    di Jamie O’Meara (da locals@large, dicembre 2002)

    Alla mia sinistra, l’area del dietro le quinte, una pesante porta di legno che si apre su niente di meno che un salto a picco nelle rovine sgretolate di cemento della metà posteriore dell’edificio. Dall’altro lato del teatro in legno c’è una vecchia finestra. Stando di fronte al monitor, si può guardare giù nel fangoso parcheggio. No, aspetta, non è un parcheggio – è una festa di polli selvaggi che si beccano. Ho un breve momento di dissociazione.
    E’ la primavera del 1995, e un paio di anni prima ho attraversato l’ex confine tra Germania est e Repubblica Ceca con i miei compagni di band di Montréal, attraversando regioni di miniere di carbone inquinate come mai visto. La cittadina dove stiamo per suonare ha fama di essere uno dei luoghi più disgraziati della terra, anche peggio della borsa del calzino di Jimmy (batterista, naturalmente). Dopo aver localizzato il locale – siamo proprio l’unica band che conosco a essersi persa in una città con due sole strade polverose – discutemmo se restare nel furgone dove, sebbene l’aria fosse finita, era respirabile, oppure stare fuori dove proprio non lo era. Nella sala in cui dovevamo suonare quella sera c’era la stanza principale e, un po’ distante, un piccolo bar quadrato con centinaia di teste di animali sistemate sulle pareti. Sembravano topi con le corna, con un’espressione di sorpresa e rabbia irrigidita sulle loro piccole facce puntute. Come da accordi ci fu servita la cena bollente che precedeva lo spettacolo, mentre guardavano Beverly Hills 90210 doppiato in ceco, su una vecchia tv nel bar. La vita è feroce, ma buona…
    Leggere l’ultimo libro di Norman Nawrocki, L’anarchico e il diavolo fanno cabaret, mi ha riportato a ricordi che non avevo mai pensato di avere, come quello di cui sopra. Il musicista di Montréal (Nawrocki, insieme al co-cospiratore Sylvain Cŏté, è la guida di Rhythm Activism, che si definisce una “orchestra di notizie ribelli”), autore (ha quattro libri al suo attivo) e attivista politico è stato sulla strada per quasi diciotto anni, in tour con gruppi musicali, cabaret e spettacoli di poesia. L’anarchico e il diavolo fanno cabaret dà la cronaca dell’ultima scorreria di Rhythm Activism attraverso l’Europa (dove sono stati sette volte), un viaggio tra nove paesi che li ha visti portare a un gran numero di fan il loro amalgama politicizzato di musica tradizionale dell’est Europa e di punk occidentale, da anarchici stagionati a vegetariani di sinistra, da zingari sradicati a curiosi. E ai loro bambini. Intercalati ai racconti di strada vi sono lavori di breve narrativa (così come lettere cronologicamente distanziate da uno “zio perduto” che può essere inventato o no, Nawrocki non lo specifica) che germogliano da persone e personaggi che ha incontrato nel tour.
    Come ci si potrebbe aspettare da una persona del calore di Nawrocki la prosa, popolata da espressioni radicali e linguaggio da attivisti – qualcosa che inevitabilmente è legato all’argomento – è terra terra e senza pretese. Quando Nawrocki lavora sull’esperienza di prima persona, è un narratore capace e accattivante, che costruisce immagini tridimensionali degli spazi da lui visitati. E come Nawrocki sottolinea, noi Nord-Americani abbiamo molto da imparare dagli europei sul sostegno agli artisti.
    Nawrocki è affilato come un rasoio quando passa dal pittoresco al filosofico, come fa nel suo divertente discorso sugli “appassionati di musica” (“chi consuma musica… ma raramente dà spazio nella propria esistenza a qualcosa di politico”) contro i “politici” (hanno poco tempo per il divertimento, per la musica, o qualsiasi altra arte, anche se questa è ‘politica’. Quando ne hanno, è per qualcosa che tende a essere convenzionale… Date loro libri politici. Anche all’ora di andare a letto. E non provate a essere divertenti”). Divertente, per quanto possibilmente involontario, è il tema ricorrente dei piccoli furti, che si tratti di cioccolato – oltre alla vodka, il cioccolato sembra essere la droga preferita di Rhythm Activism – a una stazione di benzina tedesca, o di una colazione in un albergo dell’est Europa. (Alzate le vostre bandiere nere e marciate, compagni! Con gli oppressori capitalisti delle McCorporazioni sconfitti, saremo liberi di rubare tutto quello che vogliamo. Meno godibile, tuttavia, è la confusione generata dove il processo creativo di Nawrocki si sovrappone al diario del tour di Rhythm Activism. Per ragioni sconosciute Nawrocki dà una descrizione romanzata dei cinque membri della band, cambiando i loro nomi e i loro tratti caratteristici. Il risultato è che quando all’inizio ce li introduce, tendiamo a considerarli di meno perché sembrano meno reali. Le storie di strada perdono il loro lustro se non si può essere sicuri che le persone al centro della storia esistono. Il grande ex punk GBB è davvero il guidatore folle del furgone in Ungheria? O forse era Martine, la ragazza sexy dai capelli corvini del merchandise? O forse non è mai accaduto…
    A complicare ulteriormente le cose, la ruvida ipperrealtà del diario del tour contrasta visibilmente con le brevi vignette di fantasia, che sono spesso melodrammatiche e indebolite da clichè, e con le lettere di un falso zio polacco che Nawrocki sostiene di star cercando in Europa. O almeno io credo che sia uno zio posticcio: su questo ho cambiato idea un paio di volte, ma alla fine l’individuo sembra troppo eccentrico per essere credibile, proprio come i personaggi idealizzati delle storie brevi. E se fosse stato reale, Nawrocki avrebbe scatenato un casino per trovarlo, come invece non ha fatto.
    Detto questo, l’autore raggiunge il massimo nel capitolo “Imparando a insultare”, una descrizione degli spostamenti della band in Ungheria, incluso un incontro con un giornalista musicale ubriaco e con uno studente di medicina razzista, narrati in modo vivido e avvincente. In questo Nawrocy è inattaccabile e mi fa voler conoscere di più su di lui, sugli altri tour, sui cambiamenti sociali e politici di cui lui e i suoi compagni di band hanno potuto testimoniare da una posizione unica a partire dalla caduta del Muro.

    (traduzione di Enrico Monier)

  • Norman Nawrocki presenta “L’Anarchico e il Diavolo fanno cabaret”

    Norman Nawrocki presenta “L’Anarchico e il Diavolo fanno cabaret”

    Norman Nawrocki alla terza serata del suo Devil’s Tour in Italia, è il 30 Novembre 2007. Qui trovate una breve descrizione dei contenuti del suo libro L’Anarchico e il Diavolo fanno cabaret, grazie alla preziosa collaborazione di Maria Antonietta Fontana. Le riprese sono di Marco Pelosio, Elements Studio di Roma. Lunga vita allo Zio Harry.

  • François Barcelo

    François Barcelo © Martine Doyon 

    François Barcelo è nato il 4 dicembre 1941 a Montréal. Dopo aver conseguito il diploma in letteratura francese presso l’Université de Montréal, inizia a lavorare in ambito pubblicitario. A 28 anni è nominato vice-presidente della Società J. Walter Thompson, all’epoca la più grande agenzia pubblicitaria al mondo. L’anno successivo abbandona la società per diventare pubblicitario free-lance – attività che eserciterà fino al 1988 – e per dedicarsi alla scrittura.
    Nel gennaio 1981 appare il suo primo romanzo, Agénor, Agénor, Agénor e Agénor. Nel corso dei trenta e più anni successivi appariranno numerosi altri romanzi, tutti ben accolti dalla critica canadese. È anche autore di due raccolte di racconti – Longues histoires courtes e Rire noir; uno dei suoi racconti è stato incluso nell’antologia di autori del Québec Intimate Strangers, pubblicata dalla Penguin in The Many Worlds of Literature.
    Nel settembre 1998 è stato il primo autore del Québec ad essere pubblicato nella “Série Noire” di Gallimard con il breve romanzo Cadavres, ripubblicato in Francia nel 2002 nella collezione “Folio policier” e in Italia nel 2004 presso Marcos y Marcos e recentemente trasposto cinematograficamente. In seguito, altri due sue romanzi – Moi les parapluies… (1999) e Chiens sales (2000) – sono stati pubblicati nella “Série Noire”.
    Barcelo ha anche sperimentato da molti anni la letteratura per bambini, in particolare con la serie Momo de Sinro, molto conosciuta in Canada anche per i premi ricevuti.

    PER ULTERIORI INFO SULL’ATTIVITÀ DI FRANÇOIS:
    W http://www.aei.ca/~barcelof
    @ barcelof@aei.ca

  • André Carpentier

    André Carpentier 

    Nato a Montréal il 29 ottobre 1947, André Carpentier è annoverato tra i maggiori scrittori canadesi di lettura fantastica. Ha pubblicato, tra le altre cose, due romanzi (Axel et Nicholas, 1973, e L’aigle volera à travers le soleil, 1978), un diario sul mestiere dello scrittore (Journal de mille jours, 1988) e tre raccolte di racconti (Rue Saint-Denis, 1988, edito da Sinnos, De ma blessure atteint et autres détresses, 1990, Carnet sur la fin possible d’un monde, 1992, entrambi in pubblicazione presso il Sirente). È stato direttore della collana « Novella » di XYZ éditeur (Montréal). Fin dai suoi esordi, Carpentier si interessa anche ai fumetti e alla letteratura umoristica. Attualmente, insegna presso l’Université du Québec a Montréal ed è animatore e critico letterario di Radio-Canada.

  • Clementi pensieri dal carcere

    (da Il Mattino, Cultura Napoli del 07/03/2008)

    Si intitola «Pensieri dal carcere» il libro di Pierre Clémenti, uscito in Francia nel 1973 e ora pubblicato in italiano grazie alla casa editrice Il Sirente de L’Aquila (pagg. 143, euro 12,50), che sarà presentato oggi a Napoli, presso la libreria L’ibrido di via San Sebastiano. Figura-simbolo della ribellione, della trasgressione e dell’anticonformismo, Clémenti (morto a 57 anni nel 1999) ebbe una vita alquanto spericolata. Interprete negli anni ’60-’70 di film in cui divenne un’icona della controcultura, nel decennio tra il 1961 (quando sbarcò alla Stazione Termini a Roma) fino al 1971, quando fu arrestato per detenzione di droga, trascorse più tempo in Italia che in Francia.

  • Pierre Clémenti

    Pierre Clémenti © Elisabetta Catalano 

    Figlio di padre ingnoto e madre còrsa, Pierre Clémenti nasce a Parigi il 28 settembre 1942. Attore e regista, ribelle e anticonformista, esordisce nel teatro off parigino. Il suo ruolo in Bella di giorno di Luis Buñuel lo porta alla notorietà e lo lancia nel mondo del cinema sia francese che italiano. Gli anni tra il 1967 e il 1971 sono i più proficui della sua carriera cinematografica: tra i film a cui partecipa, Partner (1968) e Il Conformista (1970) di Bernardo Bertolucci, I Cannibali di Liliana Cavani (1969), Porcile di Pier Paolo Pasolini (1969), Bella di giorno (1967) e La via lattea di Luis Buñuel (1970), Le lit de la vierge (1969) e La cicatrice intérieure (1971) di Philippe Garrel, Cutting heads di Glauber Rocha (1970). Clémenti, attraverso i suoi personaggi, esprime anni di profondo cambiamento socioculturale e di grande rinnovamento linguistico della scena cinematografica italiana e francese. Parallelamente alla sua passione per la recitazione Clémenti si cimenta anche nella realizzazione di cortometraggi sperimentali: La révolution… (1968), Visa de censure (1967-75), New Old (1978), A l’ombre de la canaille bleu (1978-85), Soleil (1988).

    Nell’estate del 1971 viene arrestato per detenzione di droga e incarcerato per più di un anno nelle prigioni di Rebibbia e di Regina Coeli a Roma. Rilasciato per insufficienza di prove, non potrà più far ritorno in Italia. In seguito a questa esperienza scriverà il libro Quelques messages personnels, pubblicato in Italia dall’Editrice il Sirente come Pensieri dal carcere nel 2007. Pierre Clémenti muore il 27 dicembre 1999 all’età di 57 anni.

  • Rahel Francesca Genre

    Rahel Francesca Genre (Zurigo14 aprile 1978) è una traduttrice e attrice italiana.

    Ha studiato Storia Moderna e Contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Ha vissuto in Piemonte, Sicilia e Montpellier (Francia, 1985-86) e Roma, dove attualmente vive e lavora. Dal 1996 al 2005 ha lavorato con la Compagnia Teatrale Lo Scaldabagno di Roma. Ha lavorato cinque anni per l’Esecutivo della Chiesa valdese in Italia. È autrice di traduzioni dal francese e tedesco, tra cui recentemente il romanzo Tout sur nous di Stéphane Ribeiro per Castelvecchi, Dans la Cité. Réflexions d’un croyant di André Gounelle per l’Editrice Claudiana e il romanzo L’emprise di Gaëtan Brulotte (pubblicato nel 2008 dall’Editrice il Sirente con il titolo Doppia esposizione).

    PER ULTERIORI INFO SULL’ATTIVITÀ DI RAHEL:
    @ rahel.genre@gmail.com

    FONTE: Rahel Francesca Genre. (27 maggio 2008). Wikipedia, L’enciclopedia libera. Tratto il 1 giugno 2008, 17:17 da http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Rahel_Francesca_Genre&oldid=16383413.

  • Gaëtan Brulotte

    Gaëtan Brulotte © 2006 Oscar Chavez 

    Nato in Québec, Gaëtan Brulotte ha studiato Lettere moderne presso l’Università di Laval e, sotto la direzione di Roland Barthes, presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales. Ha insegnato letteratura in Canada e negli Stati Uniti, dove è attualmente professore presso la University of South Florida. Divide il proprio tempo tra la Francia, il Canada e gli Stati Uniti. È autore di romanzi e racconti, autore teatrale e saggista. Tradotto in diverse lingue, è vincitore di numerosi premi letterari e le sue opere figurano in antologie e manuali di letteratura. Molte di esse sono state adattate per il cinema, la televisione e la radio. È inoltre autore di Oeuvres de chair. Figures du discours érotique, considerato dalla critica come il primo studio d’insieme sulla letteratura erotica, sino a quel momento ai margini della storia e dell’ambito accademico, e ha codiretto il vasto progetto della Encyclopedia of Erotic Literature, pubblicato in due volumi nel 2006 da Routledge.
    Alla scrittura di Brulotte è stata dedicata un’importante monografia – Gaëtan Brulotte: une nouvelle écriture, New York, Mellen, 1992 – che ha vinto il Premio internazionale di studi francofoni. La critica ha situato l’insieme della sua pratica artistica nella tradizione di Cechov, Kafka, Becket e Calvino, mentre per la produzione saggistica ha evocato Jean-Pierre Richard e Roland Barthes: come è stato detto, “la sua scrittura si appoggia su un sistema rigoroso che ricorda l’apparato testuale di Aquin, di Ducharme, di Borges e di Calvino (Réjean Beaudoin, “Autoportrait d’un écrivain dans le miroir” in Fisher, Claudine, dir. Gaëtan Brulotte: Une Nouvelle Écriture. New York: Mellen Press, 1992.)
    L’originalità della sua opera concerne principalmente lo sguardo distante e ironico sui comportamenti umani, dai più ordinari a quelli più marginali. La scrittura di Brulotte sconvolge i generi letterari, prendendo spesso forme di discorso della vita quotidiana per ridare loro forza e umanità.

    PER ULTERIORI INFO SULL’ATTIVITÀ DI GAËTAN:
    W http://www.gbrulotte.com
    @ brulotte@chuma1.cas.usf.edu

  • Ernesto Pagano

    Ernesto Pagano 

    Ernesto Pagano approda al Cairo nel 2005 con l’intenzione di imparare l’arabo della gente comune, oltre all’arabo del Corano, studiato per anni all’università.
    Inizia a fare conoscenza col paese proprio attraverso le lunghe chiacchierate coi tassisti, rappresentanti delle più svariate tonalità di colore della società egiziana. Allo stesso tempo, interagisce con l’Egitto attraverso la sua attività di ricerca in campo islamologico.
    Dopo la laurea, fa ritorno al Cairo come collaboratore dell’ufficio stampa all’Ambasciata Italiana. In seguito inizia a lavorare per una Ong italiana come consulente per le attività culturali.
    È in questo frangente che cura e traduce una raccolta di storie popolari egiziane edita da un piccolo editore sardo, collabora con giornalisti egiziani per la produzione di trasmissioni radio indipendenti, fa il formatore di migranti analfabeti, collabora come autore, interprete e fixer alla realizzazione di un documentario sulla megalopoli Cairo prodotto da Raitre.
    Attualmente  scrive d’Egitto, di Islam e di Medio Oriente in varie testate cartacee e online.
    Si dice che chi beve l’acqua del Nilo è destinato a rimanere legato all’Egitto per tutta la vita. Forse Ernesto l’ha bevuta senza accorgersene, visto che da ormai tre anni rimane ancorato alla terra del grande fiume senza nessuna intenzione di fare ritorno a casa.”

    PER ULTERIORI INFO SULL’ATTIVITÀ DI ERNESTO:
    @ er_pagano@yahoo.it

  • Khaled Al Khamissi

    Khaled El Khamissi 

    Giornalista, regista e produttore oltre che scrittore, Khaled è nato nel novembre del 1962. Figlio d’arte, anche il padre era uno scrittore. El Khamissi è un artista poliedrico, si è laureato in Scienze politiche alla Sorbona di Parigi. Ha lavorato per l’Istituto Egiziano per gli studi sociali. Ha scritto sceneggiature per vari film egiziani quali Karnak, Iside a Philae, Giza e altri. Scrive periodicamente articoli e analisi critiche su politica e società in diversi giornali e settimanali egiziani. E¹ il proprietario e direttore della Nile production company, con la quale produce documentari, film, fiction Tv e animazione per bambini.

    PER ULTERIORI INFO SULL’ATTIVITÀ DI KHALED:
    W http://www.taxitalks.com
    @ khaled@taxitalks.com

  • Giampiero Cordisco

    Giampiero Cordisco 

    Nato a Montefalcone nel Sannio (Campobasso), Giampiero Cordisco ha studiato presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Ha vissuto in Romania e a Roma, dove attualmente vive e lavora. Ha collaborato con le Edizioni Nottetempo ed è autore di traduzioni dall’inglese. È autore de “La Bibbia apocrifa di Nick Cave: And the Ass Saw the Angel” fra delirio e catarsi. È co-autore del progetto musicale Obsolescenza Programmata, collettivo italiano che tende a musiche liminari e anomiche, musiche che solitamente vengono etichettate come ‘no-wave’, ‘noise’, ‘industrial’, ‘post-punk’, ‘power electronics’, ‘harsh’.

    PER ULTERIORI INFO SULL’ATTIVITÀ DI GIAMPIERO:
    W www.myspace.com/obsolescenzaprogrammata
        giampiero-cordisco.neurona.it
    @ gia.cordisco@libero.it

  • Norman Nawrocki

    Norman Nawrocki 

    Figlio di immigrati polacco-ucraini, Norman Nawrocki è nato a Vancouver, nell’estrema provincia occidentale canadese del British Columbia, e si autodefinisce ‘sex educator, cabaret artist, musician, author, actor, producer and composer’. Il suo legame con la parola scritta si manifesta dall’età di 14 anni, quando scrive il suo primo libro, Why I am an Anarchist. Nel 1981 si sposta a Montréal, nella provincia francofona del Québec, dove intraprende la carriera di artista-cabarettista, e nel 1985 fonda con il chitarrista Sylvain Coté Rhythm Activism, gruppo anarchico underground. Nawrocki, violino e voce della band, al suo ottavo libro, è titolare della casa editrice e discografica indipendente Les Pages Noires, attraverso la quale ha realizzato tre libri e più di cinquanta album tra cd e cassette come solista, con Rhythm Activism, i veterani del punk canadese DOA, gli olandesi The Ex e altre band.

    PER ULTERIORI INFO SULL’ATTIVITÀ DI NORMAN:
    W www.nothingness.org/music/rhythm
    @ rhythm@nothingness.org

  • Taxi: cuori palpitanti, cuori malati del Cairo

    ISBN 9788887847147 © il Sirente 

    di Daikha Dridi (da Babelmed, 23/05/2007)

    Si tratta di un piccolo libro che non si può veramente inserire un una categoria precisa, scritto da un regista che ha deciso di parlare agli abitanti del Cairo dei loro tassisti e che ha avuto un tale successo nelle librerie del Cairo, che è stato ristampato per la terza volta in pochi mesi. Taxi (Conversazioni in viaggio) di Khaled El Khamissi è in primo luogo una sorprendente idea di semplicità: 58 storie di conversazioni con i tassisti del Cairo, che l’autore ha messo insieme nel giro di un anno. Non c’è bisogno di aggiungere, che  l’autore-narratore ha preferito scomparire dietro le parole dei taxi driver: le situazioni che Khaled al Khamissi racconta con minuziosità e semplicità non hanno bisogno di imballaggio o di rivestimento esplodono davanti ai nostri occhi con tutta l’evidenza che non ci prendiamo mai la briga di scrutare. La cosa ancor più degna di nota è che l’autore, che non nasconde nella sua introduzione il suo affetto per i tassisti, spesso odiati  e stigmatizzati dai Cairioti, non è idealizzato e semplicistico. I tassisti non sono fatti tutti della stessa pasta, alcuni ci emozionano, alcuni ci fanno ridere fino alle lacrime, altri sono odiosi o addirittura assolutamente detestabili.
    Nella sua introduzione, l’autore inizia ricordando quello che spesso i clienti dei taxi dimenticano, quando prendono un taxi al Cairo: “Nella stragrande maggioranza i tassisti fanno parte della classe sociale economicamente più svantaggiata, la loro professione è spossante, lo stare continuamente seduti in auto demolisce le loro colonne vertebrali, l’incessante rumore delle strade del Cairo distrugge il loro sistema nervoso, i perpetui ingorghi li stancano mentalmente e la corsa  dietro i mezzi di sussistenza – corsa nel senso letterale del termine – elettrizza i loro corpi, aggiungete a questo le trattative le controversie con i clienti circa l’importo da pagare, in assenza di prezzi standard e le molestie da parte della polizia, che rispetto ai metodi del Marchese de Sade non sono niente”.
    Sono più di 80000 al Cairo che girano giorno e notte, una delle poche città al mondo dove indipendentemente dall’ora, a tarda notte o di mattina presto, qualunque sia il quartiere in cui si trovano, è garantito vedere un Taxi passare, e sono, dice Khamissi “come una vasta gamma della società che va dagli analfabeti ai laureati (non ho finora incontrato un tassista con un dottorato di ricerca).” Le loro privazioni materiali, che sospettano, ma su cui raramente si soffermano, Khamissi le rende con una sorprendente intimità, le storie della loro vita o i piccoli aneddoti che la dicono lunga e che vengono spesso raccontati con humor, un umorismo che gli invidiamo, in quanto è educatamente disperato . Il più anziano tra i tassisti incontrati da Khamissi, un vero monumento, che lavora da 48 anni e al  quale l’autore chiede divertito “la morale della sua storia”, dopo tanti anni passati in un  taxi, risponde: “Una formica nera su una roccia nera in una notte buia Allah l’aiuta… ”
    Ma l’intimità di questa miseria non è raccontata timidamente, si svolge davanti ai nostri occhi confusi dalla forza e dalla semplicità delle parole di queste persone che hanno smesso di lamentarsi già da molto tempo. Uno di loro è riuscito a sventare tre incidenti durante il viaggio con lo scrittore, addormentandosi alla guida, perché apprendiamo “che sono tre giorni da quando sono entrato nel taxi e non sono più uscito, mi restano solo tre giorni prima della scadenza per il pagamento dell’auto. Mangio qui, bevo qui, non lascio la macchina se non per urinare, e non dormo, non posso tornare a casa perché viviamo di quello che guadagno in un giorno, se rientro a casa dovrei  spendere per far mangiare i bambini e mia moglie “.
    Ma lungi dal fare di Taxi un saggio sull’indigenza dei tassisti del Cairo, Khamissi ci trasmette anche il loro pensiero sulla situazione nel loro paese, la derisione sul loro leader, la loro rabbia contro la corruzione nella polizia. Ad un tassista visibilmente arrabbiato, il narratore chiede gentilmente cosa c’è che non va, il tassista inizialmente dirige la sua rabbia contro Khamissi poi  accetta di dirgli tutto: “Ho preso un cliente a Nasr City che mi  ha chiesto di portarlo a Mohandissine (dall’altra parte della città, Ed), quando siamo arrivati dopo un traffico micidiale e tutto il resto, non sapevo che era un poliziotto, scendendo si è messo a gridare: ‘la patente figlio di un cane! “. Gli ho chiesto il perché, visto che non avevo fatto niente, gli ho mostrato la patente e gli ho dato 5 Lire, mi ha detto che non erano  sufficienti, gli ho dato 10 Lire, le ha rifiutate, ha preso poi 20 Lire ed è sceso il figlio di puttana, e io giuro che è tutto quello che aveva in tasca dopo aver fatto benzina. Che Dio distrugga la loro vita come loro distruggono la nostra. ”
    Ma se il narratore è taciturno, ci sarà sempre un tassista per distenderlo aggiornandolo sulle ultime novità in Egitto: “Sembra che un egiziano ha trovato la lampada di Aladino, strofinandola il genio è uscito per dirgli che avrebbe realizzato qualsiasi desiderio. Lui ha chiesto un milione di Lire. Il genio della lampada gliene da solo 500. Perché? Protesta l’uomo, il genio risponde, il governo ha un business con la lampada facciamo fifty-fifty “.
    Altri ancora dicono a Khamissi che piangono per l’Iraq, ci avevano vissuto prima dell’invasione americana e ora hanno la sensazione ingrata di non poter fare niente per aiutarli “gli iracheni ci hanno sempre accolto con un incredibile ospitalità, e ora che hanno bisogno di noi, li guardiamo morire da lontano. ”
    L’Iraq è molto presente nelle bocche dei tassisti Cairoti e anche l’America: “bisognerebbe fare e parlare come gli americani: eliminiamo la parola ‘Americani’ e diciamo ‘bianco protestante irlandese d’america’, ‘Nero musulmano d’america ‘,’ ispanico d’america ‘,’ nero protestante d’america ‘, esattamente come loro dicono; cento sciiti d’Iraq sono morti, due  sunniti d’Iraq sono morti e i figli di puttana dei nostri giornalisti, ripetono per tutto il giorno la stessa cosa. Io ascolto La radio tutti i giorni e mi avvelena il corpo ascoltare queste cose “.
    Khaled Khamissi ci fa visitare un Cairo vivo, attraverso porzioni di reale, che non corrispondono né ad un’immagine asettica che il governo vorrebbe dare a milioni di turisti che visitano ogni anno la città, né fantasmi letterari o cinematografici prodotti da un certo numero di scrittori o registi Egiziani. La scrittura di racconti brevi, che siano divertenti o deprimenti, storie che raccontano i tassisti sono uno dei migliori documentari che è stato fatto sul Cairo. Non vi è alcun dubbio che l’autore dedica il suo libro “alla vita, che abita le parole della povera gente, forse quelle parole riempiranno il nulla che abita in noi da tanti anni”.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • Lo leggerai in un giorno e poi tornerai a comprare copie per tutti i tuoi amici

    Lo leggerai in un giorno e poi tornerai a comprare copie per tutti i tuoi amici

    (da Baheyya: Art Commentary Media)

    “Lo leggerai in un giorno e poi tornerai a comprare copie per tutti i tuoi amici”, ha detto il libraio a proposito di Taxi di Khaled al-Khamisy. Ha ragione su una cosa: è impossibile lasciarlo un attimo (ma i miei amici dovranno acquistare le loro copie da soli). Si tratta di una semplice, ma profonda idea graziosamente composta artificiosamente messa in atto. In un primo momento, non mi convinceva il potenziale di cliché, che la raccolta di storie di tassisti del Cairo avrebbe condensato. L’idea è geniale, il prodotto potrebbe essere disastroso. Mi aspettavo pagine paternalistiche, un trito e ritrito di “analisi”, o prediche di morale, o una superficiale esposizione il cui unico scopo è quello di mostrare la brillantezza dell‘autore. Ma dalle prime pagine, lo sceneggiatore, scrittore e scienziato politico Khaled al-Khamisy rende perfettamente chiaro che è un ottimo ascoltatore e un fedele trascrittore, con un fine orecchio per la comicità, e un orecchio acuto per le storie tragiche dei taxi Driver. In altre parole, l’autore fortunatamente ci fa il favore di trattenere la sua sentenza e si astiene da conferenze, ci trasmette le conversazioni senza giudizi, ricche di humour, pathos, e sorprendente intuizione.

    Il libro include le conversazioni con gli autisti dall’aprile 2005 al marzo 2006, anno in cui l’autore si basava quasi esclusivamente sui taxi per muoversi in giro per la città. Questo lo ha esposto allo scenario umano incredibilmente variegato che costituisce i tassisti della capitale. Chiunque usi i taxi e presta la minima attenzione sa che non esiste più un prototipo di taxi driver (se mai c’è stato). L’elevato tasso di disoccupazione e sottoccupazione, l’aumento del costo della vita, e la legge del 1990 che consente ad un veicolo di qualsiasi anno di essere trasformato in un taxi hanno cospirato facendo aumentare drammaticamente il numero e la diversità dei taxi e dei loro autisti (80000 taxi considerando solo il Cairo, senza la sua periferia, dice al-Khamisy). I tassisti ora sono i colletti bianchi dei dipendenti statali, i professionisti dai colletti blu-nero, e gli  studenti universitari. Sono di varie fasce di età, da un conducente che ha appena ottenuto la patente a uno che guida dal 1940. Una buona porzione di tassisti  hanno svolto studi universitari, e tutti hanno storie da raccontare.

    Dopo una breve e agile introduzione, al-Khamisy procede a raccontare 58 incontri con i tassisti di tutti i ceti sociali (compresa una disputa fin troppo credibile tra un taxi driver e la figlia dell’autore di 14 anni che prendeva il taxi da sola per la prima volta). Le storie sono testuali, atmosferiche, e molto diverse, vanno dalle descrizioni delle aspre lotte per ottenere un qualche soldo guidando un taxi in condizioni estremamente negative, fino ai suggestivi ricordi e alle storie personali dei tassisti (particolarmente toccante è il film “buff” che per 20 anni non era riuscito ad entrare in una sala cinematografica), alla critica sociale e alle analisi (specialmente interessanti  sono i tassisti che criticano la funzione degli spot televisivi, e il conducente che fa una penetrante analisi della diminuzione delle proteste in Egitto dal 1977) , Alle speranze e alle aspirazioni dei tassisti (il tassista che sogna ad occhi aperti un viaggio intorno al continente africano).

    Una delle più notevoli, divertenti e penetranti serie di storie sono quelle dedicate alla politica, in particolare quelle conversazioni che si occupano di Hosni Mubarak, e delle sue elezioni presidenziali. E qui va il grande credito a ‘al-Khamisy che trascrive fedelmente sia quelle opinioni a favore sia quelle contro il perenne presidente, e così facendo indica un punto sottile: è sbagliato generalizzare l’opinione pubblica egiziana rifacendosi a poche decine di esempi, o trattando i tassisti come “autentiche” voci di “strada”. Per fortuna, questo tipo di esistenzialismo e finto-populismo è completamente assente dal libro. Per qualiasi corrispondente e “analista” estero  che ritiene che il “polso della strada egiziana” si percepisca attraverso il semplice scambio di poche parole con un tassista, Il libro di al-Khamisy è un potente rimprovero. Infatti, una delle sue grandi virtù è di salvare i pareri dei taxi-driver da analisi profonde e salvare gli stessi taxi-driver dall’onere di rappresentare alcune scontante, confortanti, ma inesistenti definizioni di “uomo qualunque”.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • Le peripezie di un passeggero in un taxi cairota

    Le peripezie di un passeggero in un taxi cairota

    ISBN 9788887847147 © il Sirente

    di Soheir Fahmi (da Al-Ahram Hebdo)

    Attraverso una serie di conversazioni con i tassisti del Cairo, Khaled el Khamisi ci immerge in un mondo nel quale è possibile toccare con mano le preoccupazioni della gente semplice, la loro saggezza, il loro humor e il loro sguardo sul mondo della politica. Un testo che la dice lunga sullo stato della società egiziana e del mondo che la circonda.

    I taxi del mondo sono tutti diversi. I tassisti del mondo sono tutti diversi. Essi rappresentano indubbiamente il luogo dove si svolgono i loro via vai continui. Essere un tassista in una metropoli come il Cairo è una professione unica. Irritante ed entusiasmante allo stesso tempo. All’interno di queste vetture, spesso in cattive condizioni a causa degli infiniti ingorghi e delle interminabili attese, inizia la conversazione tra il tassista e il suo cliente. Conversazione, che può toccare tutti gli aspetti della vita, ma che spesso ruota attorno alla politica e alle questioni sociali che vive l’Egitto. Khaled el Khamisi, con sobrietà e moderazione, ma anche con umorismo, va a caccia del mondo interiore e del pensiero di questi uomini, che sono i portavoce di un significativo strato di egiziani. A piccoli tocchi costruisce un quadro sfumato di questi uomini che subiscono l’inquinamento e il caos della strada egiziana. Parlare di ciò che li preoccupa gli da modo di trascendere un quotidiano che li violenta. Il diluvio di parole che emettono è spontaneo e disordinato. Tuttavia, suggerisce una sapienza di vita e uno sguardo originale sulla realtà. Khaled el Khamisi si mette all’ascolto di questi emarginati dalla vita politica, che in modo semplice e in poche frasi svelano le preoccupazioni di tutti i giorni. Si pongono domande, ma per la maggior parte dichiarano avere delle posizioni ferme. Contro o per Mubarak contro gli Stati Uniti e dalla parte dei palestinesi e degli iracheni, contro la corruzione e a favore dei non abbienti di cui fanno parte, contro il potere e la polizia, contro i proprietari di auto e dalla parte degli altri taxi Driver e delle partite di calcio. Sotto la penna di Khamisi, finiscono per realizzare un affresco in cui, come in un puzzle, i vari pezzi sono stati messi al loro posto. Ciononostante, il cliente, in questo caso, Khaled Khamisi, non è un semplice passeggero impersonale e imperturbabile. Attraverso vari quartieri del Cairo, come tutti i passeggeri in un taxi Cairota, tesse un certo legame con l’autista. Legame, che forse ha l’obiettivo di superare un soffocante “qui e ora”, contro il quale sono indifesi. Una saggezza che gli egiziani, attraverso le loro lunghe peripezie con le autorità hanno imparato a conoscere.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • Taxi: A pieni fari sull’Egitto di oggi

    ISBN 9788887847147 © il Sirente 

    di Dora Abdelrazik (da L’équipe d’Alif, 25/02/2007)

    Taxi, l’ultimo libro di Khaled Al Khamissi, vi accompagna nell’Egitto di oggi. Attaccate le cinture.

    Lasciatevi trasportare a bordo del taxi di Khaled el Khamissi. 58 viaggi attraverso i quali il narratore, e il conducente del taxi (un tassista diverso per ogni viaggio), vi racconteranno l’Egitto di oggi.
    All’orogine di questo lavoro sulle conversazioni tra l’autore e i tassisti dall’aprile 2005 al marzo 2006, ci sono degli aneddoti che testimoniano e riflettono la società egiziana. Appena un mese dopo la sua pubblicazione, è diventato un Best Seller e il libro è già alla sua terza edizione. L’autore si augura che Taxi sia presto tradotto in inglese e magari più avanti in francese.

    Dedicato alla “vita” come le pagine, i viaggi si susseguono e sono tutti diversi. Essi sono pieni di dolcezza, di dolore, di sogni e delle paure del popolo egiziano. Man mano che questo mezzo di locomozione, così intimo e così pubblico, avanza si svelano i segreti. Questo libro dedicato “Alla vita che abita nelle parole della povera gente” è innanzitutto un’opera letteraria che vuole essere umana.
    L’essere umano è la base di questo libro, con parole semplici, chiare, “l’uomo della strada” esprime i suoi timori, dubbi, pareri e critiche sul piano politico, economico e sociale, dell’Egitto, ma anche del mondo arabo.
    L’autore Khaled Al Khamissi, un uomo dai diversi talenti, giornalista, regista, produttore e scrittore, dall’infanzia appassionato del mondo delle parole.

    Figlio del famoso scrittore Abdel Rahman Al Khamissi, ha voluto esprimere attraverso il ‘popolo’ le cose più semplici. Naturalmente e spontaneamente, attraverso queste persone che, come voi e me, pensano, riflettono, ma che in fondo al loro cuore  chiedono solo un orecchio attento che li ascolti.

    Per l’amante di una prostituta questo orecchio è quello di Khaled al quale il tassista si confida e si confessa facilmente perché, alla fine, non rivedrà mai più il suo  cliente, e può quindi lasciarsi andare liberamente. Da un autista amante di una prostituta, a quello che critica le elezioni presidenziali, come dice l’autore, “le loro parole sono luminose” portano con sé la bontà dell’uomo egiziano.
    Scritti con facilità, questi racconti ci portano alla confessione di una società che sta vivendo una vera e propria crisi di identità e si sente violentata.
    Di fronte a questo successo, ci si chiede perché ha impiegato così tanto tempo a donarci queste storie? A questa domanda risponde con onestà e semplicità  “per il timore di non essere all’altezza dei miei pari”.
    Oggi, senza tabù o censura si  riscopre il vero volto della terra dei faraoni attraverso un viaggio semplicemente “umano”.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

     

  • Taxi su Al-Ahram Hebdo, Service Courrier, rue Galaa, Le Caire

    Taxi su Al-Ahram Hebdo, Service Courrier, rue Galaa, Le Caire

    ISBN 9788887847147 © il Sirente

    di Amina Hassan (da Al-Ahram Hebdo)

    Il libro, composto per la maggior parte da estratti di conversazioni che l’autore ha intavolato con i taxi driver del Cairo durante i suoi numerosi viaggi in giro per la città, esprime con forza le loro testimonianze sulla quotidianità, l’attualità politica ed economica le loro diatribe contro il potere e la loro sfiducia nei confronti di tutte le autorità. Talvolta narratori che partono dall’esaltazione verbale per poi passare alla malinconia, le loro storie sono una grande sfilata di idiomi e di “parlate” di tutti i tipi, impregnate dalle difficoltà quotidiane. La loro voce nomade vagabonda, si presta alternativamente ad ogni monologo interiore. E’una voce discorsiva, che cerca di smascherare la realtà per capirne il senso. Dalla confessione di uno degli autisti: “Per tanto tempo ci siamo lasciati trascinare dalla ricerca del pane quotidiano che abbiamo così abbandonato ogni tentativo di reclamo o contestazione”.

    Armati di una punta d’ironia, portati dalla loro presenza temporanea alle confidenze, il loro punto di vista è frontale, di coloro che non si imbarazzano, i Taxi driver autorizzano l’autore a descrivere con passione il più piccolo fatto fino adesso taciuto. Egli riparte un po’ più “iniziato” ad un Egitto dove sa intavolare argomenti politici, filosofici e sociali, di una rara e precisa eleganza, con un piglio riflessivo, invocato per scuotere qualsiasi conformismo.

    L’autore disegna in positivo quello che questa casta di conducenti, ha di più attraente. Scritto in dialetto egiziano, questa letteratura dall’accento divertente,  ci trasporta in una categoria di immaginario contemporaneo di combattimento, dibattiti, preoccupazioni battagliere che prefigurano un Egitto verso un futuro di cambiamento e resistenza. L’opera completa resta aperta su una breccia dove si profila già più di un libro, più di una confessione.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • Indispensabile premessa

    Indispensabile premessa

    (dall’introduzione di Taxi)

    Da lunghi anni sono un cliente di prim’ordine dei taxi. Con loro ho girato dappertutto per le strade e i vicoli del Cairo, tanto da imparare i discorsi e i vari trucchi del mestiere meglio di qualsiasi tassista (non me ne vogliate se mi vanto un poco!).
    Amo le storie dei tassisti perché rappresentano a pieno diritto un termometro dell’umore delle indomabili strade egiziane.
    In questo libro vi sono alcune storie che ho vissuto e ascoltato, tra l’aprile del 2005 e il marzo del 2006.
    Parlo di alcune storie, e non di tutte, perché diversi amici avvocati mi hanno detto che la loro pubblicazione sarebbe bastata a farmi sbattere in galera con l’accusa di calunnia e diffamazione; e che la pubblicazione di certi nomi contenuti in determinate storie e barzellette, di cui sono pieni gli occhi e le orecchie delle strade egiziane, è un affare pericoloso… davvero pericoloso, amici miei.
    La cosa mi ha rattristato molto perché i racconti popolari e le barzellette, privati di una memoria, andranno perduti.
    Ho tentato di riportarli qui, così come sono, narrati nella lingua della strada. Una lingua speciale, rude, vitale, schietta. Estremamente diversa dalla lingua cui ci hanno abituato i convegni e i salotti buoni.
    Di certo il mio ruolo in questa sede non sta nel rivedere l’accuratezza delle informazioni che ho registrato e trascritto. Perché l’importante sta in quello che un individuo dice nella sua società, in un particolare momento storico, attorno a una determinata questione: nella scala di priorità di questo libro, l’intento sociologico viene prima di quello descrittivo.
    La maggior parte dei tassisti appartiene a una classe sociale schiacciata dal punto di vista economico e vessata da un lavoro fisicamente devastante. La perenne posizione seduta in auto sgangherate spezza loro la schiena. Il traffico e il caos permanente delle strade cairote annichilisce il loro sistema nervoso e li conduce all’esaurimento. La corsa – in senso letterale – dietro il guadagno, tende i loro nervi fino al limite estremo… a questo si aggiunga il continuo tira e molla coi clienti, a causa dell’assenza di una tariffa stabilita, e coi poliziotti, che li sottopongono a una quantità di vessazioni che farebbero stare quieto nella tomba anche il defunto Marchese de Sade.
    Inoltre, se calcolassimo in termini matematici il ritorno economico del taxi, considerando le spese legate all’usura, le percentuali dovute all’autista, le tasse, le multe, ecc., ci renderemmo conto che si tratta di un’attività a perdere in tutto e per tutto. Al contrario, questi imprenditori, non mettendo in conto la quantità di spese impreviste, immaginano che possa fruttare guadagno. Ne risultano auto logore, sfasciate e sudice, con a bordo autisti che lavorano come schiavi.
    Una serie di provvedimenti del governo ha portato l’impresa taxi a un incremento senza precedenti, facendo arrivare il loro numero alla cifra di ottantamila soltanto al Cairo.
    Con una legge emanata nella seconda metà degli anni ’90, il governo ha consentito la conversione di tutte le vecchie auto in taxi, insieme all’ingresso delle banche nel mercato dei finanziamenti di auto pubbliche e private. In questo modo, folle di disoccupati si sono riversate nella classe dei tassisti, entrando in una spirale di sofferenza mossa dalla corsa al pagamento delle rate bancarie; dove lo sforzo atroce di quei dannati si trasforma in ulteriore guadagno per banche, aziende automobilistiche e importatori di pezzi di ricambio.
    Di conseguenza diventa possibile trovare tassisti con ogni tipo di competenza e livello d’istruzione, a partire dall’analfabeta, fino a giungere al laureato (ma non ho mai incontrato tassisti col dottorato, finora…).
    Costoro detengono un’ampia conoscenza della società, perché la vivono concretamente, sulla strada. Ogni giorno entrano in contatto con una varietà impressionante di uomini. Attraverso le conversazioni si sommano nelle loro coscienze punti di vista che penetrano intensamente la condizione della classe dei miserabili d’Egitto, tant’è vero che, molto spesso, ritrovo nelle analisi politiche dei tassisti una profondità superiore a quella di tanti commentatori politici che riempiono di chiacchiere il mondo. Perché la cultura di questo popolo si rivela nelle sue anime più semplici.
    Un popolo grandioso e ammirevole, il vero maestro di chiunque voglia imparare.

    Khaled Al Khamissi, 21 Marzo 2006
    (traduzione di Ernesto Pagano)

  • Lunga vita a questo libro che lo proietta al centro del nostro amore

    Lunga vita a questo libro che lo proietta al centro del nostro amore

    di Franco Capacchione (da Rolling Stone, marzo 2008)

    Nel 1971 Pierre Clémenti, icona perfetta del cinema mitico, firmato Roche, Pasolini, Garrel, Bertolucci, Buñuel, è arrestato a Roma per droga. Viene rilasciato per insufficienza di prove, ma riceve anche un folgio di via. Tornato in Francia scrive questo diario. Magnifici flashback svelano i suoi inizi in teatro a Parigi, ancora goffo nel porgersi allo sguardo dello spettatore. Poi, gli incontri italiani: Visconti che gli dà una piccola parte in Il Gattopardo e quando lo vede per la prima volta gli dice: «Per un giubbotto nero, hai mani da principe…»; Buñuel, con un «volto favoloso, lavorato dalla vita, pesante e scavato»: per lui, Pierre è davanti alla macchina da presa in Bella di giorno e La via lattea. Infine, Fellini: lo vuole nel Satyricon, ma lui rifiuta: «Era come la Fiat, centinaia di attori, migliaia di operai, di figuranti, di artigiani all’opera per mesi, una città intera da costruire e da abitare…». Clémenti, che fu anche regista, è morto nel 1999. Lunga vita a questo libro che lo proietta al centro del nostro amore.

  • Dibattito su Pierre Clémenti

    Venerdì 7 marzo ore 18, 30
    presso la libreria Librido via San Sebastiano 39, Napoli 
    parliamo del libro ‘Pensieri dal carcere’ di Pierre Clémenti
    Editrice il Sirente

    Pierre ClémentiPierre Clémenti

    Pierre Clémenti (Parigi 1942-1999), attore e regista, ribelle e anticonformista. Ha lavorato da attore principale in numerosi film con registi come Bertolucci (Partner, Il Conformista), Pasolini (Porcile), Cavani (I Cannibali), Bunuel ( Bella di giorno, La via lattea). Nel ’71 viene arrestato per detenzione di droga e incarcerato per più di un anno nelle prigioni di Roma. Rilasciato per insufficienza di prove, non potrà più far ritorno in Italia. In seguito a questa esperienza scriverà questo libro.

    “Sogno lei, signor ministro della Giustizia. (…) Dice a se stesso: però rappresento la giustizia di questo paese. Ma è all’altezza? Rendere giustizia è una cosa sacra. Lei può guarire o distruggere. Lei ha la scelta, lei è il ministro. Ed è forse questo a turbare il suo sogno. (…) I deboli sono senza difesa tra le sue mani. Lei potrebbe così diffondere la luce nelle menti. Ma non lo fa, e questo finisce per tormentarla. (…) Credo che sarebbe bene che in una notte di insonnia lei prendesse la macchina e andasse verso mezzanotte, l’una, a vedere un po’ quello che succede alla Santé. Penso che le apriranno. (…) Entri, faccia accendere le luci, veda più da vicino ciò che disturba le sue notti. Guardi un mondo dove tutto va cambiato, tutto va inventato. Non si tagli le vene. Respiri e crei. La saluto.                       
    Pierre Clémenti”

    PER MAGGIORI INFORMAZIONI:
    https://www.sirente.it/9788887847123/pensieri-dal-carcere-pierre-clementi.html

    EVENTO SEGNALATO SU:
    http://www.manifestazioni.com/manifestazioni/manifestazione/c822680b01
    http://napoli.bakeca.it/eventi-feste/parliamo-del-libro-pensieri-th7e2218803
    http://www.belpaese.it/napoli/na_evento_9327.html
    http://www.inagenda.info/index.php?id=48993&PHPSESSID=2b7839fcbddbc1a844375616213f5f90
    http://www.planetnews.it/2008/dibattito-su-pierre-clementi/
    http://technorati.com/posts/shqm3BQc2Ifk%2BPjP2bX2Q7NO78m6LLA%2FbTnnd7AC6Js%3D
    http://www.plim.it/bg/dibattito-su-pierre-clementi/20080227
    http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20080307&ediz=NAZIONALE&npag=42&file=DEF.xml&type=STANDARD

  • SCATOLE SONORE

    rassegna di musica, arti visive e performative –

    rialtosantambrogio
    via s.ambrogio, 4 – Roma
    06 68133640

    giovedì 6 marzo ’08 

    h. 20:30 esposizione foto:
    ALESSIA CERVINI

    h. 20:30 reading:
    SCRITTORI SOMMERSI http://www.myspace.com/scrittorisommersi

    h. 22:00 performance:
    FRANCESCA BONCI
             
    h. 22:30 concerti:
    OBSOLESCENZA
    PROGRAMMATA
    http://www.myspace.com/obsolescenzaprogrammata

    http://www.myspace.com/cuboaa  __________________________________________________________
    ALESSIA CERVINI, nasce a Roma nel 1973. Comincia molto presto a sviluppare un interesse per la fotografia che porterà avanti costantemente in maniera amatoriale fino al 2001, anno in cui consegue il diploma di laurea in scienze dell’educazione ed inizia a lavorare come educatrice in ambito psichiatrico e dell’handicap. Parallelamente comincia a dedicarsi alla fotografia in maniera più approfondita, iniziando una ricerca personale sulle immagini. In particolare si occupa di stampa tradizionale in bianco e nero, di insegnamento, dello studio della storia e della critica fotografica.
      –
    2007 – collettiva, festival internazionale di fotografia di Roma “FotoGrafia”
    2006 – visiting artist, Syracuse University, Syracuse
    2006 – collettiva, “Per la musica 2” a Castelluccio della Foce, Siena, a cura di Peter Noser
    2004 – slide show, Nuova Galleria Campo dei Fiori, Roma
    2004 – slide show, Rashomon, Roma
    2003 – visiting artist, Syracuse University, Firenze
      –
    Le opere presentate sono frutto di una ricerca lunga e faticosa. In questi anni ho cercato di trovare una strada personale nel fare immagini.Ho sempre pensato che la fotografia potesse uscire fuori dallo stereotipo di documento o di copia della realtà. Ho voluto raggiungere un certo livello di qualità ed ho capito che la conoscenza approfondita della tecnica mi avrebbe aiutata a lavorare meglio. Non avrei potuto dare alle mie immagini il senso che hanno se non avessi studiato e poi fatto mie le regole dell’esposizione e del sistema zonale, soprattutto perché l’elemento primo del mio lavoro è la luce. La maggior parte del mio lavoro è fatto di paesaggi, ma li chiamerei spazi. Quando scatto, non mi colpisce solamente il luogo: si aggiunge l’atmosfera, la sensazione che provo e soprattutto il tipo di luce che trovo. Molto tempo fa mi trovai in un luogo dove avrei scattato volentieri, ma non avevo con me la fotocamera. Tornai in quel luogo molte altre volte con l’attrezzatura, ma non scattai mai. Capii allora che non era quel particolare paesaggio che mia aveva colpita, ma la luce che c’era in quel giorno; aveva reso un semplice paesaggio qualcosa di straordinario e diverso. E’ anche per questo che vedo tutto il mio lavoro lontano dal clamore che circonda tanta fotografia attuale, quella reportagistica, quella modaiola, quella autoreferenziale…Chi si avvicina alle mie immagini dovrà trovare un proprio modo di entrarvi perchè non voglio costringere lo spettatore a vedervi qualcosa che scelgo io; sarà lui a scoprirlo, lentamente. Si troverà di fronte ad una scena e non al mio sguardo.Tutto quello che vedrete è scattato e stampato con metodi tradizionali analogici. Mi piace pensare di poter mantenere in vita il mistero e l’attesa, che la comparsa dell’immagine latente sul foglio di carta in camera oscura ci costringe a vivere.
     
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    SCRITTORI SOMMERSI, nasce dall’intento di creare una rete estesa sul territorio che sappia raccogliere tutte quelle talentuose penne a cui l’editoria italiana non dedica la propria attenzione, perché troppo ligia alle leggi di mercato.
    La nostra antologia vuole essere un biglietto da visita, frutto di un’eterogeneità di stili e di omogeneità di intenti.

    Scrittori Sommersi mira dunque a diventare un punto di riferimento per tutti quegli emergenti costretti a pagare per vedere pubblicate le proprie opere, perché demotivati da un’editoria che troppo spesso antepone la vendibilità alla qualità.

    La strada da noi scelta è quella di mettere sullo stesso piano la lettura delle opere altrui e la nostra scrittura, in modo da avviare un reale processo di confronto da cui trarre reciproco supporto.

    Crediamo che il mercato editoriale sia una realtà da condividere e non da spartire tra i soliti noti, e che una letteratura nuova e di qualità possa risvegliare l’attenzione e l’interesse dei lettori.

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    FRANCESCA BONCI, nata a Roma il 27/08/1967 inizia a studiare danza a Roma nel 1987 al Centro Mimma Testa (allora CID – Centro Internazionale di danza), segue laboratori e seminari a Roma e all’estero con diversi maestri di danza contemporanea tra cui Solene Fiumani, Cloude Coldy, Roberto Sylva Itza, Lucia La Toure, Giorgio Rossi etc…
    Nel 1996 entra nella compagnia Altro Teatro diretta da Lucia La Toure dove rimane fino al 2001 danzando in tutte le produzioni della compagni nell’arco della sua permanenza.
    Parallelamente alla danza contemporanea dal 1990 al  1995 lavora con due compagnie di teatro di strada: il Filoforete, con cui viaggia anche in Spagna e in Francia, e la compagnia AriaAcqua-SoleTerra-MareFuoco.
    Dal 1995 conduce laboratori di danza contemporanea con adulti (con cui crea numerosi spettacoli) e adolescenti (dal 1999 al 2005 conduce un laboratorio nel I Liceo Artistico di Roma).
    Dal 2002 segue in Italia e all’estero, dietro selezione, workshops con Akran Kham; Antony Rizzi (danzatore Forsythe); Mia Lowerence; Anna Theresa de Kesmaker; David Zambrano, Yasmeen Godder, etc…
    Dal 2003 inizia lo studio di un “modello di sistema complesso”, entra nella scuola di formazione biotransazionale dove approfondisce la conoscenza appunto della teoria dei SCAC acronimo per Sistema Complesso Articolare Chiuso, avviando così una fase di ricerca, attraverso anche la sua attività di formatrice, per strutturare dei livelli di connessione tra l’approccio biotransazionale e la danza contemporanea. E’ durante questa fase di ricerca che incontra il lavoro di Silvia Rampelli e della sua compagnia Habillé d’Eau con cui intesse un discorso articolato, tutt’ora vivo.
    “Studio in rosso” nasce all’interno di questa ultima fase in cui il livello più propriamente teorico dello studio del modello dei SCAC, ha sostenuto  il lavoro concreto corporeo di danza, nella costante ricerca di una grammatica e sintassi comunicativa adeguate alla necessità di manifestare  ciò che nel corpo circolava

    Ultime produzioni
    •    2000 Intriniblà
    •    2001 5×4 senz’angolo: labilizzazione dinamica di un presupposto statico
    •    2003 dell’acqua indossando tutte le sue nature
    •    2004 Meone, mesone, peone
    •    2006 CapoVolto
    •    2007 Studio in rosso
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    “un guscio cesellato da un uomo sarebbe ottenuto dall’esterno, in una sorta di atti enumerabili che portano il segno di una  bellezza ritoccata, mentre il mollusco emana il proprio guscio, lascia trapelare la materia da costruire, distilla a misura la sua meravigliosa copertura. Mistero della vita formatrice, mistero della formazione lenta e continua
    (Gaston Bachlard)

    Nonostante immagine iniziale, fors’anche obsoleta,  appartenente all’indistruttibile bazar dell’antichità dell’immaginazione umana, ancora risuona il fascino di quel “farsi” e “dis-farsi” del biologico per cui l’interno sé-cerne se stesso e si autoconfina in un atto inenumerabile e incessante, designando lo spazio del fuori e del dentro come spazio unico dell’intimità
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    OBSOLESCENZA PROGRAMMATA, nome comune, neutro, singolare, in ogni caso orfano di articolo determinativo.
     
    OP non ha padri e non avrà figli, ma i compagni di viaggio sono molti: Tempia, Scatole Sonore, Primoregistrazioni, il Sirente, Altroverso, Ratio Bild Macher, Ettore Frani, Mirco Tarsi, Norman Nawrocki.

    PRODUZIONI

    Musica per esposizione, CDr, Primoregistrazioni, febbraio 2007.
    Musiche composte e assemblate in collaborazione con l’artista Ettore Frani, scelte come colonna sonora ideale della mostra pittorica Frammenti d’Amor, tenutasi nel novembre 2004 a Roma.

    Detrito, CDr, Primoregistrazioni, febbraio 2007.
    L’apocalisse invisibile del contemporaneo racchiusa in cinque tracce abrasive e mantriche.

    Mu – o dell’inabissamento, CDr, Primoregistrazioni, ottobre 2007.
    Breve suite sul concept dell’inabissamento. Vibrazioni basse dal fondo dell’oceano. Tre casi di evanescenza consapevole.

    Risulta, CDr, Primoregistrazioni, novembre 2007.
    Rumori e melodie acidificate dalla memoria e dall’oblio. Una preziosa collezione di scarti.

    IN PROGETTO

    Partecipazione alla compilation collettiva La Sonora Commedia per www.kipple.it con rielaborazione sonora dei Canti VIII dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso.
    Pubblicazione prevista per giugno 2008.

    Partecipazione alla Biennale dei giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo (www.bjcem.org) che si terrà a maggio 2008 in Puglia.

    IPSE DIXIT

    “OP non si presenta bene… ma quel che fa l’entità sannita è di funebre bellezza.”
    Dionisio Capuano su Blow Up 97, giugno 2006

    “Intriga ed affascina… ingloba con visione obliqua derive statico/isolazioniste e perentori scatti rabbiosi, un meccanismo inceppato in ripetizione infinita… a galleggiare un pelo sotto la superficie plumbea.”
    Marco Carcasi su www.sands-zine.com, maggio 2007

    “Paesaggi (ultra) urbani&cibernetici pulsano all’unisono con (magnifici) rimandi ad un crudo primitivismo tantrico.”
    Sergio Eletto su www.kathodik.it, gennaio 2008

    “Una musica che è mus(a naut)ica del cambiamento. Una palinodia del mondo… Una musica che abbatte definitivamente le barriere di genere e di linguaggio e si propone come il dropout dell’arte. Il suono del monoscopio dell’Essere.”
    Denis Brandani in Le corrispondenze invisibili – foglio di critica totale e parziale, gennaio 2008

    “Due palle.”
    Anonimo, gennaio 2008

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    Å è il nome di un trio di musicisti e polistrumentisti trentini e veneti.
    Stefano Roveda, Andrea Faccioli e Paolo Marocchio sono riusciti a creare un inusuale mondo sonoro partendo da strumenti tradizionali come violino, batteria, chitarra e cello con l’aggiunta di strumenti e percussioni esotiche, synth e strumenti autocostruiti.
    Sebbene l’ascoltatore più attento possa rintracciare nella loro proposta influenze di krautrock e primo minimalismo (Tony Conrad e Faust in primis), oppure tracce di sperimentalismi più o meno recenti, la musica degli Å rimane profondamente italiana in termini di suono, spazio e tempo.
    Intensamente personale, piena di immaginazione, a tratti bizzarra,
    nostalgica e coraggiosa allo stesso tempo, la musica di Å è costruita a partire da composizioni spontanee ed improvvisazioni, in un secondo tempo arrangiate da Xabier Iriondo (Afterhours, Uncode Duello, Polvere…).
    Così come le performance live, caratterizzate da una alternanza di lunghe suite e brevi cluster sonori, drone percussivi e preludi orchestrali.

    Il disco, uscito per Die Schachtel nell’autunno 2006, è stato accolto dalla critica italiana ed estera con grande entusiasmo, finendo nelle playlists di molti siti e blog, considerato uno dei migliori album del 2006 (www.ondarock.it).

    Il 18 maggio 2007 gli Å accompagnati da Andrea Belfi hanno suonato in free session con Tony Conrad, nella sua unica data in Italia, presso l’O’Artoteca di Milano.

    Il gruppo si è poi esibito in diversi locali in Europa, e ha registrato un live con intervista presso la VPRO radio di Amsterdam.

    http://www.die-schachtel.com
    http://www.myspace.com/cuboaa

    The Wire (Mike Barnes)

    Getting information on Å isn’t easy. Even Die Schachrel’s website enthuses about an “unknown (and we mean literally unknown trio of young Italian musicians. They are Stefano Roveda, Andrea Faccioli and Paolo Marocchio, and these pieces are apparently edited together from various improvisations. Some ot the drum patterns – brilliantIy recorded with both clarity and live-room clatter – recall Faust’s Zappi Diermaier, while the string drones trailing over hypnctic guitar are reminiscent of This Heat’s “horizontal Hold”.These can be heard on the 13 minute Closing track”It’s happening in my head” (the titles, some very long, are taken from Mark Haddon’s book The curious incident of the dog in the night-time) which then trails through piano interludes and a section of lyrical violin over repetitive guitar strummmig, this episodic collection has its own distinctive style, though and cuts from big raw guitar chords to pithy piano sonatas, to electronics with distant wailing vocals to kalimba loops – all to great effect. Being deluged with information on a daily basis, l’m happy to let the mystery of Å remain. But it would be fascinating to hear longer extracts from their source improvised material.

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    SCARICA IL CONCERTO DEL 4 OTTOBRE DEGLI UNCODE DUELLO
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  • Nawrocki sei un uragano

    L’Anarchico e il Diavolo fanno cabaret : Norman Nawrocki : ISBN 9788887847116 © il Sirente 

    di Allan Antliff (da Vue Weekly,  novembre 2002)

    Il musicista attivista di Montréal presenta i suoi spettacoli in Europa e arriva a Edmonton

    Nel suo divertente libro, l’artista di cabaret Norman Nawrocki mescola eventi reali, racconti incredibili e un po’ di storie inventate che sono vere quel giusto perché il racconto funzioni. E’ una pratica condotta con abilità e aplomb. L’anarchico e il diavolo fanno cabaret si apre con una coraggiosa descrizione della band di Narwocki di stanza a Montrèal, Rhythm Activism, che si prepara per un altro tour fai da te attraverso la scena musicale europea alternativa e underground. E di come si arrivi in uno squat olandese occupato da amici conosciuti in un tour precedente, per poi sistemarsi, mentre ai lettori viene fornito un quadro di come gli squat funzionino in Europa.
    Sostanzialmente, gli edifici vengono occupati, sistemati, difesi e infine legittimati come “cooperative non profit abitative come modello alternativo alla relazioni feudali padrone-vassallo e al costoso mercato privato delle case”. Questi squat, così come centri comunitari gestiti in cooperazione, bar e caffetterie, sono il meglio dell’anarchismo europeo. Nawrocki alterna i particolari sul lavoro con descrizioni di festoni alcolici e di avventure passate con il potere.
    Completati i preparativi, la band si imbarca nel tour su un furgone molto stipato. Il viaggio li porta dall’Olanda al Belgio, Francia, Svizzera, Austria, Germania, Ungheria, Repubblica Ceca, e poi indietro in Germania, Olanda e Francia, con un ritorno finale nella Repubblica Ceca. Tutto in 45 giorni.
    Bene, con un ritmo come questo anarchico che si rispetti è obbligato ad avere allucinazioni. O almeno così sembra mentre la narrativa di viaggio di Nawrocki costantemente viene erosa in racconti aneddotici che affrontano i temi rappresentati dalle persone che vivono nei paesi in cui passa attraverso. Politica umanizzata è distribuita in storie che coprono l’intera gamma da oltraggiosamente divertente a profondamente commovente. Il risultato finale è un libro che trasgredisce l’effetto realtà della fiction, provando che non devi credere a ciò che è descritto per capire che anche le favole parlano della realtà.
    Nel corso del tour Nawrocki è in cerca del suo zio polacco Harry Malewczek. Harry è un indigente veterano della seconda guerra mondiale che negli anni si è sporadicamente tenuto in contatto per posta con i suoi parenti canadesi. Attraverso una serie di lettere veniamo a conoscenza delle sue attività nella resistenza polacca e del suo successivo vagabondaggio in Europa. Rhythm Activism si fa strada da paese a paese e le storie su Harry irrompono periodicamente come bottiglie di birra che colpiscono un tavolo durante una conversazione di ubriachi. Harry combatte i tedeschi in Polonia e sopravvive ma impazzisce; è scambiato per un Rom (zingaro) nei paesi che attraversa; compra un diavolo marionetta e lo tiene in uno zaino. Ogni mattina siede in una piazza cittadina bevendo e parlando con il diavolo, a cui racconta le voci della popolazione locale. “Sei proprio una furba canaglia! Mi piaci! Fatti un altro sorso”.
    Nel proseguimento della storia veniamo a sapere che l’anarchismo occidentale è sotto assedio, mentre dell’Est destabilizzato un rinnovato radicalismo deve ancora nascere. In Ungheria, Nawrocky si trattiene con prostitute in un night club bordello adiacente al locale dove la band deve suonare. Discutono del commercio del sesso post-comunista in mezzo a sedie dell’amore in pelle, mura a specchio, felci e fiori di plastica. Più tardi quella sera Rhythm Activism suona nel locale dall’altro lato della strada, che si rivela essere il luogo d’incontro per i mafiosi capitalisti della città. La notte successiva fanno il loro spettacolo per un muro di ubriachi da strada e, in un altro locale, cantano una canzone anti-nazista a una folla di studenti. In Ungheria e altrove, il razzismo contro i Rom, alimentato da stipendi in calo e disoccupazione di massa, è in crescita. Anche nella Repubblica Ceca, Nawrocki è veloce a esporre il degrado insito nella fragile prosperità: una conversazione tra disoccupati in un caffè alla fermata dell’autobus mette le cose a posto. Nel frattempo un senzatetto entra per un pasto, servito da una cameriera ucraina il cui amore per l’umanità illumina l’altrimenti tetro interno. Non si aspetta soldi ed è sopresa quando il senzatetto tira fuori molto di più di quanto sia dovuto per il pasto. Divide il guadagno con gli altri lavoratori e tutti sono felici.
    Come a dire che in questo libro tutto è contingente. Non ci sono soluzioni scontate ai nostri problemi e la felicità è qualcosa per cui bisogna combattere. La buona notizia è che vale la pena di combattere e che, col diavolo al tuo fianco, chiunque può vincere.

    (Traduzione di Enrico Monier)

  • Norman Nawrocki + Obsolescenza Programmata

    Dal tour di Norman Nawrocki in Italia, il primo estratto. Norman Nawrocki e Obsolescenza Programmata improvvisano per 20 min., ultimo trip del tour.

    Napoli, 9 dicembre 2007 – live @ Perditempo