Fumetto: Magdy El Shafee, sempre in Egitto nonstante la censura

| Agenda Comunicazione | Lunedì 20 aprile 2009 | Marianna Massa |

Dopo le disavventure per il suo primo romanzo a strisce (“Metro“, che è stato sequestrato dalla polizia morale ed è costato il carcere al suo editore) l’autore racconta la sua vita, le sue aspirazioni, le difficoltà di lavorare nel suo Paese. «Mi hanno accusato di usare un linguaggio troppo spinto, ma è quello della vita di tutti i giorni». Ecco le parole di un uomo coraggioso e di talento.

«Oggi ho deciso di rapinare una banca. Non so come tutta questa rabbia si sia annidata in me. Tutto ciò che so è che la gente stava sempre da una parte, e io da un’altra. A me è rimasta solo una cosa: la mia testa… e ora ho finalmente deciso di fare quello che mi dice».
Inizia così Metro il primo romanzo a fumetti in lingua araba scritto e disegnato da Magdy el Shafei, ex farmacista egiziano sulla trentina da sempre amante dell’arte del fumetto.
Pubblicato nel gennaio 2008, Metro racconta la storia di Shehab, un giovane ed esperto programmatore di computer che, per evitare il fallimento economico, si lascia trascinare da un politico corrotto in una rapina in banca.
Metro si inserisce nella letteratura araba contemporanea come una pietra miliare, forse un po’ troppo pesante per la realtà egiziana da cui proviene: pochi mesi dopo la pubblicazione, il libro viene infatti confiscato e ritirato da tutte le librerie, mentre Muhhamad Sharqawi, il capo della casa editrice Dar Malameh che lo aveva pubblicato Metro, finisce prima in manette e poi davanti a un tribunale.
Magdy non si spaventa. Lo si capisce dalle se parole.

Signor Shafee, come inizia la sua esperienza da disegnatore e scrittore di fumetti?
Tutto quello che so è che disegno da quando sono capace di intendere e di volere… mio padre, quando si è accorto della mio interesse per la pittura, mi ha insegnato l’arte degli impressionisti e mi ha mostrato le loro opere originali al museo Muhammad Khalil. Mia cugina, che studiava alla facoltà di Belle Arti a Zamalek, mi ha fatto conoscere Modigliani e Kandinskij.
Ho amato i fumetti come mezzo di espressione, non solo come disegno. Da bambino Superman e Tintin erano le mie ricompense ideali e quando, all’età di 15-16 anni, ho letto una storia di Hugo Pratt è stato per me una meravigliosa sorpresa: l’eroe del fumetto non doveva essere per forza un modello pieno di virtù… mamma mia che emozione!
Perché?
Ero abituato a vedere per le strade solo pubblicità di candidati, con facce non certo di brave persone, alle elezioni; scarabocchi dei tifosi dell’Ahli… in giro non si trovava nulla che parlassedavvero egiziano. Così decisi che non sarei diventato un bravo pittore e che avrei fatto di tutto per diventare un fumettista.
Scrivere fumetti… che storia! Te ne stai a cercare finchè non trovi il tuo metro di paragone artistico, ma a volte è importante anche scrivere per se stessi. Non avevo tanta fiducia nelle mie capacità di scrittore e a questo proposito sono profondamente debitore a Ahmad el Aydi, un giovane romanziere, per il suo capolavoro Essere Abbas el Abd, uno dei migliori libri nell’Egitto contemporaneo. Sono stato fortunato perché lui mi era debitore dei tanti commenti generali su come migliorare lo stile della narrazione.
Come nasce l’idea di Metro e come si sviluppa?
Metro mi si è imposto da solo, nonostante l’inesistenza di un’industria del fumetto in Egitto, nel senso professionale del termine. Un mio amico era scappato, la polizia lo cercava: si trattava di una bravissima persona, profonda, sensibile, sincera e amava l’arte. Insomma, all’epoca il governo si trovava in uno dei tanti momenti di grottesco fallimento economico: per me era naturale trovare equo essere dalla parte di uno come il mio amico latitante piuttosto che di un governo che non faceva gli interessi del popolo. Questo succedeva nel 2003. Quindi gli scioperi e le manifestazioni contro la successione del governo e le elezioni presidenziali mi hanno spinto a scrivere ciò che accadeva in questa specie di teatro.
Per quali motivi Metro è stato sequestrato?
Il motivo ufficiale è che la polizia morale ha trovato il linguaggio usato nel fumetto troppo spinto. Tuttavia basta passeggiare in Piazza Ramses al Cairo per rendersi conto che il linguaggio quotidiano egiziano sia ben più spinto. La realtà è che il riferimento alla persona del politico corrotto non è visto come puramente casuale…
Alcuni artisti del Medio Oriente – come ad esempio Marjane Satrapi, la fumettista iraniana autrice di Persepolis – sono emigrati all’estero per salvaguardare la propria libertà di espressione artistica. Lei è rimasto in Egitto. Come vive?
In America ci sono istituzioni che scelgono: la storia di questo la facciamo disegnare a quello, arrivederci e grazie. Il risultato non è sempre bello e vivace come le opere europee, ma la produzione americana è enorme e stimola il commercio e l’industria del fumetto. Anche questo è importante per far sì che i fumettisti continuino a creare. Qui invece non c’è la giusta atmosfera professionale, ma il bello è la battaglia astuta e austera che devi combattere per venir fuori con un buon risultato nonostante le difficoltà a pubblicare e distribuire.
Spero che Metro rappresenti un nuovo inizio per il fumetto per adulti e per il graphic novel… quanto a vivere fuori dall’Egitto è un fatto che mi ha sempre confuso. Non mi piace immaginare che la gente di qui potrebbe trattarmi come uno di seconda classe e mettermi da parte solo perché decidessi di vivere in un altro posto del mondo… è così strano che l’umanità non si sia ancora liberata da questo complesso dell’intolleranza!
Ad esempio se incontri qualcuno mentre corri la mattina nel parco e nel bel mezzo della conversazione salta fuori che è ebreo o americano o arabo, lo inserisci subito in uno stereotipo con cui questa persona non ha niente a che fare.
In realtà non ho niente a che fare neanch’io con lo slogan “L’Egitto è Mubarak”, ho a che fare e sono responsabile solo della mia propria immagine.
Credo che la mia battaglia qui con l’editoria, la polizia e il sistema che monopolizza le opinioni non sia ancora arrivata in un vicolo cieco. Qualora dovesse arrivarci, allora mi porrei il problema. Ancora la situazione è sostenibile.
Metro non è stato ancora tradotto ma ci sono alcuni giornalisti italiani che ne hanno scritto su giornali e su siti internet. Inoltre, grazie alla critica d’arte Viviana Siviero, alcune tavole originali del libro sono state esposte alla mostra “Il Drago di Giorgio” a Sovramonte- Servo, in provincia di Belluno.
Si sarebbe aspettato un simile successo “internazionale” dopo la censura nel suo Paese?
Sinceramente no. Questo successo è andato di gran lunga oltre le mie aspettative. Ringrazio anche i miei amici statunitensi che hanno subito pubblicato alcune pagine del romanzo tradotte in inglese sul sito www.wordswithoutborders.org e su un numero speciale della loro rivista sul graphic novel. Vorrei ricordare anche Paola Caridi per il meraviglioso articolo scritto sul Sole 24 Ore e Rania Khallaf per quello uscito su El-Ahram Weekly, “Il Metro che abbiamo perso”.
Quali sono i suoi progetti professionali adesso?
Penso a storie intime della mia vita passata e presente. Penso al mio rapporto con le donne, a come la loro immagine mi si sia presentata all’inizio nell’ambito domestico, a come questa immagine sia poi stata trasformata in una società come quella saudita. Penso anche a come le mie esperienze intime e sincere con donne diverse hanno cambiato ancor più l’idea che avevo della donna, tanto da prendere il sopravvento sulle idee precedenti e a spingermi a difendere la questione femminile nella nostra società.
D’altro canto penso a una storia della nostra Storia riguardo a un personaggio che 120 anni fa reclamava il diritto del popolo alla libertà e a una vita dignitosa.
Quest’uomo si chiamava Ahmad Orabi, è lui che disse “L’Egitto agli Egiziani” creando un nuovo senso della Nazione, e noi ancora oggi combattiamo per realizzare il suo sogno.

Dopo una comparizione di pochi minuti il giudice ha spostato al 12 maggio l’udienza per il processo all’autore della prima graphic novel egiziana e al suo editore, che rischiano due anni di carcere perché viene usato un linguaggio “da strada” e compare una donna col seno scoperto. La protesta al Cairo degli intellettuali, dei fumettisti e dei sostenitori della libertà di espressione. Magdy: grazie anche alla stampa italiana per il sostegno che sto ricevendo.

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