Il Faraone e i Fratelli

AVVENIRE – 17/12/2008
di Federica Zoja

I fondamentalisti islamici, banditi dalla vita pubblica, guadagnano spazio. Il pugno duro di Mubarak

Due opposte spinte, due sfe­re di influenza agli antipodi rischiano di spaccare in due l’Egitto. In mezzo, 80 milioni di cit­tadini – di cui circa 12 milioni di re­ligione cristiana – impegnati, per la maggior parte, a sopravvivere alla crisi economica che sta colpendo il Paese.
I poli che si spartiscono il potere u­sano armi e tecniche differenti. Da un lato, la Fratellanza musulmana, abituata a nascondersi e ad agire dietro le quinte perché bandita uf­ficialmente dalla vita pubblica, conquista terreno là dove le auto­rità latitano: nei sindacati, nelle as­sociazioni di categoria, negli ospe­dali, nelle università. Con una dif­fusione capillare sul territorio, i Fra­telli fanno sentire la loro presenza e diventano punto di riferimento per chi necessita di lavoro, assi­stenza sanitaria, consulenza giuri­dica, informazione e istruzione.
Dall’altra parte della barricata, lo Stato – ormai simbiotico con la fi­gura dell’ottantenne «faraone» Ho­sni Mubarak, deciso a candidarsi anche alle elezioni presidenziali del 2011 – risponde con durezza: arre­sti, processi per direttissima per i membri della Fratellanza, control­lo sulle autorità islamiche attraver­so il ministero degli Affari Religiosi (Awkaf).
A entrambi gli schieramenti, ciò che importa è mantenere o conquista­re il potere. Niente di nuovo sotto il sole, si potrebbe dire, se non fosse che da tempo le donne monakab­bate (interamente coperte, in mo­do da lasciare liberi solo gli occhi) non sono più una rarità in Egitto. Né lo sono barbe lunghe e zebiba
 (callo che si forma sulla fronte dei fedeli che pregano con frequenza e zelo, toccando il suolo con la testa). L’islamizzazione egiziana si nutre dei petrodollari arabi, mentre la di­nastia Mubarak, satolla di quelli statunitensi, sembra perdere terre­no.
Ma ci sono altre forze, all’interno della società, che lottano affinché l’Egitto non venga sedotto dalle si­rene islamiste e recuperi, al con­trario, quella polifonia di fedi reli­giose e culture che era un tempo diffusa. Un pluralismo che il regime laico del Partito nazionale demo­cratico (Ndp) non ha saputo pre­servare.
Fra le battaglie che alcuni intellet­tuali egiziani stanno cercando di portare nelle aule dell’Assemblea popolare (la Camera bassa del Par­lamento, ndr) vi è quella per l’eli­minazione dalle carte di identità della dicitura ’musulmano’, ’ebreo’ e ’cristiano’, foriera di discrimina­zioni lungo tutta l’esistenza di un cittadino, in particolare se non ap­partenente alla maggioranza isla­mica dominante. Ne ha parlato recentemente in Ita­lia lo scrittore Khaled Al Khamissi, autore della raccolta di racconti ’Taxi’. La situazione, ha denuncia­to Al Khamissi, è peggiorata da quando, due anni fa, i documenti di identità sono diventati elettronici e l’appartenenza religiosa una que­stione di software: modificare i da­ti o eliminarli è ormai impossibile, salvo rinnovare il programma in u­so all’intera burocrazia egiziana.
Tanto per rendere la vita ancora più complicata, verrebbe da dire, a co­loro che desiderano convertirsi op­pure praticano una religione diver­sa dai tre monoteismi, come ad e­sempio la minoranza Baha’i. Per lo­ro, le alternative sono entrambe in­giuste: vivere in Egitto senza docu­menti – e quindi senza diritti – op­pure rinnegare la propria identità religiosa.
Lo Stato abbozza e non si sbilan­cia, ma lascia sperare nell’abolizio­ne della dicitura re­ligiosa almeno dai nuovi passaporti.
Ma c’è anche chi ri­tiene che autorità e Fratellanza stiano trattando le condi­zioni di una convi­venza pacifica: l’ap­poggio dei Fratelli per la successione di Gamal Mubarak al «trono» del padre in cambio del via li­bera all’islamizza­zione della società. In questo sen­so si spiegherebbe il messaggio ap­parso di recente sul sito internet Ikhwanweb (Fratelliweb) in cui Mahdi Akef, guida suprema del mo­vimento, ha espresso il suo soste­gno a Mubarak junior a condizione che il padre si ritiri dalla vita politi­ca.
Intanto la società si irrigidisce nel profondo. Significativi segnali del cambiamento in corso si possono cogliere ovunque, ad esempio nel­l’annuncio affisso sulle vetrine di una nota pasticceria del Cairo: « Cercasi commessi uomini, mu­sulmani credenti praticanti». Op­pure le scritte che accompagnano la stagione dei saldi nei magazzini della catena Tawhid u’ Nur (Mono­teismo e Luce), controllata dalla Fratellanza: «Grazie al favore di Al­lah i nostri prezzi sono scontati».
E ancora, la stazione ferroviaria di Ramses, snodo cruciale del Cairo, che si fa moschea all’ora della khut­ba (sermone pubblico del venerdì, ndr). E la preghiera collettiva, nei vagoni della metropolitana, scan­dita dall’altoparlante cinque volte al giorno.
Poi ci sono i segnali politici, tanto sfacciati quanto difficili da inter­pretare. Uno fra tutti: alle recenti e­lezioni sindacali degli avvocati, i Fratelli hanno sbandierato la pro­pria presenza, rivelatasi poi vin­cente, a fianco dei candidati liberali di Al Wafd (La delegazione), Al Ka­rama (La Dignità) e degli indipen­denti. Senza temere ritorsioni.

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