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  • La città nordafricana di Khaled Al Khamissi

    GIOVEDì 23 aprile 2009, ore 16.30-19, all’Atelier Urban Center Marcello Balbo (IUAV Venezia), Khaled Al Khamissi (scrittore, Il Cairo, Egitto), Daniele Pini (Università di Ferrara) presentano: La città nordafricana nell’ambito del ciclo di conferenze Le città degli altri: spazio pubblico e vita urbana nelle città dei migranti, per conoscere le diverse condizioni urbane da cui provengono i cittadini stranieri residenti a Bologna. Conclusioni di Giovanni Caudo (Università degli Studi Roma Tre).

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    Cinque appuntamenti per esplorare lo scenario urbano contemporaneo, visto dall’interno delle “città degli altri”. Città, spazi e dimensioni da cui provengono gli stranieri che vivono a Bologna, verranno illustrati da alcuni dei protagonisti della cultura urbana italiana e internazionale, da architetti, sociologi, giornalisti e scrittori. Tra gli altri, Raul Pantaleo – da diversi anni impegnato a fianco di “Emergency” nella costruzione di ospedali in zone di guerra – Gian Matteo Apuzzo – vincitore nel 2008 del Premio “scritture di confine Umberto Saba” – Jovan Ivanovsky – architetto che ha rappresentato la Repubblica di Macedonia alle ultime due edizioni della Biennale di Venezia – Haris Gazdar – direttore del Centro di Ricerche Sociali di Karachi in Pakistan – Khaled Al Khamissi – con il suo libro “Taxi” diventato un caso letterario in Egitto.

    Promosso dall’Urban Center di Bologna, “Le città degli altri” è un ciclo di conferenze per apprendere, per conoscere il rapporto originario, di uso, produzione e consumo degli spazi pubblici, i costumi relazionali e i modi di produrre comunità dei principali gruppi stranieri residenti a Bologna: un dialogo con alcuni dei protagonisti della cultura urbana italiana e straniera. Differenti discipline, differenti lingue e linguaggi si incontrano per tratteggiare i lineamenti della città globale di questo inizio secolo.

    La città contemporanea infatti è interessata da forti mutamenti sociali ed economici che ne ridefiniscono costantemente confini, simboli, identità. Si tratta di cambiamenti che si materializzano in particolare nello spazio pubblico. È qui, infatti, nello spazio che diventa luogo, che si stratificano significati, valori sociali e culturali, diretta conseguenza dei mutamenti urbani. In questo senso lo spazio pubblico è sia portatore di una atmosfera, componente dell’identità, della memoria, della storia di una città, sia esito di rielaborazioni che ne modificano significati e usi. Le strade, le piazze, i parchi, le stazioni, sono luoghi soggetti ad usi differenti, sono spazi di passaggio, di incontro, di commercio, di gioco, che possono stimolare la creazione di legami sociali, o costruire conflitto; che possono contribuire al senso di appartenenza o dare la percezione di estraneità, insicurezza, esclusione.

    Ma se sono noti gli spazi pubblici e il loro uso nelle “nostre città”, quanto sappiamo delle “città degli altri”, dai Balcani all’Europa dell’est, dall’Asia al Nordafrica? Che cosa conosciamo delle città e dei luoghi da cui provengono gli stranieri che quotidianamente incontriamo a Bologna? Come possiamo co-struire “spazio pubblico” inclusivo se non conosciamo a fondo il contesto soci-ale – con le sue diversità – che abbiamo di fronte? Sono queste le principali domande a cui questo ciclo di conferenze intende cominciare a dare risposta.

    “Le città degli altri” è sostenuto da: il settimanale “Metropoli” di La Repubblica, “Il Giornale dell’Architettura”, “Redattore Sociale”, “Città del Capo – Radio Metropolitana”, “Planum – European journal of planning on line” e “Equinozio – Cafè de la Paix”.

    PROGRAMMA   (PDF)
    PROGRAMMA   (HTML)

  • TAXI di Khaled Al Khamissi

    Scritti d’Africa – Domenica 1 febbraio 2009
    di Giulia De Martino

    Due parole sulla collana in cui compare questo titolo: si chiama “Altriarabi” e pubblica testi di artisti che si affacciano sulla sponda meridionale del Mediterraneo, dissonanti dalle rappresentazioni stereotipate e spesso caricaturali con cui i media occidentali spesso identificano gli abitanti di queste aree.
    Il libro di Khamissi ha venduto in Egitto circa centomila copie, eguagliando il successo editoriale di PALAZZO YACOUBIAN di Al Alswani, in un paese dove vendere 5000 copie produce normalmente un best-seller. Per di più, grazie alla promozione dell’autore, molto abile a muoversi negli ambienti letterari ed accademici europei, data la sua formazione culturale in Europa, conosce incessantemente nuove traduzioni. Cosa ha di tanto speciale? Innanzitutto la lingua in cui è scritto e poi il soggetto: i “tassinari” della capitale che si esprimono, senza peli sulla lingua, sulla maggioranza degli aspetti della vita quotidiana e non in Egitto.
    Il testo non è un romanzo, ma nemmeno una inchiesta giornalistica tout court: infatti rielabora il materiale di ascolto e di scambio umano, avuti dall’autore con centinaia di tassisti del Cairo, in 58 scenette dialogate, di stampo quasi teatrale, cucite da alcune sue opinioni o spiegazioni atte a gustare meglio il libro. L’autore sceglie di far parlare i tassisti nella loro lingua naturale, il dialetto arabo egiziano, relegando l’arabo standard a quelle parti che contestualizzano i diversi raccontini; siccome il testo è composto all’80% di dialoghi, ecco che si può dire che è scritto quasi interamente in quel dialetto che è la lingua vera e viva in cui si esprimono tutti quotidianamente.
    Questo, naturalmente, produce dei problemi di resa in traduzione, brillantemente superati da Ernesto Pagano, che a volte presta agli autisti di taxi accenti ed espressioni meridionali italiane, romane o emiliane, quel tanto che basta per non produrre un effetto di straniamento ed allontanare il lettore dalla realtà cairota. Ne viene fuori un ritratto indimenticabile di questa città di circa 18 milioni di abitanti, percorsa incessantemente da più di 80.000 tassisti, a volte per 18 ore al giorno, in un traffico caotico di macchine autobus, metropolitane, carretti e pedoni, in un ambiente inquinato e soffocante, dal rumore assordante. Leggere questo libro è meglio di molti trattati sociologici o antropologici sulla società egiziana: ci consegna immediatamente una umanità paziente sì, ma che non ne può più di corruzione amministrativa e della polizia, di una elefantiaca burocrazia, di mancanza di democrazia e di libertà, in una parola, dell’onnipotente Mubarak. Sembra che l’ultimo spazio di libertà espressiva sia rappresentato dalla strada, dove il cittadino comune riesce a catalizzare il malcontento sul governo, sulle sue scelte politiche americaneggianti, sulle scelte economiche che stanno mettendo in ginocchio il paese. Il panorama dei tassisti colti da Khamissi è quanto mai vario: ci sono sognatori e mistici, fanatici religiosi e misogini incalliti, malati di pornografia, professori e studenti disoccupati, truffatori, immigrati dal sud, attori a spasso e gente rovinata da speculazioni azzardate per la portata reale delle loro tasche. Il tutto ci dice che fare il tassista è diventato il mestiere di chi non ha più occupazione, un modo di sbarcare il lunario. Le loro opinioni, ma anche le loro barzellette, ci danno uno spaccato del pensiero non delle élites intellettuali ma degli strati popolari e poveri dell’intera società egiziana.
    Ci sono degli esempi divertenti e altri tristi e inquietanti: citiamo l’episodio in cui si parla della legge che ha liberalizzato le licenze di taxi, producendo una quantità abnorme di autisti, vessati da disposizioni assurde, come quella sulle cinture di sicurezza. Si scopre che il governo egiziano le ha introdotte come beni di lusso sui veicoli importati, facendo pagare alti dazi doganali. Questo ha indotto la maggioranza ad eliminarle per non pagare costi salati, ma poi sono state rese obbligatorie e i tassisti sono stati costretti a reinstallarle, a proprie spese: ovviamente molti lo hanno fatto solo per finta e quindi non funzionano, con i risultati ovvi di incidenti , il che ci dice qualcosa anche di casa nostra.
    Alcuni tassisti si esprimono sullo stato bassissimo della istruzione pubblica: i bambini imparano a malapena a leggere, costringendo molti genitori a spendere per lezioni private pur di far imparare qualcosa ai figli. Ecco allora la trovata geniale di un tassista: non manda i figli a scuola così mette da parte i soldi che avrebbe speso per l’istruzione, giudicata ormai inutile, da utilizzare alla maggiore età dei figli per aprire una attività di vendita o un nuovo taxi… L’importante è fare soldi, a scuola tanto si impara solo l’inno nazionale e le sciocchezze che Mubarak vuole si trasmettano ai ragazzi, futuro del paese.
    Ma c’è anche spazio per la guerra in Iraq, per i Fratelli musulmani, per le condizioni sanitarie del Said sottosviluppato e anche per un tassista contemplativo: “da 30 anni divido la mia giornata in 3 parti: nella prima lavoro, nella seconda sto con mia moglie e i miei figli e nella terza vado a pescare sul Nilo. Vado a lavare il mio spirito, il mio corpo e i miei occhi. E sulla superficie del Nilo leggo le parola di Dio […] Se ognuno di noi, in questo paese, si fermasse a guardare la superficie dell’acqua […] non ci sarebbero né corruzione né mazzette […] ogni volta che finisco il turno ho paura per i miei figli, paura del futuro […] quando però finisco di pescare, mi sento pieno di speranza per il domani e fiducia che ogni cosa andrà per il meglio”. La società egiziana a bordo di un taxi, titola una recensione dedicata a questo libro, quanto mai appropriata.

  • Khaled Al Khamissi, “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano”

    NIGRIZIA – Febbraio 2008
    di Pier Maria Mazzola

    gencopertina«E perché secondo te dove viviamo? In una città? La giungla è il paradiso rispetto a dove stiamo noi. Lo sai dove viviamo noi? — Dove? — All’inferno». 58 siparietti da cui si sprigiona, nelle conversazioni fra il cliente-narratore e un tassista o l’altro, la satira, sociale e politica (anche se l’autore ammette di essersi autocensurato su certi nomi e certe storie…). Donne in niqab che dentro il taxi si trasformano, tassinari con storie strappalacrime per scucire qualche lira di più, il traffico che si blocca — anche quello pedonale — a motivo di una passeggiata di Mubarak… Il libro è un best seller in Egitto, e al lettore nostrano tornerà in mente la commedia all’italiana. Il Sirente, 2008, pp. 191+XII, € 15,00.

  • Taxi. Le strade del Cairo si raccontano

    Lettera internazionale 98 – 4° trimestre 2008
    di Linda Giannattasio

    Copertina di "Lettera internazionale 98".

    «Regalo questo libro alla vita che abita nelle parole delle persone semplici. nella speranza che ingoi il vuoto che da anni dimora cdentro di noi». Si apre così Taxi, opera dell’autore egiziano Khaled Al Khamissi, con un dono e una dichiarazione di intenti che lascia fin da subito il suo regno e la sua volontà al lettore che si appresta a compierne il viaggio. Viaggio, infatti, è l’unico modo nel quale questo libro può essere definito, un’opera che pur essendo di fiction non è propriamente un romanzo, bensì un percorso. Un percorso che si dirama nel dedalo delle strade di quella città che meravigliosamente ricca di contraddizioni che è Il Cairo, alla scoperta dei suoi nascondigli e della sua gente. E allora si parte. Bastano le voci dei tassisti, cantastorie di racconti che molto spesso non sono favole ma drammi di vita quotidiana, e un passeggero interlocutore, per tratteggiare in una serie di storie brevi e significative, il modno dell’Egittto dei nostri giorni.
    Il lettore è a bordo di queste auto nere e scalcagnate che attraversano il traffico della città e assiste a ognuno di questi dialoghi immergendosi di volta in volta in una realtà diversa che coinvolge, attraverso storie di vita comune, i temi della politica, dell’economia, della sanità e dell’istruzione. Temi affrontati con l’ironia e la disperazione di quelle persone semplici che li vivono e per questo hanno il diritto di avere voce. Ed è proprio la voce di quei tassiti che l’autore definisce «termometro dell’umore delle indomabili strade egiziane» a raccontarli. Tassisti con ogni tipo di competenza e livello di istruzione, prigionieri di un «business dei poveri» dall’incremento incontrollato e incontrollabile.
    Ecco, Quindi, che nelle cinquantotto storie in cui si articola il racconto si incontrano decine di personaggi, tutti protagonisti di una vita diversa: c’è il disgraziato che guida da tre giorni consecutivi rischiando la vita per un colpo di sonno perché deve pagare la rata d’affitto del suo taxi, l’esperto di borsa, il laureato che porta il taxi per arrotondare «perché in Egitto è impossibile sopravvivere con un solo stipendio».
    Storie di povertà, dalle quali emergono anche le convinzioni politiche di questa gente: c’è chi bestemmia contro il Ministero dell’Interno e le forze dell’ordine, chi maledice il governo e chi ama l’Iraq. Chi vorrebbe cancellare la parola “americano”, chi è arrabbiato per una democrazia inesistente e chi è davvero rassegnato quando afferma: «Nessuno ci umilia meglio del nostro Paese». È allora che il lettore non è più spettatore ma entra nel mondo che vive in quelle pagine, un mondo ben raccontato anche nello stile, narrato attraverso i suoi dialetti – tradotti con le inflessioni del nostro italiano – ma anche descritto con termini lasciati nella lingua d’origine, perché conservino la loro forza. Parole, racconti popolari, tante barzellette che non solo contribuiscono a rendere facile la lettura ma sono lo specchio della società egiziana e il modo perfetto per criticarla.
    Così chi legge prosegue il suo viaggio, guidato in un universo di nomi e di luoghi, con una cartina e un glossario a fargli compagnia. Perché nessun luogo è privo di senso e nessuna parola viene lasciata senza spiegazione nell’intento sociologico e didattico proprio di questo libro.
    Un libro attraverso il quale si scopre la gente d’Egitto e l’Egitto profondo, avvicinandosi in punta di piedi a un mondo arabo di cui si parla spesso da troppo lontano. Si entra nelle maglie della povertà e allo stesso tempo si apprezza la bellezza dei luoghi in cui quel mondo abita e vive le sue contraddizioni. Un viaggio da compiere, nella speranza che ingoi davvero quel «vuoto che da anni dimora dentro di noi».

  • Le lamentele degli egiziani nel «Taxi»

    IL TEMPO – Domenica 11 gennaio 2009
    di Antonella Melilli

    Quella di osservare le strade di una metropoli immensa e rutilante come il Cairo attraverso l’abitacolo di un taxi, che per il suo bassissimo costo costituisce il mezzo di trasporto di gran lunga più usato per le strade della città egiziana, è sicuramente un’idea accattivante e originale. Anche se non totalmente scevra dal rischio di approdare a una narrazione di bozzettistica superficialità. Ma Khaled Al Kamissi, giornalista, regista e produttore, autore di questo «Taxi» (Editore Il Sirente. pagg. 192) riesce brillantemente ad aggirare l’ostacolo, finendo per restituire attraverso le 58 brevi storie qui raccolte un ritratto variegato e il senso più profondo di un mondo arabo per noi occidentali assai difficile da comprendere. Storie vere, del resto, che attraverso i dialoghi coi conducenti di taxi, spinti dalla disperazione della fame e del bisogno a rovinarsi nervi e salute per un guadagno, spesso illusorio, di pura sopravvivenza, stigmatizzano situazioni drammatiche e complesse di corruzione dilagante, di guerre infinite e di arroganti ingerenze straniere. Facendone affiorare insieme l’impossibilità di esprimersi del mondo femminile, l’acquiescenza di chi confida nel Corano o l’indignazione di chi lucidamente vede i guasti del paese e le responsabilità dello Stato. E soprattutto storie di gradevole e agile lettura che si snodano sul filo di una scrittura innovativamente intrecciata di arabo coranico e di dialetto popolare. Decretando il successo di un piccolo libro che, autentico caso letterario in Egitto, è stato prontamente tradotto in Inghilterra e in Francia e giunge ora in Italia ad avviare la collana Altriarabi con cui la Casa Editrice Il Sirente punta l’attenzione sugli aspetti più nuovi e interessanti delle culture che si affacciano sull’altra sponda del Mediterraneo. Avvalendosi per la traduzione del contributo di Angelo Pagano, che attinge agli accenti del nostro Meridione per restituire, sul filo di una quasi naturale empatia, la spontaneità umorale di un’espressività popolaresca e quotidiana.

  • Più libri più liberi, affluenza record

    IL MESSAGGERO – 8/12/2008
    di Matteo Chiavarone

    Per il settimo anno consecutivo si è svolta a roma “Più libri più liberi”, la fiera della piccola e media editoria e, nonostante la crisi, ancora una volta i risultati sono in crescita. Segno che la qualità paga.

    Pronti via, passa il primo giorno e già si era iniziato a parlare di record. E così è stato. Anche quest’anno Più libri Più liberi, fiera della piccola e media editoria, ha ottenuto risultati davvero incredibili. E pensare che alla vigilia la forte crisi economica che si è abbattuta sul nostro paese aveva preoccupato e non poco organizzatori e addetti al lavoro. Più 20% d’affluenza alla giornata di presentazione, anche se potrebbe aver influito il cambiamento di giorno (da giovedì a venerdì), e sicuramente, nel totale e aspettando i risultati finali, ha superato i cinquantamila visitatori dell’edizione precedente e il numero di vendite.
    Hanno inaugurato la rassegna il Sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali Francesco Maria Giro e gli assessori alla cultura di Comune, Regione e Provincia, Umberto Croppi, Giulia Rodano e Cecilia D’Elia. A fare gli onori di casa il presidente del Comitato piccoli editori dell’AIE Enrico Iacometti, il direttore della Fiera Fabio del Giudice e gli ambasciatori di Nicaragua, Colombia e Salvador (una delle novità della settima edizione è la vetrina di letteratura latinoamericana America Latina. Tierra de Libros). Nei quattro giorni sono stati moltissimi gli incontri con personaggi della cultura, dello spettacolo e della scienza. Si è andati da una Rita Levi Montalcini applauditissima ad un Andrea Camilleri in grande spolvero che insieme ad un bravo Sergio Rubini hanno interpretato la “intervista impossibile” a Venerdì di Robinson Crusoe.
    In generale tutti gli appuntamenti del Caffè letterario sono stati affollatissimi: Massimo Carlotto, Lee Stringer, Sergio Cameriere, Caterina Guzzanti. Così come affollatissimo, ma stavolta di una ondata di bambini e giovanissimi, è stato l’incontro con Paolo Bonolis (tornato indietro negli anni, ai tempi di Bim Bum Bam), Pennino Finnegan e la fabbrica di baci di Nicola Brunialti. Sale piene anche per Pupi Avati, Gianrico Carofiglio, Carlo Lucarelli, Umberto Croppi, Enrico Montesano, Rocco Papaleo, Sandro Portelli, Nada, Khaled Al Khamissi, Nicolas Fargues, segno che tutti gli eventi sono stati organizzati al meglio, cercando di condire il più possibile una fiera che sta diventando, anno dopo anno, sempre più vivace, una scommessa vinta da tutti quelli che ci hanno creduto, sin da quel lontanissimo 2002, anno della prima edizione.
    Il giorno della chiusura, lunedì 8 dicembre, fortunatamente festivo, ha offerto una standing ovation a Stefano Benni che ha salutato i lettori del suo Miss Galassia, splendido volume illustrato edito da Orecchio Acerbo e scritto a quattro mani con Luci Gutierrez, autrice dei disegni. Nel pomeriggio un Umberto Eco sommerso di applausi ha partecipato all’incontro sulla “Traduzione d’autore”, incantando come sempre la platea con il suo stile a metà strada tra l’accademico e l’ironico (un’ironia come sempre colta e sottile). L’autore de Il nome della Rosa ha partecipato anche, come ospite, alla diretta quotidiana di Radio 3 Fahrenheit, con un Marino Sinibaldi, che alla fine di tre ore molto piacevoli, ha nominato il vincitore de Il libro dell’anno.
    Ad aggiudicarsi il premio è stato Boris Pahor, che con il suo Necropolis (Fazi 2008), libro davvero molto intenso e sconvolgente, scritto con un linguaggio crudo che non cede all’autocommiserazione, ha ribaltato i pronostici che vedevano in Giordano (La solitudine dei numeri primi) il favorito assoluto. E se Boris Pahor ci racconta la sua esperienza del mondo dei campi di concentramento nazisti nella speranza che la memoria non si perda e la storia non sia passata invano, tutti gli altri autori selezionati ci permettono di osservare la realtà (o l’irrealtà) attraverso sguardi sempre attenti, vivi, emozionali. Tra i libri in lizza molto belli quelli di Cavina (I frutti dimenticati), di Walter Siti (Il contagio), di Francesco Piccolo (La separazione del maschio).

  • Il Faraone e i Fratelli

    AVVENIRE – 17/12/2008
    di Federica Zoja

    I fondamentalisti islamici, banditi dalla vita pubblica, guadagnano spazio. Il pugno duro di Mubarak

    Due opposte spinte, due sfe­re di influenza agli antipodi rischiano di spaccare in due l’Egitto. In mezzo, 80 milioni di cit­tadini – di cui circa 12 milioni di re­ligione cristiana – impegnati, per la maggior parte, a sopravvivere alla crisi economica che sta colpendo il Paese.
    I poli che si spartiscono il potere u­sano armi e tecniche differenti. Da un lato, la Fratellanza musulmana, abituata a nascondersi e ad agire dietro le quinte perché bandita uf­ficialmente dalla vita pubblica, conquista terreno là dove le auto­rità latitano: nei sindacati, nelle as­sociazioni di categoria, negli ospe­dali, nelle università. Con una dif­fusione capillare sul territorio, i Fra­telli fanno sentire la loro presenza e diventano punto di riferimento per chi necessita di lavoro, assi­stenza sanitaria, consulenza giuri­dica, informazione e istruzione.
    Dall’altra parte della barricata, lo Stato – ormai simbiotico con la fi­gura dell’ottantenne «faraone» Ho­sni Mubarak, deciso a candidarsi anche alle elezioni presidenziali del 2011 – risponde con durezza: arre­sti, processi per direttissima per i membri della Fratellanza, control­lo sulle autorità islamiche attraver­so il ministero degli Affari Religiosi (Awkaf).
    A entrambi gli schieramenti, ciò che importa è mantenere o conquista­re il potere. Niente di nuovo sotto il sole, si potrebbe dire, se non fosse che da tempo le donne monakab­bate (interamente coperte, in mo­do da lasciare liberi solo gli occhi) non sono più una rarità in Egitto. Né lo sono barbe lunghe e zebiba
     (callo che si forma sulla fronte dei fedeli che pregano con frequenza e zelo, toccando il suolo con la testa). L’islamizzazione egiziana si nutre dei petrodollari arabi, mentre la di­nastia Mubarak, satolla di quelli statunitensi, sembra perdere terre­no.
    Ma ci sono altre forze, all’interno della società, che lottano affinché l’Egitto non venga sedotto dalle si­rene islamiste e recuperi, al con­trario, quella polifonia di fedi reli­giose e culture che era un tempo diffusa. Un pluralismo che il regime laico del Partito nazionale demo­cratico (Ndp) non ha saputo pre­servare.
    Fra le battaglie che alcuni intellet­tuali egiziani stanno cercando di portare nelle aule dell’Assemblea popolare (la Camera bassa del Par­lamento, ndr) vi è quella per l’eli­minazione dalle carte di identità della dicitura ’musulmano’, ’ebreo’ e ’cristiano’, foriera di discrimina­zioni lungo tutta l’esistenza di un cittadino, in particolare se non ap­partenente alla maggioranza isla­mica dominante. Ne ha parlato recentemente in Ita­lia lo scrittore Khaled Al Khamissi, autore della raccolta di racconti ’Taxi’. La situazione, ha denuncia­to Al Khamissi, è peggiorata da quando, due anni fa, i documenti di identità sono diventati elettronici e l’appartenenza religiosa una que­stione di software: modificare i da­ti o eliminarli è ormai impossibile, salvo rinnovare il programma in u­so all’intera burocrazia egiziana.
    Tanto per rendere la vita ancora più complicata, verrebbe da dire, a co­loro che desiderano convertirsi op­pure praticano una religione diver­sa dai tre monoteismi, come ad e­sempio la minoranza Baha’i. Per lo­ro, le alternative sono entrambe in­giuste: vivere in Egitto senza docu­menti – e quindi senza diritti – op­pure rinnegare la propria identità religiosa.
    Lo Stato abbozza e non si sbilan­cia, ma lascia sperare nell’abolizio­ne della dicitura re­ligiosa almeno dai nuovi passaporti.
    Ma c’è anche chi ri­tiene che autorità e Fratellanza stiano trattando le condi­zioni di una convi­venza pacifica: l’ap­poggio dei Fratelli per la successione di Gamal Mubarak al «trono» del padre in cambio del via li­bera all’islamizza­zione della società. In questo sen­so si spiegherebbe il messaggio ap­parso di recente sul sito internet Ikhwanweb (Fratelliweb) in cui Mahdi Akef, guida suprema del mo­vimento, ha espresso il suo soste­gno a Mubarak junior a condizione che il padre si ritiri dalla vita politi­ca.
    Intanto la società si irrigidisce nel profondo. Significativi segnali del cambiamento in corso si possono cogliere ovunque, ad esempio nel­l’annuncio affisso sulle vetrine di una nota pasticceria del Cairo: « Cercasi commessi uomini, mu­sulmani credenti praticanti». Op­pure le scritte che accompagnano la stagione dei saldi nei magazzini della catena Tawhid u’ Nur (Mono­teismo e Luce), controllata dalla Fratellanza: «Grazie al favore di Al­lah i nostri prezzi sono scontati».
    E ancora, la stazione ferroviaria di Ramses, snodo cruciale del Cairo, che si fa moschea all’ora della khut­ba (sermone pubblico del venerdì, ndr). E la preghiera collettiva, nei vagoni della metropolitana, scan­dita dall’altoparlante cinque volte al giorno.
    Poi ci sono i segnali politici, tanto sfacciati quanto difficili da inter­pretare. Uno fra tutti: alle recenti e­lezioni sindacali degli avvocati, i Fratelli hanno sbandierato la pro­pria presenza, rivelatasi poi vin­cente, a fianco dei candidati liberali di Al Wafd (La delegazione), Al Ka­rama (La Dignità) e degli indipen­denti. Senza temere ritorsioni.

  • Khaled al-Khamissi, Taxi. Le strade del Cairo si raccontano

    Centro Internazionale di Studi e Ricerche Oasis (C.I.S.R.O.) – dicembre 2008
    di Martino Diez

    Khaled al-Khamissi, Taxi. Le strade del Cairo si raccontano, il Sirente, 2008.

    «Ci avevo sperato fino a quando non hanno preso Saddam. Quel giorno ho pianto come una fontana. Ho sentito che noi arabi ci facevamo calpestare come insetti. Mi sono sentito come una formica che chiunque poteva schiacciare sotto i piedi».
    «Io mi voglio sposare uno coi soldi: lo amo o non lo amo, non me ne importa niente. L’importante è che c’ha i soldi».
    «Noi viviamo nel paese delle minchiate e ci crediamo pure. L’unico ruolo di questo governo è controllare che continuiamo a crederci. È vero o no?».
    Lo scrittore arabo contemporaneo, come tutti i suoi conterranei, vive diviso tra due lingue: il dialetto, che usa tutti i giorni, e l’arabo classico, la lingua di prestigio. Sono due modi diversi di raccontarsi. Uno irriverente, critico, spietato. L’altro paludato, accademico, ieratico. In dialetto si racconta il mondo com’è, in classico il mondo come dovrebbe essere. Finora però l’immagine ideale ha sempre prevalso, anche nella autorappresentazione delle società arabe, e a livello linguistico, salvo rare eccezioni, solo l’arabo classico ha goduto di dignità letteraria.
    La genialità di Taxi, primo libro egiziano scritto per tre quarti in dialetto, è tutta nel contrappunto di voci parlate, ora serie, ora ironiche o disperate, spesso sguaiate, volgari anche, mai scontate. Uno spaccato sull’Egitto contemporaneo, attraverso la particolare visuale degli autisti di taxi. Chiunque abbia messo i piedi nella caotica capitale mediorientale conosce per esperienza tutta l’importanza delle onnipresenti macchine nere a strisce bianche, spesso autentiche carcasse, principale mezzo di trasporto nella sterminata megalopoli. Non di rado capita di avviare dialoghi simili a quelli riportati nel libro. C’è il disperato, l’idiota, l’autista che non dorme da tre giorni perché deve pagare la rata, il fondamentalista, il cristiano arrabbiato, l’emigrato ritornato al paese, il contrabbandiere, il barzellettiere… Come nella realtà, anche nel libro spesso si parla di politica, sempre ai limiti della censura, tanto che qua e là viene il sospetto che l’autore ci abbia aggiunto del suo. Si toccano temi scomodi, come la discriminazione dei copti nelle università, la prostituzione o la corruzione generalizzata. Il traduttore italiano, a parte qualche refuso come Notte di Qadr invece di Notte del Qadar, indovina complessivamente il registro linguistico, pur con qualche concessione al gusto per lo scurrile.
    Senza dubbio questa raccolta di storie brevi, prima opera di Khaled al-Khamissi, intercetta un bisogno reale di raccontarsi oltre gli stereotipi autoimposti, come dimostrano le oltre 35.000 copie vendute, in un paese, l’Egitto, dove 3000 copie sono considerate un successo. Emerge il quadro di una società sull’orlo della bancarotta economica, sfiduciata, in preda a una crisi morale ed educativa radicale («Sono pazzi. Mandano i loro figli a scuola […]. Io personalmente dico a tutti quelli che stanno attorno a me: “Non li mandate i figli vostri a scuola, non li mandate!” È diventata la mia unica causa nella vita»), in cui la maggior parte della popolazione è totalmente assorbita dalla lotta per la sopravvivenza quotidiana. Eppure, nonostante tutto, le cose vanno avanti. Perché, come conclude l’anziano guidatore del primo racconto, «quel pane, quei soldi, non sono né miei né vostri. Appartengono a Dio. Questa è l’unica cosa che ho imparato durante la mia vita».

  • Viaggi in Egitto: offerte, pasqua, ferragosto, natale, capodanno, piramidi, il Cairo, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre

    Viaggi in Egitto: offerte, pasqua, ferragosto, natale, capodanno, piramidi, il Cairo, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre

    Cari lettori,

    riporto di seguito qualche informazione utile se mai decideste di intraprendere un viaggio in Egitto (Il Cairo, Luxor, Sharm el-Sheik, Hurgada, Sinai). Come sapete, dopo i cittadini delle ex repubbliche sovietiche gli italiani sono i viaggiatori più numerosi nella terra dei defunti faraoni. Questo sarà un piccolo prontuario da tenere alla mano se intendete avventurarvi in un viaggio in Egitto fai da te… che crescerà con il tempo, quindi tornate a visitarci!
    L’Egitto ve lo raccontiamo segnalandovi, così come fa la Lonely Planet, il libro “Taxi. Le strade del Cairto si raccontano” di Khaled Al Khamissi che abbiamo pubblicato nella nostra collana “Altriarabi”. Un libro dedicato «Alla vita che abita nelle parole della povera gente» che va letto prima di avventurarsi in qualsiasi avventura umana in Egitto, per conoscere e imparare, attraverso 58 brevi storie, qualcosa di più del popolo egiziano. Taxi è un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti egiziani sono degli amabili cantastorie che, con disinvoltura, conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni.

    Un viaggio in Egitto è un viaggio nel nostro passato e nel nostro futuro.

    Prendere un taxi al Cairo
    Ecco un piccolo prontuario da tenere alla mano se intendete avventurarvi in un viaggio in Egitto fai da te…
    Tra i vari mezzi di trasporto messi a disposizione dalla grande metropoli egiziana, il taxi è sicuramente il mezzo più semplice. In qualsiasi giorno della settimana a qualsiasi ora della giornata, dovunque voi vi troviate ci sarà sempre un taxi che vi passerà davanti pronto a fermarsi appena farete un minimo gesto della mano… a meno che non siate estremamente sfortunati.
    La prima cosa da fare appena un taxi si ferma, dopo un breve saluto che potrebbe suonare “Assalamu aleikum” (che la pace sia con te) che agli egiziani fa sempre piacere, senza troppi preamboli (posizionandovi se siete una donna sola nel sedile retrostante e se siete un uomo nel sedile accanto al conducente), comunicategli la meta che intendete raggiungere.
    In Egitto non esiste un vero e proprio tariffario da seguire per il pagamento della corsa. In genere le persone si basano su dei prezzi convenzionali non scritti che si apprendono dopo un lungo periodo di permanenza e che variano a seconda delle condizioni del traffico e sicuramente a seconda di che tipo di cliente si siede nel taxi, i turisti hanno sempre dei prezzi maggiorati, è per questo che conviene non sfoggiare guide, occhiali da sole e macchine fotografiche, ma adattarsi agli usi del posto… contando sul fatto che nel 50% delle volte un italiano, specialmente se meridionale, potrebbe essere confuso con un abitante del luogo. Possiamo orientativamente dire che la tratta aeroporto – centro città costa dai 40 ai 50 pound, partendo dall’aeroporto conviene sempre prima della corsa accordarsi con l’autista sul prezzo della tratta, agli egiziani, come alla grande maggioranza degli arabi piace molto contrattare e molte volte se il cliente non tratta viene considerata persona di poco conto, più sarete tenaci e più riuscirete a farvi fare un prezzo ragionevole, o almeno il prezzo giusto per la corsa. In città una piccola tratta di 4/5 km, per esempio dall’isola di Zamalek al Midan Tahrir (Museo egizio), costa non più di 5 pound. Non lasciatevi intimidire da discorsi tesi ad impietosirvi, se sapete di aver pagato il prezzo giusto scendete sicuri di voi stessi chiudete la portiera e salutate anche se magari da alcuni tassisti arriveranno una valanga di maledizioni… pensate però che la professione del tassista al Cairo è stancante è difficile e se potete permettervi qualche lira in più che per voi sono pochi centesimi al tassista cambierà la giornata.
    Prendere un taxi al Cairo è sempre un’avventura che potrebbe essere assolutamente divertente, interessante, piacevole o il vostro più brutto ricordo. La gamma degli autisti è molto varia, spaziano da colti laureati ad analfabeti. Alcuni sanno bene l’inglese, altri qualche parola, con altri ancora se non conoscete qualche parola di arabo sarà assolutamente impossibile comunicare. Gli egiziani sono dei grandi intrattenitori, cantastorie formidabili, ma se siete nella giornata no in cui non vi va di parlare, ma solo contemplare il paesaggio dell’affascinante Cairo il conducente capirà all’istante e alzerà di buon grado l’audio della radio per farvi assaporare il Cairo al ritmo di musica araba… o prediche religiose se siete meno fortunati.
    Se siete invece vogliosi di conversare, sicuramente la prima domanda sarà: “da dove viene?” E a quel punto rispondere che siete italiani andrà a vostro favore, gli egiziani hanno un’estrema simpatia per gli italiani che considerano molto simili, vi diranno “Ahsan an-nnasuu” (la gente migliore) e inizieranno a parlare di qualche calciatore, se non vi intendete di calcio fate finta di essere buoni intenditori per non togliere il tono allegro della conversazione. Se malauguratamente il tassista vi chiede di che religione siete avete due opzioni: cristiani o musulmani, se non volete essere vittime di prediche su paradiso e fine del mondo è meglio non dire che siete ebrei o atei perché tenteranno in tutti i modi di convincervi che l’Islam è l’unica religione, chiaramente se il tassista è musulmano, difatti al Cairo c’è una buona minoranza di cristiani coopti ortodossi… ve ne accorgerete guardano il polso dell’autista, se ha una piccola croce tatuata è sicuramente un cristiano.
    Buon viaggio! e quando scendete non dimenticatevi di ringraziare “Shuukran” e di fare qualche buon augurio al tassista, come “rabbina maak” (Egiziano colloquiale “che Dio sia con te”).

  • Taxi: le strade del Cairo si raccontano

    RADIO CITTÀ DEL CAPO – 19/12/2008
    di Lucia Manassi

    Khaled Al Khamissi è un giornalista, produttore e scrittore egiziano. In questo suo primo libro ha raccolto le voci di decine e decine di taxisti della sua città: il Cairo.

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    L’autore nei nostri studi

    E’ una megalopoli di diciotto milioni di abitanti, dove il tasso di inquinamento è uno dei più alti del mondo e gli ingorghi bloccano completamente le strade.

    Khaled Al Khamissi è venuto nei nostri studi di passaggio da Bologna. Ha scelto di raccontare la vita della strada perchè lo considera uno spazio rappresentativo della società. “Nella strada si è più liberi, ha detto lo scrittore, la libertà della strada ci porta realmente a comprendere la società”. L’Egitto sta attraversando una grave crisi economica: “La Banca Mondiale nelle sue statistiche parla del 58% della popolazione che vive al di sotto della linea della povertà, due dollari al giorno. Il governo parla di crescita annuale del PIL pari al 7% ma questo 7% non si sente nella strada, il popolo non ha la capacità di sopravvivere”. Al Khamissi individua nella mancanza di speranza il sentimento più diffuso tra gli egiziani: “Quando il popolo perde la speranza è il peggio del peggio. Molte persone vogliono emigrare perchè hanno perso la speranza e questo è molto pericoloso.” Sull’opposizione al regime di Osni Mubarak Al Khamissi si esprime così: “Il Presidente Mubarak è riuscito a soffocare ogni potere politico in Egitto, anche il suo. Tutti i partiti politici sono debolissimi, oggi. Credo che Mubarak abbia preso l’acqua del Nilo, l’abbia messa nell’anima del popolo egiziano e il popolo egiziano è diventato come una salsa…con troppa acqua, senza gusto, senza colore, senza odore…questo è terribile. Da 3 o 4 anni c’è un movimento generale, nuovo, nelle fabbriche, nelle università, nelle strade…ma senza progetto, senza leaders.

    Khaled Al Khamissi “Taxi, Le strade del Cairo si raccontano” (Editrice il Sirente)

    Per ascoltare tutta l’intervista clicca QUI

  • Khaled al Khamissi e la società egiziana vista dal Taxi

    MINARETI.IT – Giovedì 11 dicembre 2008
    di Elena Dini

    In Italia per 10 giorni, Khaled al Khamissi ha presentato il suo libro “Taxi” in varie città. 58 brevi storie di viaggi in taxi in cui i tassisti si raccontano e raccontano l’Egitto di oggi.

    – Se ti raccontassi cosa mi è successo prima… non mi crederesti mai. Sono più di vent’anni che porto il taxi e ne ho viste di tutti i colori, ma quella di oggi è stata una delle cose più assurde che mi sono capitate.
    – Bene… racconta allora.

    Inizio emblematico per uno dei 58 racconti, o conversazioni, o incontri con i tassisti del Cairo proposti da Khaled al-Khamissi nel suo libro “Taxi”.
    35.000 copie vendute in Egitto (cifra che pochi libri raggiungono) per una raccolta di storie ambientate all’interno delle vetture tanto familiari per chi ha passeggiato anche solo una volta per le vie del Cairo. Questa enorme, e inquinatissima metropoli, conta 18 milioni di abitanti e più di 80.000 taxi. Fra i conducenti di taxi si trovano persone di ogni tipo che cercano di “sbarcare il lunario” con questo mestiere oppure di arrotondare lo stipendio affittando un taxi per qualche turno.
    Nell’immaginario popolare, l’arabo ha il talento naturale di oratore, intrattenitore e chiacchierone. “Taxi” conferma questa visione. I tassisti sono affascinanti menestrelli che, oltre a far trascorrere al lettore un paio d’ore di piacevole lettura, lo immergono nell’atmosfera delle strade del Cairo con le loro barzellette, i loro sogni, le critiche alla politica e le confessioni. Chi meglio di loro, che vivono costantemente a contatto con i loro concittadini, dal ricco al povero, per parlare di una società in trasformazione, affezionata al ricordo di ciò che era ieri e non disposta a tacere le difficoltà di oggi?
    Khaled al-Khamissi non riesce a nascondere (e probabilmente non vuole neanche farlo) quanto condivida il senso di nostalgia che accomuna chi si muove oggi per le vie del Cairo e, più in generale, la popolazione egiziana. “Sì, ho nostalgia dei ristoranti dove mangiavo, del tempo di prima che era migliore, della città che era più vivibile quando sono nato rispetto ad ora”, mi risponde quando gli chiedo se la nostalgia che spesso è sulla bocca dei tassisti nelle sue storie non sia anche un po’ la sua. Il rimpianto per il passato è evidente in vari autori della nuova generazione che in Egitto cercano di colmare le lacune della politica e della società civile. “Non bisogna dimenticare”, continua l’autore, “che la letteratura non può cambiare la realtà ma può cambiare l’uomo”.

  • Alla presentazione di Taxi, musica profumi e parole

    Alla presentazione di Taxi, musica profumi e parole

    | Arabismo | Giovedì, 11 dicembre 2008 | Alessandra Fabbretti |

    La presentazione di Taxi di Khaled Al Khamissi ha risvegliato musica, suoni, immagini ed emozioni tra i muri dell’Associazione Culturale Apollo Undici (via Conte Verde, 51 Roma), organizzata in collaborazione con l’associazione Un Ponte Per.. e la casa editrice Il Sirente lo scorso venerdì 6 dicembre.

    La chitarra di Marco Bonini e il contrabbasso di Riccardo Gola hanno accompagnato al ritmo di tonalità vibranti e piacevoli la lettura di alcuni delle storie più particolari di Taxi, una raccolta di 58 racconti dal sapore sociologico, ispirati al microcosmo dei divertenti e onnipresenti veicoli gialli del Cairo, dal punto di vista tanto degli autisti che dei passeggeri.

    Luci soffuse, profumo d’incenso nell’aria, pause lunghe rese leggere dalla musica e la voce squillante della lettrice hanno trasportato il pubblico nei luoghi del libro, tra i volti dei suoi abitanti e i colori e i rumori delle sovraffollate strade della capitale egiziana.

    Per chi già la conosceva, ha significato la rievocazione di luoghi familiari; per chi non l’ha ancora visitata, questo testo dischiude certamente gli aspetti più veri e significativi di un popolo che vive oggi a cavallo tra il passato e la modernità, tra voglia di vivere e difficoltà quotidiane, tra ottimismo e pessimismo, tante dicotomie causate dai numerosi problemi sociali che gravano su questo e tanti altri paesi del Mondo arabo.

    La povertà, la miseria, il regime politico, l’Islam intollerante, le tradizioni ceche che non lasciano posto alla volontà individuale intrecciano i discorsi e le situazioni di questo testo polifonico, senza tuttavia appesantirne la lettura o ridurne i toni scherzosi, ironici e a volte esilaranti che al Khamissi dona attraverso i suoi personaggi, e ciò conferisce a questa raccolta la capacità di interessare e appassionare il lettore ai temi più attuali dell’Egitto contemporaneo.

    “Per le strade del Cairo si percepisce un sentimento di Fine” scandisce Al-Khamissi “Fine per un’epoca, fine per la speranza, fine per la politica, che da più di vent’anni è occupata dalla presidenza di Moubarak. È questo sentimento severo che ho voluto raccontare nel mio libro. “Anche la nostalgia è un’altra sensazione che è possibile sentire: si prova nostalgia, per esempio, per la vita come era negli anni ’70 e ’60, per il patriottismo, che molti giudicano ormai morto, per la possibilità di esistere senza provare fame e privazioni.

    “Durante un’intervista, il giornalista mi ha chiesto se la storia “Niqab e tacchi a spillo” fosse vera o frutto della mia fantasia.1 “ prosegue l’autore “Purtroppo episodi come questo sono estremamente frequenti. In Egitto esistono moltissimi quartieri popolari, nei quali è difficile per le ragazze non indossare il velo o il niqab. Nella facoltà dove mi sono laureato negli anni ’80, ricordo che le studentesse velate erano solamente due. L’anno scorso, per caso, mi è capitato di doverci andare e ho potuto constatare che solo due ragazze non portavano il velo. Allora ho chiesto loro se potevo intervistarle. Si sono rifiutate, ma mi hanno comunque detto che la diffusione del velo non ha nulla a che fare con la religione, bensì è un fenomeno politico e sociale, che però causa loro molti fastidi. Spesso, mi hanno confidato, gli autisti degli autobus rifiutano di farle salire a bordo proprio perché hanno il capo scoperto”.

    Taxi racchiude in sé i mille volti di una città, che per numero di abitanti rappresenta 1/3 dell’Italia, nella quale coabitano esperienze, vite, convinzioni e caratteri differenti e molteplici in modo quasi inimmaginabile, ecco perché il pubblico italiano ne è rimasto affascinato e il libro ha attraversato da nord a sud il nostro paese, in una 10 giorni di incontri, presentazioni e dibattiti, che ci auguriamo non si arresti né costituisca un caso isolato ed eccezionale.

    È il quarto racconto del libro. Una ragazza, coperta dalla testa a piedi dal niqab, il tradizionale velo nero che lascia scoperti solo gli occhi, una volta nel Taxi inizia a cambiarsi e a truccarsi, suscitando lo stupore dell’autista; questi non riesce a fare finta di nulla e le chiede il perché di tale bizzarro comportamento. La donna spiegherà che, pur essendo costretta a indossare il niqab sia in casa che all’esterno, lavora in segreto come cameriera in un elegante ristorante dove può guadagnare più di qualsiasi altro mestiere che i suoi genitori approverebbero

    Quando e perché ha deciso di scrivere questo libro, che ha la particolarità di avere come oggetto, o contesto, il Taxi?

    Durante la mia vita mi sono sempre interessato alle parole, ai dialoghi del Cairo, alla genialità e alla saggezza che gli egiziani sanno esprimere con grande semplicità. Tale saggezza, analizzata da un punto di vista politico, economico e sociale, ha sempre destato in me profondo stupore: essa deriva da un popolo millenario, che nel corso dei secoli ha saputo sviluppare un rapporto forte con le istituzioni. Io sono solito prendere molto spesso il Taxi. Un giorno, un autista mi raccontò una storia, che è finita poi nel mio libro, a proposito del Primo Ministro egiziano il quale ha la nazionalità canadese. L’ho trovata molto interessante e rappresentativa di ciò che accade normalmente per le strade, e allora mi sono detto che avrei dovuta scriverla. Scrivendola, ho capito che dovevo continuare. E così è nato il mio libro.

    La confusione, il rumore che regna nelle strade e nelle vie del Cairo può rappresentare in qualche modo il popolo egiziano?

    No, non lo credo affatto. Il Cairo ha assistito ad una crescita demografica enorme durante il XX secolo All’inizio del 900 aveva 600,000 abitanti, verso la metà aveva raggiunto i 2,5 milioni, mentre oggi si è arrivati ai circa 18 milioni. Si tratta dunque di una crescita demografica enorme, che ha delle conseguenze certamente pesanti sulla città, come il traffico, l’inquinamento e il rumore, ma tutto ciò non rappresenta la popolazione né la personalità del Cairo.

    Lei è molto critico verso la politica, il governo e le leggi del suo paese. Ritiene che i cambiamenti che hanno luogo in questo momento nel mondo, come l’elezione del presidente Barak Obama negli Stati Uniti, possano riflettersi anche sui regimi e i sistemi dei paesi arabi e sull’Egitto in particolare?

    Posso dire che, avendo ascoltato molte persone al Cairo, come i passanti, gli autisti dei Taxi, o la povera gente, la venuta di Obama non cambierà nulla per l’Egitto. Per gli Stati Uniti certamente, per altri paese forse, ma non per l’Egitto, come per la questione del conflitto arabo-israeliano. Per gli egiziani, quelli che vivono nella miseria soprattutto, repubblicano o democratico significa in fin dei conti solo vedere due volti diversi. Non serve cambiare questo volto, che sia giovane o anziano, bianco o afroamericano. C’è stato un cambiamento, certo, ma non è quel genere di cambiamento che serve per migliorare le cose.

    In un racconto, lei descrive i Fratelli Musulmani con molta ironia. Quanto c’è di vero in ciò che lei scrive in questo monologo, e di cui lei è convinto anche nella realtà?

    Per le strade del Cairo non si crede davvero a una forza politica di qualsiasi tipo: né ai partiti, né ai Fratelli Musulmani, né a nient’altro. C’è la sensazione che in realtà tutte queste persone siano deboli, che i movimenti politici siano deboli, che i partiti e gli avvenimenti siano deboli. Tutto ciò viene definito “balance de faiblasse”, perché tutti sono privi di forza e quindi nessuno può concretamente cambiare le cose. L’ironia nasce da questa condizione, e dal fatto che nessuno crede che ci sarà un cambiamento. Anche i Fratelli Musulmani, senza potere, non sono in grado di fare nulla, esattamente come gli altri, come ad esempio i partiti, siano essi di destra, di sinistra o di centro.

    Il suo libro, Taxi, ha riscosso notevole successo nei paesi Europei. Perché?

    Non mi sento ancora di dire che il mio libro ha avuto un gran successo in Europa, ma lo spero. Se esistono delle persone che si interessano al mio libro, è perché esso rappresenta le strade del Cairo e quindi ciò che succede al giorno d’oggi nella società egiziana. In tutti i casi, la letteratura è un mezzo di comunicazione tra i paesi e tra le culture, come un ponte, e io mi auguro che il mio testo riesca ad attraversare questo ponte, posto tra le due rive del Mediterraneo, tra l’Egitto e l’Italia, con molte altre letterature che siano portate in Egitto o dall’Egitto verso l’estero.

  • Alessandro Scaretti dà voce ai tassisti di Khaled Al Khamissi

    Cari lettori,

    Alessandro Scaretti, attore teatrale definito sublime dallo stesso Khaled Al Khamissi, dà voce ai tassisti di TAXI con abile ironia. Buona visione!

    I – La grazia di Dio

    VII – È tutto un bizness 

    XLI – Filosofia del tassinaro

  • Cairo on the road

    EUMAGAZINE – 09/12/2008
    di Giulia Stampetta

    Una buona dose di humour per trattare argomenti a cui solitamente gli egiziani riservano un’estrema serietà.

    Copie vendute: 70.000 (e che continuano ancora ad uscire dalle librerie), in Egitto vendere già meno della metà è considerato un successo editoriale. E “Taxi” lo è. Pubblicato nel gennaio 2007, è già stato tradotto in inglese e italiano (prossimamente anche in francese, tedesco, olandese, sloveno e greco). In Italia è stata edito da “Il Sirente” e fino al 7 dicembre l’autore Khaled al Khamissi, giornalista laico tollerante ed ispirazione socialista, sarà impegnato in un tour promozionale nel nostro Paese. Noi lo abbiamo incontrato alla facoltà di Studi Orientali della Sapienza; alcuni studenti hanno in mano il suo libro: una raccolta di 58 storie brevi (e a detta sua tragiche) messe insieme fra il 2005 e il 2006 parlando con i tassisti del Cairo di vita quotidiana, frustrazioni, speranze e amarezze di un popolo «oppresso e povero e senza possibilità di sopravvivenza – come lo ha descritto lui durante la presentazione – che in molti casi ha perso la speranza, ma non la voglia di scherzare, di ridere e di vivere». I tassisti, si sa, sono inesauribili fonti di storie e quindi ottimi spunti per affrontare un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana. Ci parla in francese del bisogno di leggere chi scrive della realtà di questi paesi e della loro cultura, evidenziando quella che, secondo lui, è la responsabilità occidentale nell’aver creato incomprensioni, fraintendimenti e stereotipi rispetto al mondo arabo. “C’è un forte bisogno di comprensione e conoscenza reciproca – ha continuato lo scrittore – mentre la stampa europea, in particolare quella francese, inglese e americana, scrive di una realtà creata da e per l’immaginario americano”. In risposta a questa informazione di parte l’opera di Al Khamissi va letta proprio per la sua capacità di raccontare dall’interno e in modo semplice e diretto la reale vita quotidiana del Cairo. Un’analisi fatta dai cairoti, un microfono piazzato nel cuore dinamico di questa grande capitale, che non a caso gira in automobile, in una delle metropoli più inquinate del mondo! Ci sono barzellette che prendono di mira il Presidente, storie di ordinario sfruttamento, di povertà e riflessioni a volte molto sottili sulla politica internazionale. Un agglomerato caotico di voci, che lo scrittore non ha voluto ordinare, ma semplicemente trasporre in maniera discontinua e sparsa. Queste invettive di pancia sono un pretesto per dire delle cose sulle classi povere dell’Egitto, in un linguaggio semplice che ha saputo evitare i difetti degli intellettuali. All’apparenza leggero e godibile, il libro nasconde dietro i discorsi diretti e talvolta pittoreschi dei tassisti, i moltissimi problemi di un paese che cerca la propria strada fra la voglia di adozione di uno stile di vita europeo (ancora oggi esclusivo appannaggio delle classi più ricche della società) e la restrizione delle libertà imposta dal governo, i bassi livelli di cultura e i notevoli problemi economici. Alcuni dicono che Khaled Al Khamissi si è autocensurato. Gli ottantamila tassisti del Cairo sono più volgari di come li descrive: adorano parlare di sesso, droga, soldi e degli imbrogli che fanno. Chi però ha vissuto al Cairo abbastanza sa comunque bene che una conversazione con i tassisti a volte vale molto più della lettura di un libro per capire questo paese.

  • Khaled Al Khamissi racconta Il Cairo. Oggi alla Fiera della piccola e media editoria

    IL MANIFESTO – 07/12/2008
    di Giuliano Battiston

    Giornalista, sceneggiatore e produttore cinematografico con alle spalle studi di Scienze politiche al Cairo e alla Sorbona, Khaled Al Khamissi dal 2007 è anche uno degli scrittori più letti dal pubblico egiziano, di cui ha conquistato l’attenzione con una raccolta di storie in cui le voci dei tassisti cairoti diventano un filtro attraverso il quale riflettere – a volte amaramente, più spesso causticamente – sui problemi della società egiziana, soffocata da un potere asfissiante e brutale e «abituata a non avere voce». Abbiamo rivolto qualche domanda a Khaled Al Khamissi, che oggi a Roma alle 14 presso la Fiera della piccola e media editoria presenta il suo libro, Taxi. Le strade del Cairo si raccontano (Il Sirente, pp.191, euro 15) – insieme al traduttore Ernesto Pagano, a Chiarastella Campanelli e a Igiaba Scego.
    Secondo la celebre definizione di Stendhal, il romanzo è uno specchio portato lungo una strada; lei invece sembra usare i taxi cairoti come uno specchio per riflettere le vicende della società egiziana. Ci spiega le ragioni della sua scelta?
    Non è stata una scelta del tutto consapevole: al processo della scrittura contribuiscono molti elementi, e alcuni di questi non sono di ordine razionale. Comunque, volevo parlare innanzitutto delle strade, poiché tutte le strade sono fortemente rappresentative della società e ne riflettono le pulsazioni più intime, e solo in un secondo momento ho scelto i tassisti, coloro che ascoltano e raccontano le storie delle persone che abitano le strade. Inoltre, anche se per gran parte della mia vita ho studiato scienze politiche e ho letto le analisi di esperti e professori, non ho mai smesso di ascoltare le discussioni di quanti non sono mai entrati nelle aule universitarie. Da queste discussioni ho imparato che la politica, dopo tutto, è una questione molto semplice: possiamo mangiare o no? Possiamo educare i nostri figli o no? Possiamo respirare aria pulita o no? E in caso negativo, perché? Mi sembra che nelle strade ci sia la risposta a questo perché. Gli egiziani, da millenni oppressi da governi che usano il pugno di ferro, temono senz’altro l’oppressione, ma allo stesso tempo hanno sviluppato un forte senso dell’umorismo, che si traduce nella capacità di farsi beffe della stupidità di chi governa. In questo modo sono riusciti a stabilire una distanza tra loro e il potere. E solo la distanza porta alla comprensione.
    Il protagonista del racconto «Quando Mubarak va a passeggio» è un tassista «che all’inizio aveva adorato il Cairo, poi l’aveva amata, poi aveva cominciato a provare nei suoi confronti sentimenti contrastanti. Poi: l’aveva odiata e adesso ne sente ripugnanza». Nel suo caso, quali sentimenti la legano al Cairo?
    Sono nato negli anni Sessanta, e posso assicurarle che da allora ho assistito con i miei occhi a un degrado progressivo e costante, che ha investito ogni aspetto della vita della città. Tuttavia, rimane una città estremamente forte, dotata di risorse inaspettate. Dopo tutto nessuno può nascondere che si tratti di un museo a cielo aperto, che raccoglie testimonianze architettoniche risalenti ad almeno seimila anni fa e che attraversano il periodo copto, islamico, moderno e via dicendo. A fronte di questo straordinario aspetto storico-architettonico rimane una città in cui metà della popolazione vive in condizioni di emergenza, senza i servizi essenziali. E gli abitanti continuano a crescere: nel 1900 erano circa seicentomila, nel 1950 due milioni e mezzo. Oggi siamo diciotto milioni, e arriveremo presto a venti. Si può immaginare dove andremo a finire, con il governo che ci ritroviamo.
    L’«Angelo nero», protagonista dell’ultimo racconto, un tassista venuto da Assuan, sembra trovare la propria, personale, felicità nella cura che riserva al giardino di fronte casa. Vuol forse dire che in Egitto felicità e soddisfazione possono darsi solo nella sfera privata, mentre quella pubblica, soffocata dal potere, non offre opportunità di «realizzazione»?
    È proprio così. Oggi gli egiziani non fanno parte di un progetto collettivo, e l’Egitto è un paese privo di progettualità sociale, economica, culturale. È come se vivessimo ciascuno nella propria isola. Dal momento che i ponti adibiti a collegare le isole tra di loro sono stati abbattuti, l’unica cosa che ci è concessa per sopravvivere più dignitosamente è rendere la nostra isola un po’ migliore. La gente si sforza di trovare una dimensione collettiva, un progetto sociale di cui possa sentirsi parte, ma si accorge presto che non esiste alcun progetto: veri partiti politici e movimenti sociali politicamente efficaci non ci sono. Tuttavia, negli ultimi due anni abbiamo assistito ad alcune manifestazioni dei lavoratori che hanno rappresentato un vero movimento sociale, e questo i deve farci sperare. Credo che continueranno anche in futuro.

  • Egitto: Al Khamissi, eliminare la religione dalla carta d’identità

    ANSAmed – 01/12/2008
    di Luciana Borsatti

    ROMA – Eliminare dalle carte di identità degli egiziani la dicitura ‘musulmano’, ‘ebreo’ o ‘cristiano’, perché “non deve avere alcuna importanza sapere a quale religione si appartenga”. È l’obiettivo della campagna condotta in Egitto da vari intellettuali e di cui si fa portavoce anche Khaled Al Khamissi , autore di “Taxi”, vero caso editoriale nel suo Paese, da poco tradotto in italiano con l’Editrice Il Sirente.
    Una campagna che per ora si sta combattendo solo sulla stampa e negli incontri pubblici e non ancora in Parlamento, precisa Al Khamissi, ma che dimostra come, sostiene, nella società egiziana l’appartenza religiosa contino meno di quanto sembri.
    La dicitura relativa alla fede nelle carte d’identità solleva inoltre, racconta, anche un altro problema: il fatto che il software in uso per i documenti elettronici non permette più l’inserimento di fedi diverse dalla triade dei tre grandi monoteismi, tagliando così fuori in particolare, la piccola minoranza Bahai. Una questione che il governo egiziano “rifiuta di risolvere”, evidenzia. Mentre sull’abolizione del dato sull’appartenza religiosa tout-court – ritenuto particolarmente ‘sensibile’ dalla legislazione sulla privacy nei paesi occidentali – le autorità “rifiutano anche di rispondere”.
    Ma l’elemento religioso come elemento di appartenenza identitaria si collega a quella “islamizzazione del Paese”, ricorda ancora Al Kharmissi, che “ha avuto inizio con Sadat nel 1977 ed è proseguita anche con il successore Mubarak e il suo ministro per l’informazione Safwat El Sharif, in carica per 23 anni”, accompagnandosi con “finanziamenti dall’Arabia Saudita e dagli Usa”. Ma le divisioni tra le religioni, secondo Al Khamissi, non appartengono alla “vera anima del popolo egiziano – sottolinea – in cui prevale lo spirito della tolleranza. Il vero egiziano non ha grande interesse per queste questioni, per lui contano i problemi quotidiani della vita e della morte.
    Visto che – aggiunge – su una popolazione di 75 milioni il 55% vice al di sotto dei livelli di povertà, il 20% è povero e il 20% sta appena a galla. E il restante 5%, infine, è tanto ricco che non gliene importa proprio di niente”.
    Le tensioni religiose dunque “non sono altro che il riflesso di una situazione di crisi economica e sociale che il governo, privo di un progetto per il Paese, non sa risolvere”. Quanto l’appartenenza religiosa sia secondaria nella percezione della gente lo dimostra del resto il fatto, sottolinea ancora lo scrittore citando Lewis Amad, che è solo nei periodi di crisi economica e sociale che i genitori scelgono per i figli nomi di evidente derivazione religiosa. “Quando io andavo a scuola – ridorda lo scrittore 46 enne – non riconoscevo la religione dei miei compagni dal loro nome, ora mia figlia si”.
    Convinzioni, quelle di Al Khamissi, che lo scrittore poggia sulle sue frequentazioni con i tassisti del Cairo, protagonisti delle 58 storie che racconta nel suo libro. Perché i tassisti della  (circa 220 mila abusivi, precisa, contro 80 mila regolari) sono la vera voce dell’Egitto più popolare, quello che fa più fatica e tirare avanti, e che raccolgono dai loro passeggeri le storie più autentiche della vita nel Paese, trasposte nel libro in una forma che si propone di darne la rappresentazione letteraria più veritiera.
    Già pubblicato in inglese e presto anche in spagnolo, greco e francese, “Taxi” in Egitto  “è stato un successo – osserva –
    che non avrei mai immaginato: in 18 mesi ha venduto oltre 100 mila copie, quando i libri in genere non ne vendono più di 3000. Un successo paragonabile solo a quello di ‘Chicago’ di Ala-Al-Aswani – conclude, citando l’autore di ‘Palazzo Yacoubian’ – e che non mi so spiegare”.

  • In taxi per le strade del Cairo. Le brevi storie urbane di Khaled al-Khamissi

    RINASCITA  – 27/11/2008
    di Pino Blasone

    Un precedente di successo nel mondo arabo e all’estero è certo il romanzo Palazzo Yacoubian di ‘Ala al-Aswani, ambientato nel centro storico del Cairo. Anche il volume di racconti Taxi di Khaled al-Khamissi è ambientato nella megalopoli egiziana; uscito in arabo nel 2007, è stato ristampato più volte in un anno. Ecco ora la traduzione eseguita da Ernesto Pagano. Titolo e sottotitolo dell’edizione italiana, Taxi. Le strade del Cairo si raccontano, ci suggeriscono però che qui si tratta non di vicende le quali si intreccino in un vecchio stabile glorioso, bensì di tante brevi storie in perenne e caotico movimento, narrate dalle voci dei tassisti all’autore. Con qualche intuibile aggiunta della sua fantasia, esse ci restituiscono un caleidoscopico mosaico.
    Se la critica sociale e politica era presente sullo sfono della narrazione di Al-Aswani, ruotando intorno a un’estesa crisi di identità individuale e collettiva, nella cronaca simulata da Al-Khamissi essa emerge in primo piano. Il tema principale, messo a fuoco dallo scrittore, acquista una consistenza e un carattere differenti. In particolare, ciò che si cerca di illustrare è come un qualunquismo indotto non solo fra la borghesia, ma anche nei ceti popolari possa scadere in un atteggiamento conservatore, che nello specifico assume i connotati dell’integralismo religioso. È quanto confida un anziano tassista (al Cairo i tassì sonjo i mezzi di spostamento più agevoli e mediamente accessibili), colto in un momento di disincantata sincerità: «Abbiamo già provato tutto. provammo il re e non funzionava, provammo il socialismo con Nasser e nel pieno del socialismo ci stavano i gran pascià dell’esercito e dei servizi segreti. Poi provammo una via di mezzo e alla fine siamo arrivati al capitalismo che però ha i monopoli, il settore pubblico che scoppia, la dittatura e lo stato di emergenza. E ci hanno fatto diventare pure un poco americani e tra poco pure israeliani; e allora perché non proviamo i Fratelli Musulmani? Chi lo sa, va a finire che funzionano…» (nel racconto Pesce, latte e tamarindo).
    Basti sapere che i “Fratelli Musulmani” sono in realtà un partito con ambizioni populiste, sorto in Egitto e diffusosi nel resto del mondo islamico. Non occorre conoscere a fondo la storia egiziana contemporanea, per rendersi conto che – mutatis mutandis – una mentalità del genere non difetta nemmeno tra noi, e che anzi si è andata accentuando nel vuoto politico effettivo creatosi negli ultimi tempi. È quanto ben condensato dall’espressione “La politica è sempre stata una schifezza da quando l’hanno inventata”, che troviamo riportata in un altro racconto, esplicitamente intitolato Elezioni e terrorismo. La lingua adottata da Al-Khamissi è svelta ed efficace, vicina alla colorita parlata del dialetto cairota, resa al meglio possibile dal traduttore.
    Tutto ciò non vuol dire che i motivi prettamente esistenziali vi siano trascurati. Ma anch’essi risentano di un contasto di impoverimento o di  miseria, che le accresciute differenze sociali fanno risaltare in modo acuto, riflettendosi addirittura in quelle ambientali architettoniche o a volte di semplice costume. È il caso di un racconto dal titolo eloquente Devastazione edilizia, o di un altro assai godibile intitolato “Niqab” e tacchi a spillo, che prende di mira il conformismo religioso del velo per le donne, divenuto ormai maggioritario. Non sorprende che il libro abbia potuto destare qualche risentimento nella società egiziana, mitigato tuttavia dal quel garbo e humour che fanno parte – a oltranza – di quell’antica tradizione e cultura.

  • Khaled Al Khamissi in Italia dal 26 novembre al 7 dicembre

    web

    Khaled Al Khamissi, l’autore del caso editoriale egiziano “Taxi”, arriva in Italia per un tour di presentazioni del suo libro dal 27 novembre al 7 dicembre. Sarà a Pesaro, Bologna, S. Giuliano Terme (PI), Ostia Lido (RM), Roma e Napoli sino alla fiera del libro “Più libri più liberi” di Roma.

    Dibattiti, letture, musica, dolcetti arabi e cantastorie che immergeranno i presenti nella vivida atmosfera del Cairo. Khaled al Khamissi passerà dal clima accademico delle Università a quello informale di biblioteche e librerie.

    Un libro dedicato «Alla vita che abita nelle parole della povera gente.»

    Taxi è un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. 58 storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. Uno dei libri più venduti di sempre in Egitto e nel mondo arabo. Khaled Al Khamissi è nato al Cairo, Egitto. Giornalista, regista e produttore, scrive periodicamente articoli e analisi critiche su politica e società in diversi giornali e settimanali egiziani.

    Giovedì 27 novembre 2008, Pesaro  (18h00) – Biblioteca San Giovanni (Via Giambattista Passeri, 102 – 61100 Pesaro). Intervengono l’autore, il traduttore, l’editore, Roberta Denaro (docente di “Letteratura e traduzione araba” presso la facoltà di Lingue delll’Università di Urbino “Carlo Bo”) e Sabrina Pecchia (assessore alla Cooperazione Internazionale del Comune di Pesaro).

    Venerdì 28 novembre 2008, Bologna (20h30) Biblioteca Amilcar Cabral (via di San Mamolo, 24 – 40136 Bologna). Intervengono l’autore, il traduttore, l’editore, Marcella Emiliani (docente di “Relazioni internazionali nel medio oriente” presso l’Università degi Studi di Bologna) e Augusto Valeriani (docente di “Media e la politica internazionale” presso l’Università degi Studi di Bologna).

    Sabato 29 novembre 2008, San Giuliano Terme, Pisa (16h30) Associazione Culturale “La Centrale” (via Giosuè Carducci – 56010 San Giuliano Terme, Pisa). Intervengomo l’autore, il traduttore e l’editore.

    Domenica 30 novembre 2008, Ostia Lido, Roma (19h00) – Centro Socio Abitativo “Vittorio Occupato”, Scuola di Italiano  (lungomare Toscanelli, 186 – Ostia Lido). Intervengono l’autore, l’editore e Pino  Blasone (giornalista di Rinascita).

    Lunedì 1 dicembre 2008, Roma Marconi (17h00) – Università di Roma Tre, Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici, Sala del Consiglio (Via Ostiense, 234/236 – 00146 Roma). Intervengono l’autore, l’editore, Anna Bozzo (docente di Storia e Istituzioni dell’Islàm all’Università Roma Tre), Francesca Maria Corrao (docente di “Lingua e Letteratura Araba all’Università di Napoli “L’Orientale”), Stefano Andretta (Direttore del Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici), Paolo Benvenuti (Direttore del Dipartimento di Diritto Europeo), Giuliano Lancioni (Università Roma Tre), Vincenzo Zeno-Zencovich (Università Roma Tre, Direttore del CLA), Alessandra Gianelli (Università di Teramo) e Deborah Scolart (Università di Roma “Tor Vergata”).

    Martedì 2 dicembre 2008, Roma (10h00) – Villa Mirafiori, Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza” (via Carlo Fea, 2 – 00161 Roma). Intervengono l’autore, l’editore e Giuseppe Cecere (docente di Lingua araba all’Università di Roma “La Sapienza”).

    Martedì 2 dicembre 2008, Napoli (18h00) – Libreria Edicolè (Piazza Municipio, 5 – 80133 Napoli). Intervengono l’autore e l’editore.

    Mercoledì 3 dicembre 2008, Napoli (12h00) – Università di Napoli “L’Orientale”, Palazzo Mediterraneo, Aula 3.4  (Via Nuova Marina, 59 – 80133 Napoli). Intervengono l’autore, l’editore, Francesca Maria Corrao (docente di “Lingua e Letteratura Araba all’Università di Napoli “L’Orientale”) e Giovanni Canova (docente di Storia contemporanea dei paesi arabi all’Università di Napoli “L’Orientale”).

    Mercoledì 3 dicembre 2008, Caserta (16h00) – Seconda Università degli Studi di Napoli, Polo didattico-scientifico, nuovo aulario, aula D1 (via Vivaldi, 43 – 81100 Caserta). Intervengono l’autore, l’editore, Gian Maria Piccinelli (docente di Lingua Diritto musulmano e dei paesi islamici all’Università di Napoli “L’Orientale”) e Paola Viviani (docente di Lingua e letteratura araba all’Università di Napoli “L’Orientale”).

    Giovedì 4 dicembre 2008, Roma (10h00) – Università di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Studi Orientali, Aula 5 (via Principe Amedeo, 182/b – 00185 Roma). Intervengono l’autore, l’editore e Isabella Camera d’Afflitto (docente di Lingua e letteratura araba all’Università di Roma “La Sapienza”).

    Venerdì 5 dicembre 2008, Roma Piazza Vittorio (20h30) – Associazione Culturale Apollo Undici (via Conte Verde, 51 – 00185 Roma). Intervengono l’autore, l’editore e Gaia Parrini (Un ponte per…). Al contrabasso Riccardo Gola e alla chitarra Marco Bonini.

    Sabato 6 dicembre 2008, Roma Ostiense (18h00) – Libreria Le Storie (via Giulio Rocco, 37/39 – 00154 Roma). Intervengono l’autore e l’editore.

    Domenica 7 dicembre 2008, Roma EUR (14h00) – Fiera della piccola e media editoria “Più libri più liberi”, Palazzo dei Congressi, Sala Ametista (Viale della Civiltà del Lavoro – 00134 Roma). Intervengono l’autore, l’editore, Igiaba Scego (giornalista e scrittrice). Letture di Alessandro Scaretti (attore).

    Domenica 7 dicembre 2008, Roma Trastevere (18h30) – Libreria Griot Emporio Culturale (Via di S. Cecilia, 1/A – 00153 Roma). Intervengono l’autore, l’editore e Ingy Mubiayi (scrittrice). Letture di Alessandro Scaretti (attore).

    Per saperne di più sulla traduzione italiana “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano” di Khaled Al Khamissi e conoscere le date delle presentazioni: www.sirente.it

    https://www.sirente.it/9788887847147/taxi-khaled-al-khamissi.html scheda libro
    http://it.wordpress.com/tag/rassegna-stampa-khaled-al-khamissi rassegna stampa
    http://books.google.it/books?id=6SknKr38CoMC anteprima libro

    Press:
    Chiarastella Campanelli
    chiaraetoile@hotmail.com 
    mob. +39 339 3806185

  • Tatti Sanguineti presenta “Pensieri dal carcere” di Pierre Clémenti al DOC FEST, Roma

    Martedì 18 novembre 2008, alle ore 20.30, sarà presentata a Roma una serata speciale dedicata al mitico Pierre Clémenti presso la Sala Trevi nell’ambito della rassegna di documentari Passaggio a Sud Est. Verranno presentati la traduzione italiana del libro “Pensieri dal carcere” e i film sperimentali Visa de censure n. X e New old.

    «Il suo libro è una testimonianza contro il codice penale italiano risalente al fascismo, contro il regime carcerario e la società repressiva, perché nelle celle ci sia più luce e umanità.»

    Roma è la seconda tappa del tour italiano di presentazione dell’opera di Pierre Clémenti che si concluderà nel 2009, decennale dalla sua morte. Alla Sala Trevi, oltre all’editore saranno presenti il traduttore e Tatti Sanguineti.

    DOVE:
    Sala Trevi
    Vicolo del Puttarello, 25
    00187 Roma

    PROGRAMMA:
    inizio ore 20,30 – ingresso gratuito
    Presentazione di “Pensieri dal Carcere” di Pierre Clémenti
    Saranno presenti Simone Benvenuti (traduttore)
    Interviene Tatti Sanguineti

    a seguire:
    Prima italiana di due film appena restaurati interpretati e diretti dal grande attore francese
    Visa de censure n. X
    Francia, 1967-1975, 43’, Solo Musica
    New old
    Francia, 1979, 63’, Solo Musica

    IL LIBRO. « Il mattino del 24 luglio 1971 suonano all’appartamento romano di un’amica di Pierre Clémenti dove l’attore risiede. Suo figlio Balthazar, di cinque anni, apre la porta. È la polizia in borghese che viene a fare una perquisizione, ben sapendo quel che sta cercando: pochi grammi di cocaina e qualche briciola di haschisch. (Suo figlio dirà poi che era stata la polizia stessa a nascondere la cocaina sotto al letto dicendogli: «Non è nulla, riaddormentati»). Tutto porta a credere che il potere voglia creare un esempio clamoroso. L’arresto di Pierre Clémenti, star del cinema e al contempo icona della controcultura, fa grande scalpore. L’attore viene rinchiuso nella prigione di Regina Coeli sulla base di semplici sospetti, mentre nega di essere stato a conoscenza della presenza della droga nell’appartamento. Aspetterà otto mesi prima di essere giudicato. Condannato a due anni di reclusione, ottiene l’archiviazione in appello dopo diciotto mesi di detenzione. Pierre Clémenti ne uscirà segnato a vita. Il suo libro è una testimonianza contro il codice penale italiano risalente al fascismo, contro il regime carcerario e la società repressiva, perché nelle celle ci sia più luce e umanità. » [Balthazar Clémenti]

    «La giustizia è lenta ed estenuante, e l’innocenza, se anche provata, soltanto ferita uscirà di prigione.» [Pierre Clémenti]

    Pubblicato per la prima volta nel 1973 e apparso nuovamente nel 2005 presso le edizioni Gallimard, il libro di Pierre Clémenti ripercorre attraverso riflessioni e flash narrativi l’esperienza carceraria dell’attore e regista: l’arresto, l’arrivo nel carcere di Rebibbia e poi in quello di Regina Coeli, l’incontro con l’umanità repressa e dimenticata, la cruda realtà delle rivolte e delle rappresaglie, l’annullamento spirituale ancor prima che fisico, l’ipocrisia del ceto dirigente italiano, il processo fino all’assoluzione definitiva che suonerà paradossalmente come una condanna.

    Per saperne di più sulla traduzione italiana “Pensieri dal carcere” di Pierre Clémenti e conoscere le date delle presentazioni: www.sirente.it

    Press:
    Chiarastella Campanelli
    chiaraetoile@hotmail.com 
    mob. +39 339 3806185

  • Khaled Al Khamissi e i tassisti cairoti occupano l’Università di Roma Tre

    Lunedì 1 dicembre 2008, alle ore 17.00, l’autore del caso editoriale egiziano “Taxi” sarà a Roma presso la Sala del Consiglio, Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici dell’Università di Roma Tre per presentare il suo libro.

    Un libro dedicato «Alla vita che abita nelle parole della povera gente.»

    Roma è la quarta tappa del tour italiano di Khaled Al Khamissi che si concluderà il 7 dicembre con la Fiera del libro “Più libri più liberi” di Roma. Alla Sala del Consiglio, Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici dell’Università di Roma Tre (Via Ostiense, 234/236 – 00146 Roma) oltre all’autore saranno presenti il traduttore, l’editore, Anna Bozzo (docente di Storia e Istituzioni dell’Islàm all’Università Roma Tre), Francesca Maria Corrao (docente di “Lingua e Letteratura Araba all’Università di Napoli «L’Orientale»), Stefano Andretta (Direttore del Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici), Paolo Benvenuti (Direttore del Dipartimento di Diritto Europeo), Giuliano Lancioni (Università Roma Tre), Vincenzo Zeno-Zencovich (Università Roma Tre, Direttore del CLA), Alessandra Gianelli (Università di Teramo) e Deborah Scolart (Università di Roma “Tor Vergata”).

    DOVE:
    Sala del Consiglio, Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici
    Via Ostiense, 234/236
    00146 Roma

    (Metro B, fermata Marconi)

    PROGRAMMA:
    inizio ore 17,00 – ingresso gratuito
    Saranno presenti Khaled Al Khamissi (autore)
    Intervengono Anna Bozzo, Francesca Maria Corrao, Stefano Andretta, Paolo Benvenuti,
    Giuliano Lancioni, Vincenzo Zeno-Zencovich, Alessandra Gianelli e Deborah Scolart

    IL LIBRO. “Taxi” è un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti egiziani, a cui da voce il promettente Khaled Al Khamissi, sono degli amabili cantastorie che con disinvoltura conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni. «Taxi è un articolata e divertente critica alla società e alla politica egiziana» dice Mark Linz, direttore dell’Università Americana al Cairo, «è unico nel suo genere perché usa una buona dose di humor per trattare argomenti a cui solitamente gli egiziani riservano un’estrema serietà.»
    Primo libro di Khaled Al Khamissi “Taxi” in Egitto è diventato un best-seller, ristampato 9 volte nell’arco di un anno, oltre 65.000 copie vendute in Egitto, paese in cui 3.000 copie sono considerate un successo. 58 storie brevi che l’autore ha collezionato conversando con i tassisti della megalopoli egiziana tra il 2005 e il 2006. Il diluvio di parole che emettono gli autisti è spontaneo e disordinato e sommerge il lettore regalandogli varie prospettive da cui guardare l’Egitto. L’essere umano è alla base di questo libro, ‘l’uomo della strada’ con parole semplici e chiare esprime i suoi timori, dubbi, pareri e critiche sul piano politico, economico e sociale, dell’Egitto, ma anche del mondo arabo.

    DIPARTIMENTO DI STUDI STORICI GEOGRAFICI ANTROPOLOGICI. Il Dipartimento è nato, a seguito della creazione della Terza Università di Roma, con D. R. del 29 marzo 1993, per iniziativa di un gruppo di docenti provenienti dal Dipartimento di “Studi storici dal Medioevo all’età contemporanea” dell’Università “La Sapienza”. Questa denominazione è stata inizialmente mantenuta, in quanto l’arco cronologico e il carattere diacronico sono rimasti come una precisa scelta metodologica del nuovo Dipartimento nell’organizzare la ricerca scientifica sui fenomeni di lunga durata e sui mutamenti sotterranei del corpo sociale che preludono alle grandi trasformazioni rivoluzionarie dell’età moderna e contemporanea.

    Per saperne di più sulla traduzione italiana “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano” di Khaled Al Khamissi e conoscere le date delle presentazioni: www.sirente.it

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    Chiarastella Campanelli
    chiaraetoile@hotmail.com 
    mob. +39 339 3806185

  • Khaled Al Khamissi e i tassisti cairoti invadono Pesaro

    2008-11-27-pesaro-web

    Giovedì 27 novembre 2008, alle ore 18.00, l’autore del caso editoriale egiziano “Taxi” sarà a Pesaro presso la Biblioteca San Giovanni per presentare il suo libro.

    Un libro dedicato «Alla vita che abita nelle parole della povera gente.»

    Pesaro è la prima tappa del tour italiano di Khaled Al Khamissi che si concluderà il 7 dicembre con la Fiera del libro “Più libri più liberi” di Roma. Alla Biblioteca San Giovanni (Via Giambattista Passeri, 102 – 61100 Pesaro) oltre all’autore saranno presenti il traduttore, l’editore, Roberta Denaro (docente di “Letteratura e traduzione araba” presso la facoltà di Lingue delll’Università di Urbino “Carlo Bo”) e Sabrina Pecchia (assessore alla Cooperazione Internazionale del Comune di Pesaro).

    DOVE:
    Biblioteca San Giovanni
    Via Giambattista Passeri, 102
    61100 Pesaro
    T +39 0721 387770
    F +39 0721 387771
    www.biblioteca.comune.pesaro.pu.it
    biblioteca@comune.pesaro.ps.it

    PROGRAMMA:
    inizio ore 18,00 – ingresso gratuito
    Saranno presenti Khaled Al Khamissi (autore) ed Ernesto Pagano (traduttore)
    Intervengono Roberta Denaro e Sabrina Pecchia

    IL LIBRO. “Taxi” è un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti egiziani, a cui da voce il promettente Khaled Al Khamissi, sono degli amabili cantastorie che con disinvoltura conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni. «Taxi è un articolata e divertente critica alla società e alla politica egiziana» dice Mark Linz, direttore dell’Università Americana al Cairo, «è unico nel suo genere perché usa una buona dose di humor per trattare argomenti a cui solitamente gli egiziani riservano un’estrema serietà.»
    Primo libro di Khaled Al Khamissi “Taxi” in Egitto è diventato un best-seller, ristampato 9 volte nell’arco di un anno, oltre 65.000 copie vendute in Egitto, paese in cui 3.000 copie sono considerate un successo. 58 storie brevi che l’autore ha collezionato conversando con i tassisti della megalopoli egiziana tra il 2005 e il 2006. Il diluvio di parole che emettono gli autisti è spontaneo e disordinato e sommerge il lettore regalandogli varie prospettive da cui guardare l’Egitto. L’essere umano è alla base di questo libro, ‘l’uomo della strada’ con parole semplici e chiare esprime i suoi timori, dubbi, pareri e critiche sul piano politico, economico e sociale, dell’Egitto, ma anche del mondo arabo.

    BIBLIOTECA SAN GIOVANNI. La Biblioteca San Giovanni del Comune di Pesaro si occupa di lettura, informazione, studio, tempo libero, attualità e contemporaneità. La Biblioteca ha un patrimonio di 44.409 volumi e 152 periodici.

    Per saperne di più sulla traduzione italiana “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano” di Khaled Al Khamissi e conoscere le date delle presentazioni: www.sirente.it

    Press:
    Chiarastella Campanelli
    chiaraetoile@hotmail.com 
    mob. +39 339 3806185

  • Khaled Al Khamissi e i tassisti cairoti invadono Bologna

    Venerdì 28 novembre 2008, alle ore 20.30, l’autore del caso editoriale egiziano “Taxi” sarà a Bologna presso la Biblioteca del Centro Studi Amilcar Cabral per presentare il suo libro.

    Un libro dedicato «Alla vita che abita nelle parole della povera gente.»

    Bologna è la seconda tappa del tour italiano di Khaled Al Khamissi che si concluderà il 7 dicembre con la Fiera del libro “Più libri più liberi” di Roma. Alla Biblioteca Amilcar Cabral (via di San Mamolo, 24 – 40136 Bologna) oltre all’autore saranno presenti il traduttore, l’editore, Marcella Emiliani (docente di “Relazioni internazionali nel medio oriente” presso l’Università degi Studi di Bologna) e Augusto Valeriani (docente di “Media e la politica internazionale” presso l’Università degi Studi di Bologna).

    DOVE:
    Biblioteca Amilcar Cabral
    Via San Mamolo, 24
    40136 Bologna

    T +39 051 581464
    www.centrocabral.com
    bibliotecacabral@comune.bologna.it

    PROGRAMMA:
    inizio ore 20,30 – ingresso gratuito
    Saranno presenti Khaled Al Khamissi (autore) ed Ernesto Pagano (traduttore)
    Intervengono Marcella Emiliani e Augusto Valeriani

    IL LIBRO. “Taxi” è un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti egiziani, a cui da voce il promettente Khaled Al Khamissi, sono degli amabili cantastorie che con disinvoltura conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni. «Taxi è un articolata e divertente critica alla società e alla politica egiziana» dice Mark Linz, direttore dell’Università Americana al Cairo, «è unico nel suo genere perché usa una buona dose di humor per trattare argomenti a cui solitamente gli egiziani riservano un’estrema serietà.»
    Primo libro di Khaled Al Khamissi “Taxi” in Egitto è diventato un best-seller, ristampato 9 volte nell’arco di un anno, oltre 65.000 copie vendute in Egitto, paese in cui 3.000 copie sono considerate un successo. 58 storie brevi che l’autore ha collezionato conversando con i tassisti della megalopoli egiziana tra il 2005 e il 2006. Il diluvio di parole che emettono gli autisti è spontaneo e disordinato e sommerge il lettore regalandogli varie prospettive da cui guardare l’Egitto. L’essere umano è alla base di questo libro, ‘l’uomo della strada’ con parole semplici e chiare esprime i suoi timori, dubbi, pareri e critiche sul piano politico, economico e sociale, dell’Egitto, ma anche del mondo arabo.

    BIBLIOTECA AMILCAR CABRAL. Il Centro Amilcar Cabral del Comune di Bologna si occupa di storia, politica, economia, religione, cultura dei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. La Biblioteca ha un patrimonio di 25.000 volumi e 400 periodici ed è aperta al pubblico tutti i giorni nei seguenti orari:  lunedì 13,30 – 19; martedì, mercoledì, giovedì 8,30 – 19; venerdì e sabato 8,30 – 13,30.

    Per saperne di più sulla traduzione italiana “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano” di Khaled Al Khamissi e conoscere le date delle presentazioni: www.sirente.it

    Press:
    Chiarastella Campanelli
    chiaraetoile@hotmail.com 
    mob. +39 339 3806185

  • Uno scrittore prende il Taxi

    GRUPPO ITALIANI EGITTO – Anno I numero 2
    di Neliana Tersigni

    Il primo vero incontro di ogni espatriato con il Cairo è con i suoi tassisti. E, prima che apparissero i moderni e introvabili taxi gialli, è l’incontro con i vecchi malconci taxi neri che, come enormi formiche, vagano senza sosta, riuscendo a zigzagare fra le macchine di un traffico paralizzante. E ancora: il primo consiglio che ti danno tutti quando arrivi è di prepararti i fatidici cinque pound, in modo che il tassista, furbo per antonomasia, non ti chieda di più, vedendoti come straniero non smagato e quindi preda appetibile. In realtà, se anche noi che viviamo qui avessimo la padronanza della lingua di un nativo, avremmo una visione diversa dei tassisti, della loro vita, della loro lotta quotidiana per la sopravvivenza. Allora questo spaccato ce lo da un uomo, un cairota quarantenne che qui prende da sempre i taxi e che da sempre chiacchera con i tassisti. Khaled el Khamissi, giornalista e regista, è nato e cresciuto al Cairo, dove ha sempre vissuto, con l’intervallo degli studi alla Sorbona di Parigi. Khamissi ha deciso di raccontare le centomila storie collezionate nei tragitti, brevi o interminabili, sui taxi del Cairo. Ne è nato un libro, “Conversazioni di viaggio” che solo in Egitto ha venduto in poco tempo 35mila copie, che è stato tradotto in molte lingue e ora pubblicato anche in Italia con il titolo “Taxi”. Un libro fatto di piccole storie umane, filosofiche, di soprusi, di tenerezze, di barzellette, e anche di critica aspra senza veli e senza censure. C’è il vecchio tassista malato che va a lavorare perché non può chiedere soldi a figli pure poveri. Ma, nel suo fatalismo antico, si affida a Dio e Dio lo ricompensa. C’è il giovane che non conosce le strade del Cairo perché – afferma ingenuamente – finora ha fatto il contrabbandiere fra Egitto e Libia, un mestiere – fa capire – certo più redditizio di quanto renda il taxi di suo padre che è morto. C’è uno che ricorda con orgoglio nazionale l’ex presidente Sadat e un altro che imputa a Sadat tutti i mali presenti. “La strada – afferma Khaled el Khamissi – è il luogo migliore per studiare una società, per capirla. Per le strade del Cairo si trovano i diseredati, i vagabondi, i bambini senza famiglia e i tassisti. Così, in un paese dove l’80 per cento della gente è povera, io ho deciso di dare voce a chi in genere non ce l’ha, a chi ha il pproblema della sopravvivenza quotidiana.”
    Ma non lasciatevi ingannare: questo non è un libro di lamentazioni o di risentimenti. È sì un libro che può commuovere, ma pu’ anche far sorridere. E a volte addirittura ridere.

  • Il volume è già un best seller, come ci spiega la nostra corrispondente Neliana Tersigni…

    Uno scrittore egiziano, dopo aver viaggiato per un anno e mezzo sui taxi del Cairo, ha scritto un libro che raccoglie il malessere sociale. Il volume è già un best seller, come ci spiega la nostra corrispondente Neliana Tersigni…

  • Norman Nawrocki presenta “Cazzarola!”

    Presto Norman sarà in Italia a presentare il suo nuovo spettacolo: “Cazzarola! Anarchy & Mussolini, the Roma & Italy, today”. Ecco un’anteprima minacciosa…

  • La riforma della scuola in Egitto (Italia?)

    Estratto da 
    “TAXI. LE STRADE DEL CAIRO SI RACCONTANO”
    di KHALED AL KHAMISSI

    Il tema dell’istruzione e delle lezioni private fa da vertice alla piramide delle preoccupazioni del cittadino egiziano. Nessun altro problema – eccetto la maniera di sbarcare il lunario – ne condivide la vetta.
    Le due questioni rappresentano il fulcro dei pensieri della stragrande maggioranza delle persone, perché quella egiziana è la società della famiglia per eccellenza e i bambini riempiono la famiglia con schiamazzi, amore, speranza, preoccupazione e, senza dubbio, col problema dell’istruzione e delle lezioni private.
    A completare il quadro astrale, c’è il fatto che ogni egiziano corre dietro al guadagno per poi andarlo a riporre nelle mani dei professori privati; e di lezioni private ce ne sono quante le marche dei vestiti. Lezioni di ogni genere, con una gamma di prezzi adattabili a ogni livello e classe sociale.
    Pertanto, una lezione di matematica può costare 10 lire, così come può costarne cento; e se non puoi permetterti di spenderne neanche dieci, ci sono le classi di rafforzamento, le lezioni collettive, i centri doposcuola… insomma, in fin dei conti è un business come un altro.
    Ti basterà toccare il tasto dell’istruzione con qualsiasi tassista padre di figli in età scolare per vederlo decollare come un missile inarrestabile, neanche provassero a fermarlo gli ingegneri della NASA in persona.
    Quel giorno di settembre del 2005 avevo appena pagato le rette scolastiche dei miei tre figli (le mani mi scottavano ancora per quel salasso) e, al solo sedermi nel taxi, premetti on sul tasto istruzione… ed ecco che il tassista partiva:

    TASSISTA  I miei figli mi faranno venire un infarto… l’unico maschio fa la sesta elementare e quanto è vero Iddio manco sa scrivere il suo nome. A fine anno lo aiuteranno a copiare e così passerà all’anno dopo, perché altrimenti la scuola va a finire nei casini e quelli del ministero gli faranno il terzo grado.
    Poi c’ho due femmine che vanno alle superiori. Una fa la terza e un’altra la seconda.
    Ringraziando Dio le femmine sono sveglie… ma mi stanno lasciando in mutande con le lezioni private. Pago per ognuna 120 lire al mese… te lo immagini? Ognuna prende ripetizioni di tre materie e ogni lezione viene 40 lire al mese. All’inferno con raccomandata espresso devono andare! E quando cresce quell’altro genio di mio figlio Albertino, con le cervella da melone che si ritrova, di ripetizioni cento gliene dovrò pagare.
    Lo sai come funziona a casa nostra? Evelina, la più grande, dà le lezioni private ad Albertino e si prende da me i soldi per pagarsi le lezioni sue… e, secondo te, non le devo insegnare a guadagnarsi la pagnotta coi suoi sforzi?
    (ridendo) Ma, ovviamente, a insegnargli non ci riesce per niente e da me si prende i soldi, e basta.

    IO  E in tutto questo la scuola dove sta?

    TASSISTA  La scuola? Vi dico che manco il nome suo sa scrivere e mi venite a dire la scuola? Eccola qua l’istruzione gratuita signore mio: non paghi? Non hai niente… il bello è che pure il niente lo paghiamo. Alle elementari spendiamo 40 lire per i libri e alle medie e superiori ottanta. Se non paghi, niente libri. Questo è il sistema.
    Professò, l’istruzione per tutti era uno di quei bei sogni andati, che hanno lasciato solo la forma e l’apparenza. Sulla carta l’istruzione è come l’acqua e l’aria: un diritto per tutti quanti. Ma la verità è che i ricchi imparano, lavorano e guadagnano, mentre i poveri non imparano, non lavorano e non guadagnano niente: buttati per strada come mondezza… te li farò vedere: niente lavoro né bottega.
    Naturalmente con l’eccezione dei geni e, sicuramente, il mio Albertino non rientra nella categoria.
    Però che ci volete fare, io ci provo lo stesso. Pago le lezioni private pure se sono un disperato. Che posso fare di più?
    E poi non si sa mai, va a finire che Nostro Signore fa il miracolo e Albertino mi diventa un altro Zawil… che ne puoi sapere?

  • “Taxi”

    TICINO NEWS – 08/10/2008
    di SKA

    Per anni ho percorso tutte le strade e i vicoli del Cairo dall’interno di un taxi. Ho una passione per le conversazioni con i tassisti” questo libro riporta le migliori

    “Taxi” edito Il Sirente sono una serie di racconti scritti dall’egiziano Khaled Al Khamissi. Nel suo paese d’origine è diventato un best seller  questa raccolta 58 storie brevi che l’autore ha collezionato conversando con i tassisti della megalopoli egiziana tra il 2005 e il 2006.
    Percorrendo a rilento le vie di una metropoli di quasi 8milioni di abitanti, le idee dei tassisti dipingono un colorato quadro a pennellate rapide. Nelle loro analisi si ritrovano buonsenso e trasparenza talvolta superiori a quelle di tanti “commentatori politici che riempiono di chiacchiere il mondo. Perché la cultura di questo popolo si rivela nelle sue anime più semplici”.

    “Dopo la lettura di Taxi il visitatore avrà imparato molte cose sulla vita quotidiano degli egiziani, sulle loro frustrazioni, sulle loro piccole grandi miserie, sul disprezzo quasi generale delle istituzioni e, soprattutto, sulla loro mancanza di prospettive”. Patrice Claude, Internazionale

    “Un giornalista, qualche decina di tassisti e una valanga di proteste contro il governo e i politici. Non è la riedizione della rivolta italiana delle auto bianche, ma il soggetto di un libro campione di vendite in Egitto: Taxi, di Khaled Al Khamissi”. Paolo Casicci, Il Venerdì di Repubblica

    “Il libro parla della resistenza dello spirito umano, è una potente cronaca della colossale lotta per la sopravvivenza”. Baheyya, anonimo ma influente blogger egiziano

    “Lo leggerai in un giorno e poi tornerai a comprare copie per tutti i tuoi amici”. Baheyya: Art Commentary Media

    Khaled Al Khamissi è un giornalista, regista e produttore oltre che scrittore. Figlio d’arte, Al Khamissi è un artista poliedrico, si è laureato in Scienze politiche alla Sorbona di Parigi. Ha lavorato per l’Istituto Egiziano per gli studi sociali. Ha scritto sceneggiature per vari film egiziani quali “Karnak”, “Iside a Philae”, “Giza” e altri. Scrive periodicamente articoli e analisi critiche su politica e società in diversi giornali e settimanali egiziani.

  • L’Anarchico e il Diavolo fanno cabaret

    L’OPINIONE n. 212 – 07-10-2008
    di Maria Antonietta Fontana

    Quando ero bambina passavo ore a giocare con le matrioske che si trovavano ovunque ad Ostia, dove abitavo, per la presenza dei centinaia di emigranti dei Paesi dell’universo sovietico in attesa di raggiungere USA, Francia, Israele e Australia… Ebbene, leggere “L’anarchico e il diavolo fanno cabaret”, opera pubblicata in versione italiana qualche mese fa a cura del Sirente mi ha riportato indietro di tanti anni, e ricreato la stessa impressione. Il primo impatto con il libro è particolarissimo, anche perché l’immagine appare in quarta di copertina, mentre la prima riproduce l’inizio del testo. La scelta editoriale mi è stata spiegata direttamente dall’editore. Il libro appartiene alla collana il “Sirente Fuori”. Secondo l’editore stesso, che cito testualmente, si tratta di una collana potenzialmente aperta che attraversa zone d’ombra, nascoste o marginali, zone di frontiera. Zone in senso geografico, in primis, attraverso la scoperta di opere e autori di riconosciuto valore, ma scarsamente o per nulla noti in Italia. Ogni opera di questa collana – e la scelta di pubblicarla – è da parte sua caratterizzata da un discorso particolare a livello di linguaggio e di contenuti: l’interesse ricade in particolare su lavori situati su un piano di rappresentazione surreale o fantastica e che si confrontano con il tema della marginalità, o, meglio, delle marginalità. La collana ha per questo una sua identità grafica, ispirata alla teoria borgesiana del libro circolare, con la prima pagina del libro in prima di copertina e l’immagine – foto, disegno o elaborazione grafica – in quarta. Duplice l’obbiettivo di questa scelta: ricordare al lettore che afferri per la prima volta il volume rigirandolo tra le mani la non univocità del reale e consegnare subito in faccia (e in mano) al lettore quella che speriamo essere la sua prossima avventura.

    Ma torniamo al nostro libro di oggi. La narrazione di Norman Nawrocki, geniale autore e autentico uomo di spettacolo canadese-ucraino-polacco, come lui stesso ama definirsi (ma forse sarebbe proprio il caso di definirlo invece cittadino del mondo nel senso più ampio), è una matrioska letteraria. Il romanzo si porta avanti su tanti piani diversi, e tanti livelli diversi di emotività e approfondimento: da un lato, la narrazione di un tour di “Rythm Activism”, gruppo musicale anarchico con cui Nawrocki ha collaborato per vari anni. Dall’altro, la rievocazione di pagine buie di storia d’Europa, dalla presa del potere da parte dei nazisti alla resistenza polacca. E, in più, qua e là, dei gioielli nei gioielli: ritratti di personaggi vividissimi, tragici anche quando si parla di clown…ritratti ambientati in mille città europee, di persone comuni, che poi, gratta gratta, di comune hanno ben poco; scenette di vita familiare o cittadina, leggende. Miti trasferiti da un’epopea senza tempo ad un presente che è anch’esso favola e sogno, ma più spesso incubo tormentoso cui non si sfugge. È una ridda di situazioni, ma soprattutto di odori e fetori, malanni, sporcizia e disordine esteriore che corrispondono però ad una sfrenata ed appassionata ricerca del proprio sé, di una coerenza rivendicata nel nome della libertà di espressione e di coscienza che deve essere patrimonio di tutti i popoli e di tutte le epoche, e che a maggior ragione è patrimonio supremo degli artisti.

    Il libro è così ritmicamente incalzante, così composito, così vivo, e soprattutto, così permeato di musica (la più varia, fuori di ogni etichettatura e di ogni appartenenza geografica o di genere) da risultare praticamente impossibile da descrivere, se non banalizzandolo enormemente: cosa che, per questo, eviterò accuratamente di fare. Ne consiglio però vivamente la lettura, purché si affronti il testo con spirito libero e privo di pregiudizi. Ho avuto la fortuna di incontrare Norman – che adesso effettua i suoi tour da solo – più di una volta; così come più di una volta ho assistito ai suoi spettacoli, che si segnalano per una trasgressione intelligente e colta. Mai come nel suo caso, la scrittura, la parola, la musica sono un tutt’uno. Leggere il libro dopo avere assistito agli spettacoli è rituffarsi in un vortice di simpatia e di provocazione sottile. La coscienza politica viene sollecitata, la coscienza civica anche…e alla fine di una serata indimenticabile così come alla fine della lettura del libro, scopriamo che in testa si fanno largo nuovi pensieri che non sapevamo neanche di possedere… Lo rivedremo presto in Italia, spero. Nell’ultimo tour in Canada ha portato in giro uno spettacolo in cui gioca da solo più ruoli: un anarchico che nel 1926 cercò di assassinare Mussolini, Gino Lucetti; un senatore di destra del Nord Italia; ed un ragazzo italiano innamorato di una ragazza zingara. Questi personaggi si ritrovano tutti nella sua ultima fatica letteraria, cui sta lavorando da tempo, dal titolo “Cazzarola!”. Il libro è un romanzo storico, contemporaneo, romantico e politico al tempo stesso, che si incentra sulla vita e le vicissitudini di una famiglia italiana dal 1880 al 2008. Norman ne sta ultimando la prima stesura proprio in questi giorni. Per chi desideri farsene un’idea, rimandiamo ai siti http://citoyen.onf.ca/blogs/category/les-actualites/ oppure http://www.dailymotion.com/relevance/search/cazzarola.
    Chi sia interessato invece al libro “L’anarchico e il diavolo fanno cabaret”, può ordinarlo attraverso il sito dell’editore www.sirente.it/ al prezzo di 12,50 euro.

  • Tra i tassisti del Cairo

    TERRASANTA.NET – 06/10/2008
    di Carlo Giorgi

    S’intitola semplicemente Taxi il primo effervescente libro di Khaled Al Khamissi, giornalista, regista e scrittore di novelle egiziano. L’opera è diventata un successo editoriale al Cairo, con 35 mila copie vendute e sette ristampe consecutive nell’arco di un solo anno. Il testo è ora pubblicato anche in Italia per i tipi della piccola casa editrice Il Sirente.
    Il libro di Khaled Al Kamissi non poteva che essere partorito da un cittadino del Cairo, dove ogni giorno circolano – cercando di districarsi nel caotico traffico della megalopoli araba e di accaparrarsi il maggior numero di passeggeri – fino a 80 mila taxi. L’autore assicura di avere fatto, negli anni, centinaia di corse in taxi per le strade della capitale, di essere montato su vetture di ogni tipo, guidate da autisti di ogni categoria sociale, livello di istruzione, convinzioni politiche. E raccoglie nelle pagine del volume, uno spettro di incontri e testimonianze tanto variegato da raccontarci, in un modo nuovo, la realtà più credibile del mondo arabo moderno.

    Il volume è ben strutturato. Ispirati all’abbandono fatalista ma sereno della fede islamica, il primo e l’ultimo racconto del libro, in cui due tassisti diversi, come due angeli, aprono gli occhi al passeggero, tra un semaforo e un intasamento, sulla bontà della vita e di Dio; con una saggezza macerata nel traffico di migliaia di chilometri percorsi nelle strade urbane.

    Gli altri conducenti di cui racconta Kamissi, sono il genere umano, e in particolare il mondo arabo, in un unico grande affresco:  un’umanità dolente e arrabbiata; passionale o disillusa. Vitale, nonostante sia sempre ad un passo dallo sfinimento. Dall’autista fanatico religioso che aggredisce l’autore con una filippica contro il malcostume delle donne; all’altro che strangolerebbe seduta stante la polizia corrotta; da chi girato il mondo, trascorrendo una vita da emigrato all’estero, alla fine s’è ridotto a guidare un taxi al Cairo; al malcapitato pressato dalle rate della vettura e costretto a guidare per tre giorni di seguito.

    Kamissi ha scritto il libro rispettando il dialetto arabo della gente semplice della capitale egiziana. Nella traduzione italiana s’è scelto di utilizzare espressioni dialettali meridionali, e in particolare napoletane, per esprimere la «popolanità» del parlato.

  • LUCCA FILM FESTIVAL: Immagini resistenti. Il piacere di scoprirle

    IL MANIFESTO – 03/10/2008
    di Cristina Piccino

    «Non è tempo di abbassarci ma di essere pronti a cantare la nostra nota più bella». Questa frase racconta bene Jonas Mekas, ci dice della sua passione per la musica, l’altro grande amore insieme al cinema, con l’accordeon che si porta dietro ovunque in giro per il mondo. E dell’energia di questo geniale artista, oggi ottantaseienne (è nato nel 1922 a Semeniskiai, in Lituania) , capace di suonare per gli amici alle ore della notte più strampalate senza mai dire che è tempo di dormire. Jonas Mekas sarà uno dei protagonisti al prossimo Lucca film festival (10-18), piccola e assai agguerrita zona libera dell’immaginario, di quelle che oggi in Italia è sempre più difficile fare con le smanie di «tappeti rossi» – o come si dice «red carpet» – e le censure preventive che fioccano da ogni parte. Nell’intervista che apre il catalogo, una conversazione tra Mekas e Pip Chodorov, anche lui regista, ideatore di una magnifica collana di home-video, la parigina Re: voir , leggiamo in una domanda sul New American Cinema, al quale Mekas ha partecipato, come del resto tutta la scena della ricerca più sperimentale: « Vedo il New American Cinema come un giovane albero, una persona giovane, di quindici o diciassette anni, molto ribelle e che non si fida dei genitori. Poi questa persona cresce, arriva ai quaranta, cinquanta, sessant’anni, ma nell’armadio ha ancora oggetti e ricordi di quando aveva dieci anni … Il cinema di oggi negli Stati uniti ha incorporato come in ogni altro luogo le conquiste linguistiche, tematiche, tecnologiche, linguistiche degli anni Sessanta, ed è completamente da qualche altra parte… Lo stesso vale per me anche se qualunque cosa faccia ora inizia molto, molto tempo fa …». Mekas in Lituania è tornato solo poco tempo fa, arrivò in America con i molti profughi della seconda guerra mondiale da un campo di concentramento insieme al fratello Adolfas, e lituano era anche Maciunas, tra i fondatori di Fluxus, movimento di cui Mekas è stato tra i protagonisti … Sono molte storie ma la cosa più bella è che Mekas continua a stupire, pur lavorando spesso con materiali della sua vita, anche passata, quei diari filmati in diversi formati che raccontano un tempo, un’utopia, forse qualcosa di più. E insieme c’è la sua capacità di essere nel presente, coi più giovani, ragazzi che crescono al suo cinema, al Film Archive, la sala che cura nell’East Village newyorkese, e che in questa relazione e scambio di esperienze, conquistano una sensibilità speciale (è uno dei massimi difetti del nostro cinema l’incapacità di guardare alla ricerca e alla sperimentazione). Mekas aprirà con Birth of a nation (’97) il festival, centossessanta ritratti – «schizzi» li definisce – di filmmaker indipendenti, d’avanguardia e attivisti fra il ’55 e il ’95. Il titolo è perché il cinema indipendente – come dice Mekas – è in sé stesso una nazione. Ci sarà anche una mostra, alla Fondazione Ragghianti, coi suoi lavori. Mekas però non è il solo ospite. Gli omaggi inanellano i nomi di Shane Meadows e di Kiyoshi Kurosawa, e soprattutto un omaggio a Pierre Clementi, attore, regista, ispiratore del Sessantotto italiano, spesso Bernardo Bertolucci ha raccontato che era lui a portare le invenzioni del Maggio francese a Roma quando giravano Partner . Sarà anche per questo che Clementi nell’Italia che amava finì in galera con un’accusa di droga, sicuramente montata, e ci restò anni aspettando un giudizio che non arrivava mai. Scrisse di quei giorni terribili e assurdi in un bel libro che il festival ripropone ( Pensieri dal carcere , nell’edizione francese Quelques messages personnels , Gallimard). A ricordarlo ci saranno il figlio, Balthazar, gli amici come Marc’o con cui Clementi aveva girato Les Idoles , Pierre Kalfon, Franco Brocani (e avere la possibilità di ascoltarli tutti insieme è di per sé un’occasione magica). Si vedranno i film di Clementi cineasta, molto difficilmente fruibili in Italia, come Visa de Censure n. X (1967) , quelli come attore ( Necropolis di Brocani, Porcile , Les Idoles ) ma soprattutto una serie di filmati inediti che il festival ha recuperato grazie al lavoro del laboratorio di restauro dell’università di Udine e del Dams di Gorizia. Mostrano il set di Les Idoles o una vacanza a Positano in cui c’è anche Philippe Garrel. Sono immagini personalissime, quasi degli home movie, dove però scorre ugualmente il senso di un’epoca.

  • Taxi al Cairo, un libro di incontri speciali

    MULTITAXI.SPLINDER.COM 08/06/2007
    di Multitaxi

    Analfabeti e diplomati, sognatori e falliti, taciturni e loquaci, chi racconta barzellette e chi commenta la situazione in Iraq. E’ la variegata galleria di tipi e personaggi in cui capita di imbattersi salendo su un taxi al Cairo, e le cui voci vengono ora raccolte in un libro pubblicato da poco in Egitto e diventato presto un successo,“Taxi (Conversazioni in tragitto), del giornalista e regista Khaled al Khamissi. Il libro raccoglie in 220 pagine 58 racconti-monologo che hanno la voce degli autisti di taxi del Cairo: storie tratte dalla realtà, ma romanzate, e raccontate in un linguaggio colloquiale, che differisce molto dalla lingua letteraria usata dalla maggior parte degli scrittori egiziani, e che forse costituisce il segreto del successo di questo libro.
    Il volume, pubblicato a inizio gennaio, dopo tre mesi aveva già venduto 20mila copie e ora è già stato ristampato tre volte. I tassisti protagonisti di questo libro sono assai differenti, sognatori e filosofi, misogini e fanatici, contrabbandieri e falliti, mistici e comici con quell’ironia così particolare dei cairoti magistralmente descritta dallo scrittore Albert Cossery, ma accomunati da uno stesso destino: quello di dover lottare quotidianamente per farsi strada, nel senso letterale della parola, in un mondo rumoroso e caotico. Nei confronti di questa categoria spesso poco amata e stigmatizzata dagli abitanti del Cairo, l’autore non nasconde di nutrire una particolare simpatia: nell’introduzione alle conversazioni,infatti, al Khamissi ricorda quello che spesso i clienti di un taxi al Cairo dimenticano, ovvero che i tassisti appartengono per lo più a categorie sociali tra le più bistrattate economicamente, i loro nervi sono messi alla prova dal caos delle strade del Cairo, una metropoli bellissima ma inquinata e polverosa formicolante di oltre 16 milioni di abitanti, attraversata ogni giorno in totale da 22 milioni di persone, in macchina, autobus e metropolitana ma anche su carretti trainati da asini e vesponi Piaggio. Con un sottofondo perenne di clacson e una sorprendente commistione tra città, campagna e deserto. Lo descrive bene, l’autore, il loro inferno: “E’ un mestiere sfiancante, lo stare sempre seduti in automobili poco confortevoli distrugge le loro colonne vertebrali, l’incessante rumore delle strade del Cairo demolisce il loro sistema nervoso, i perenni imbottigliamenti li sfiniscono nervosamente e il correre dietro il loro sostentamento – correre nel senso letterale del termine – elettrizza i loro corpi.
    Aggiungete a questo le trattative e le litigate con i clienti per il prezzo da pagare in assenza di tachimetri, e il tormento dei poliziotti che li inseguono…”. L’autore si sofferma anche sulle loro riflessioni sul proprio Paese, i giudizi sui dirigenti, le critiche alla corruzione dei poliziotti, le molte parole che quasi tutti spendono sulla situazione in Iraq e sull’America: ne risulta una sorta di documento sulla vita quotidiana del Cairo, composto da porzioni di reale che non corrispondono né all’immagine mostrata ai turisti, né a quella fornita dalla produzione letteraria o cinematografica.

  • Khaled Al Khamissi presenta “Taxi” alla Settimana della lingua italiana

    Martedì 4 novembre 2008, alle ore 19.30 presso l’Istituto Italiano di Cultura a Il Cairo viene presentato il libro “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano“, nell’ambito della Settimana della lingua italiana, con la partecipazione dell’autore Khaled Al Khamissi e dell’editore il Sirente. A seguire verrà proiettato il film “Driving to Zigzigland“.

    Un libro dedicato «Alla vita che abita nelle parole della povera gente.» 

    L’evento sarà un occasione unica di scambio e interazione tra cultura italiana, egiziana e araba. La particolarità della traduzione italiana trascinerà i partecipanti per le strade e le piazze del meridione italiano.

    IL LIBRO. “Taxi” è un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti egiziani, a cui da voce il promettente Khaled Al Khamissi, sono degli amabili cantastorie che con disinvoltura conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni. «Taxi è un articolata e divertente critica alla società e alla politica egiziana» dice Mark Linz, direttore dell’Università Americana al Cairo, «è unico nel suo genere perché usa una buona dose di humor per trattare argomenti a cui solitamente gli egiziani riservano un’estrema serietà.»

    Primo libro di Khaled Al Khamissi Taxi in Egitto è diventato un best-seller, ristampato 9 volte nell’arco di un anno, oltre 90.000 copie vendute in Egitto, paese in cui 3000 copie sono considerate un successo. 58 storie brevi che l’autore ha collezionato conversando con i tassisti della megalopoli egiziana tra il 2005 e il 2006. Il diluvio di parole che emettono gli autisti è spontaneo e disordinato e sommerge il lettore regalandogli varie prospettive da cui guardare l’Egitto. L’essere umano è alla base di questo libro, ‘l’uomo della strada’ con parole semplici e chiare esprime i suoi timori, dubbi, pareri e critiche sul piano politico, economico e sociale, dell’Egitto, ma anche del mondo arabo.

    La “Settimana della Lingua Italiana nel mondo”, che ha visto il suo esordio nel 2001 è giunta ormai alla sua ottava edizione. Il tema della manifestazione sara’ quest’anno “L’Italiano in piazza”, un itinerario virtuale attraverso le citta’ piu’ importanti di Italia per raccontare la storia linguistica e culturale del nostro Paese, individuando proprio nella piazza non solo il luogo architettonico, ma il teatro di ogni aspetto della vita quotidiana e il centro catalizzatore dell’attività politica, culturale e artistica. Dunque una storia della piazza che e’ anche storia delle tradizioni linguistiche italiane, dalla loro fioritura dialettale fino all’italiano come lingua nazionale.

    L’autore sarà in Italia per un tour di presentazioni dal 29 novembre all’8 dicembre. Per saperne di più su Taxi e Khaled Al Khamissi e conoscere le date delle presentazioni: https://www.sirente.it/9788887847147/taxi-khaled-al-khamissi.html

    PROGRAMMA:

    Ore 19.30 Teatro dell’Istituto Italiano di Cultura
    Presentazione della traduzione in lingua italiana del libro Taxi di Khaled El Khamissi alla presenza dell’autore e dell’editore (il Sirente). Taxi, un best-seller con oltre 95.000 copie vendute in Egitto, è un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti.
    Khaled El Khamissi, giornalista, regista e produttore, presenta ironicamente la sua città affrontando allo stesso tempo tematiche importanti quali la politica, l’economia, l’istruzione e la sanità.

    Segue rinfresco

    Ore 20.00 Teatro dell’Istituto Italiano di Cultura
    Proiezione del film “Driving to Zigzigland” (Usa/Palestina 2006, 90 min.). Viaggio di un taxi californiano ironico ma amaro: uno spaccato della società occidentale vista con gli occhi di un arabo. Un tassista palestinese di Los Angeles è costretto a dimostrare di non essere un terrorista dopo gli eventi dell’11 settembre ritrovandosi nelle situazioni più paradossali.

  • Pierre Clémenti al Lucca Film Festival

    Ore 17.50 OMAGGIO A PIERRE CLÉMENTI

    Incontro con Balthazar Clémenti, Marc’O, Jean-Pierre Kalfon, Bulle Ogier, Catherine Libert, Antoine Barraud, Giulio Bursi

    a seguire

    Presentazione del libro Pensieri dal carcere di Pierre Clémenti, a cura della Casa Editrice Il Sirente

    VISA DE CENSURE N°X (Pierre Clémenti, Fr, 1967, sonorizzato nel 1975, 43’)
    BOBINA 10 – Inedito (Pierre Clémenti, Fr, col, 3’)
    BOBINA 27 – Inedito (Pierre Clémenti, Fr, col, 27’)

    Il Lucca Film Festival è felice di poter dedicare questo omaggio a Pierre Clémenti, un artista che forse meglio di tutti rappresenta il nostro giovane festival, esponente come attore del cinema ‘più importante’ – ma mai schiavo delle sue logiche – e al contempo grande sperimentatore come film-maker, lavoratore e costruttore instancabile delle proprie visioni, dei propri sogni di amore e libertà.

    Grazie al figlio Balthazar e alla sua stessa passione per l’opera di suo padre, siamo riusciti a realizzare e presentare quello che ci auguriamo sia uno sguardo ampio sull’arte, la vita e il cinema di Clémenti. Uno sguardo che poi diviene unico, con la possibilità di assistere per la prima volta in assoluto alla proiezione di parte dei suoi film realizzati in 16mm e rimasti incompiuti, film unici, veri e propri documenti che vanno dalla semplicità di un ritratto di famiglia alla più alta elaborazione tecnica, film che siamo riusciti a recuperare, restaurare, archiviare e sottrarre così a un sicuro e irreversibile danneggiamento. Tutto questo sarà accompagnato dalla proiezione del suo film invece compiutissimo, e forse più rappresentativo del suo modo di fare cinema, Visa de Censure n.X, e di alcuni film che lo vedono nella veste più conosciuta di attore e che, a nostro parere, riescono meglio di altri a comunicarci la sua grandezza : Necropolis (Franco Brocani), Porcile (P.P.Pasolini) e Les Idoles (Marc’O).

    Inoltre coglieremo l’occasione per presentare il libro Pensieri dal carcere (Ed. Il Sirente), scritto da Pierre Clémenti durante il periodo di reclusione trascorso a Roma, una sorta di diario, di memorie in cui si affronta il tema del carcere e allo stesso tempo si ripercorrono alcuni episodi cruciali per la vita e la carriera cinematografica di Clémenti. A questo tributo, che avrà inizio il 16 ottobre alle ore 17.30 e rientra nel quadro più ampio della rassegna cinematografica Lucca Film Festival 2008, parteciperanno lo stesso Balthazar Clémenti, Marc’O, Franco Brocani, Jean-Pierre Kalfon e Bulle Ogier. Siamo davvero molto felici di poter rendere omaggio proprio qui, nell’Italia che lui amava tanto e in cui ha trascorso gran parte della sua vita,

    a testimonianza di un amore reciproco, a Pierre Clémenti attore, cineasta, scrittore.

    Andrea Monti

    Da una lettera di Clémenti scritta dal carcere a Franco Brocani :

    Caro Franco, ti ringrazio per la tua lettera gentile.
    Sto bene e Regina Coeli ha degli odori di chiostro che amo molto.
    Vivo da solo in una cella e come un monaco sto imparando a parlare con Dio.
    Leggo. Faccio della pittura. Lascio che l’illusione mi invada e i pensieri mi trasportano là dove la libertà non subisce alcuna incarcerazione. Dalla notte oscura in cui ero immerso fin dai primi giorni, il sole mi ha fatto visita. Ed ora la mia anima si è abituata a questa grande purificazione, e ho dentro una gran gioia di provare questa esperienza senza prezzo. La messa in luce della coscienza imprigionata nella tomba. Le porte un giorno si apriranno e molte cose in me saranno cambiate. La Bilancia della giustizia di Minerva è giusta, ed è per questo che la speranza di uscire presto non mi dà né gioia né pena. Il tempo resta sospeso dietro le sbarre, solo le stagioni annunciano un soffio nuovo che l’Anima Umana sente fisicamente. La tua lettera mi ha causato grande gioia. Non sono molti i veri amici. Qui, con l’isolamento, la presenza del passato si fissa in un eterno presente e la tua immagine si presenta spesso ai miei occhi. Penso a Attila, alle sue orde di barbari animati dal soffio divino. Penso alla fine certa e la morte dell’imperialista americano. Penso al mondo nuovo che sorgerà da questa liberazione. Penso alle nuove generazioni che saranno liberate da questo flagello. Penso al PARADISO come a una Terra Promessa.

    Penso al nostro film.
    Penso alla felicità dell’Umanità.
    Penso all’Anarchia dei nostri pensieri.
    Penso all’Amore.
    Penso alla gioia di essere qui.
    Penso…penso…penso…alla Libertà.
    Vi abbraccio,

    Pierre

    VITA DI PIERRE CLEMENTI

    Pierre Clémenti nasce a Parigi il 28 settembre 1942, da padre sconosciuto e madre di origine corsa che fa la custode. Trascorre un’infanzia difficile tra famiglie a cui viene affidato e una madre incapace di occuparsi di lui, sommersa dalla difficoltà materiali. A 13 anni è mandato in casa di correzione, dove incontra un educatore che gli fa scoprire la poesia. Di ritorno a Parigi, l’adolescente vive di piccoli lavori.
    Nel 1957 Pierre fa la conoscenza di Eugène Ionesco, Samuel Beckett, Edgar Varèse e l’attore francese Roger Blin, incontri determinanti per la sua futura carriera da attore. Il ragazzo, dall’atteggiamento beatnik e apparentemente fragile, frequenta Saint Gérmain des Prés, dove la sua bellezza e il suo charme mietono vittime. Inizia come attore in alcuni lavori di Michel Deville.
    Ma presto Alain Delon presenta il giovane attore a Visconti. Impressionato, il regsta gli affida il suo primo ruolo da leggenda : il figlio del principe Salina ne Il Gattopardo. Rientrato a Parigi, gli viene segnalato il lavoro di Marc’O, che ricerca e mette in pratica un nuovo rapporto tra gli attori e la scena.
    Entusiasta, Pierre Clémenti si lancia in questa avventura teatrale di avanguardia a fianco di un gruppo di giovani attori che presto diventeranno celebri come Bulle Ogier e Jean-Pierre Kalfon.
    Nel 1965, Pierre sposa Margareth. Loro figlio Balthazar nasce in luglio.
    Nel 1966 è uno degli ‘idoli’ nel grande film di Marc’O Les Idoles, opera musicale anti-starsystem che diviene presto culto e riferimento per tutta la ricerca teatrale, e che annuncia il 1968.
    Poi Luis Bu
    ñuel gli affida un ruolo molto importante in Belle de Jour, a fianco di Catherine Deneuve. Diviene presto una vedette del cinema. Proprio in questo periodo acquista una camera 16mm e comincia a realizzare i suoi film. Girerà molto materiale anche durante le riprese di Patner di Bertolucci.
    Fedele alle sue convinzioni, Pierre rifiuta di fare film che non giudica interessanti, distribuisce i suoi cachet ai clochard e vive in una camera da poco. Dal 1969 al 1971 lavora in moltissimi film, concedendosi senza riserve a registi esigenti come Pasolini, Rocha, Jancs
    ó, Garrel, ritrovando Buñuel ne La via lattea e Bertolucci in Il Conformista. In Italia Pierre frequenta il piccolo popolo romano, la gioventù in rivolta, gli hippies e l’estrema sinistra. Nel luglio del 1971 viene arrestato a Roma per detenzione e consumo di stupefacenti. Condannato a due anni di prigione, è incarcerato a Regina Coeli, da dove uscirà dopo 18 mesi per insufficienza di prove. Esce da questa esperienza traumatizzato, segnato per sempre.
    Nel 1973 Pierre Clémenti pubblica Pensieri dal carcere, vera e propria requisitoria contro l’ingiustizia e le condizioni dell’incarcerazione. Questa testimonanzia traccia anche gli episodi essenziali della sua vita e della sua carriera folgorante. Sposa Nadine Hermand. Nascita del figlio Valentin.
    Pierre partecipa allo spettacolo Héliogabale di Maurice Béjart. L’attore ricerca più che mai dei progetti sperimentali. Nel 1975 il cineasta sonorizza Visa de Censure n°X, girato nel 1967, e realizza New Old, film saggio sulla sua vita e il suo lavoro. Nel 1992 realizza la pièce Cronaca di una morte ritardata, monologo di un angelo decaduto che racconta la sua discesa agli inferi.

    Pierre Clémenti, in seguito a un cancro, si spegne a Parigi il 27 dicembre 1999, a 57 anni.

     

    Per maggiori informazioni :
    LUCCA FILM FESTIVAL 2008
    Associazione Vi(s)ta Nova
    Via del Tiro a Segno trav. IV, n.17
    55100 Lucca – Italia
    Tel +39 0583 390 597
    Fax +39 0583 583 204
    info@vistanova.it

    www.vistanova.it

    www.myspace.com/luccafilmfestival

  • TAXI

    INCONTRO
    di Tiziana Barrucci

    Che gli autisti dei taxi possano fornire il polso della società in cui vivono non è di certo sfuggito a Khaled al Khamissi, autore del best seller egiziano “Taxi”

  • Il Cairo in movimento

    IL SOTTOSCRITTO – 24/09/2008

    di Silvia Lutzoni

    «Non è uno studio sociologico o antropologico, né tantomeno un reportage giornalistico», ha dichiarato Khaled el-Khamissi, giornalista, regista e produttore (dirige la Nile Production Company), a proposito di Taxi. Le strade del Cairo si raccontano, suo libro d’esordio che, dalla sua uscita al Cairo a gennaio 2007, è ormai arrivato alla dodicesima ristampa ed è già stato tradotto in inglese e francese. Resta comunque difficile tentare di collocarlo all’interno di un genere letterario ben definito quando è vero che è costituito da cinquantotto dialoghi – scritti in arabo dialettale – tra un giornalista e una serie di tassisti cairoti che fotografano così l’Egitto con tutti i suoi problemi, senza lesinare attacchi al Potere, ma non rinunciando mai a una dose massiccia di ironia. Ed è proprio la scelta dell’arabo colloquiale che deve aver posto non poche incertezze al traduttore, Ernesto Pagano, fino a condurlo alla scelta di appoggiarsi al suo retroterra culturale: i dialoghi sono stati infatti resi con l’uso di locuzioni tipicamente campane (ma uno dei racconti, Filosofia del tassinaro, è in romanesco) che, se da un lato potrebbero avere l’effetto di decontestualizzare il racconto, fino a disorientare il lettore, dall’altro assicurano agli scambi la vivacità urbana che l’uso dell’italiano avrebbe forse penalizzato. Il libro, pubblicato dall’editore dell’Aquila il Sirente, inaugura la collana «Altriarabi»,  che si propone di presentare al lettore italiano quegli autori arabi  che non si conformano al nostro stereotipo di orientale, e che tentano di rappresentano i loro Paesi discostandosi da quello che spesso è un immaginario colonizzato.

    Come è nata l’idea di scrivere un libro come Taxi?

    E’ difficile parlare di un inizio. Questo libro è nato come il frutto di un insieme di circostanze e di idee. Nella mia casa si respirava cultura e posso affermare che letteratura fosse nei miei geni: sono nato e cresciuto in una famiglia di scrittori, lo era mio padre, mio nonno, e anche i miei zii sono scrittori. Ho studiato scienze politiche  alla Sorbonne a Parigi, dove i miei professori mi hanno abituato ad indagini complicate e altamente pedagogiche sulla società e sui fenomeni politici. Ma sono sempre stato affascinato dalla semplicità delle analisi della gente comune – e gli egiziani in queste sono impareggiabili – che con strumenti disparati sono in grado di fornire analisi economiche e sociologiche molto più esaustive di quanto non riesca a fare un accademico.  Ho pensato che sarebbe stato interessante parlare di storie normali, ecco, della vita vera. Ma non sono effettivamente mai salito su un taxi pensando di intervistare il tassista, né avrei mai pensato che dalle chiacchiere scambiate per passare il tempo, per cortesia, avrei mai tratto un libro. L’idea è venuta dopo.

    Nella «Premessa indispensabile» al libro lei dichiara di aver escluso dal libro alcuni dialoghi perché ritenuti inopportuni.

    E’ stato un avvocato a suggerirmi di eliminare dal libro alcuni dei dialoghi, ma per evitare di incappare in procedimenti legali, non per paura della censura. Molte storie parlano di fatti che tutti conoscono, di cui tutti parlano, ma di cui non esiste certezza perché nessuno di questi personaggi è mai stato ufficialmente processato. Allora parlarne è lecito, scriverne è un altro discorso.

    E’ stata dunque una sorta di autocensura in un Paese in cui la censura ufficialmente non esiste.

    Non è ufficiale, certo, ma è presente, e la strada è l’unico luogo dove la gente può parlare liberamente. Il popolo egiziano ha avuto una storia di oppressione tra le più lunghe in assoluto, per cui credo che abbiamo sviluppato una specie di gene che testimonia della nostra paura del Potere. Per sopravvivere non facciamo altro che produrre barzellette sul Governo e sulle istituzioni. L’ironia resta la nostra unica arma di difesa.

    Taxi è stato pubblicato a pochi anni di distanza da un altro bestseller, Palazzo Yacoubian (Feltrinelli, 2006), di Alaa Al-Aswani, un romanzo che, seppur diverso nella forma e nei temi trattati, è caratterizzato da un certo impegno civile. Entrambi hanno venduto oltre centomila copie, un fenomeno piuttosto inconsueto, se consideriamo che il mercato librario arabo, per quanto in forte espansione, non annovera più di venti, trentamila titoli l’anno. E’ stato l’impegno civile il segreto del successo di questi libri?

     Sono molti i libri impegnati civilmente che vengono pubblicati ogni anno in Egitto, ma nessuno di questi diventa un bestseller. Non so che cosa sia necessario per assicurare a un libro il successo di vendite, e noi scrittori non abbiamo una ricetta. Il mio e il libro di Alaa al-Aswani non sono stati concepiti per diventare bestseller, ma per esprimere qualcosa che sentivamo la necessità di mettere per iscritto.

    Quello sulla diglossia nei Paesi arabi è un dibattito tanto antico quanto enorme. Lei ha scelto di scrivere la maggior parte del libro in dialetto egiziano. Una scelta discutibile se si considera quanto di recente affermato da Alaa Al Aswani, e cioè che sono gli orientalisti a sostenerne l’uso.

    Scrivo in l’arabo standard nelle parti in cui è il narratore a raccontare, mentre mi servo del dialetto egiziano nei dialoghi: il punto è che i dialoghi costituiscono l’ottanta per cento del libro. Non mi pare di aver operato una scelta innovativa: basti pensare soltanto a un libro come Il ritorno dello spirito del grande drammaturgo e narratore egiziano Tawfìq al Hakìm, un libro pubblicato negli anni Venti  del secolo scorso in cui tutti i dialoghi sono scritti in vernacolo. E’ dunque una caratteristica che entrata da tempo nella nostra letteratura. Inoltre, per me era ovvio che nel momento in cui avevo scelto di ambientare i miei racconti nella strada, la lingua della strada fosse di conseguenza l’unica attendibile.  Posso accettare solo in parte ciò che sostiene Al Aswani quanto agli orientalisti. Ho molto rispetto per il dialetto egiziano: è la lingua che effettivamente parliamo: è una lingua vera e viva. Rispetto anche la fushà, l’arabo standard, perché rappresenta la nostra storia, ed è la lingua che ci permette  di mantenere una certa  relazione tra i Paesi arabi. Credo che non si tratti di una competizione, però, per cui io posso dire di stare con una o con l’altra squadra. Non è così facile: posso parlare e scrivere in entrambi, sono due elementi che non possono fare a meno di convivere nella mia cultura.

    Uno dei tassisti protagonisti del libro afferma: «Vorrei vedere con tutto il cuore i Fratelli Musulmani salire al potere [… ] E perché no?! Abbiamo già provato  tutto. Provammo il re e non funzionava, provammo il socialismo con Nasser e nel pieno del socialismo ci stavano i gran pascià dell’esercito e dei servizi segreti […] e allora perché non proviamo pure i Fratelli Musulmani? Chi lo sa, va a finire che funzionano».

    Ho sentito questa frase detta da centinaia di persone, e persone di diversi livelli sociali. Ho un amico che lavora al Marriott hotel che è della stessa opinione: dall’età di sedici anni studia e lavora nel campo del turismo e quando ho obiettato che con i Fratelli Musulmani al potere, molto probabilmente, il Marriott non avrebbe più modo di esistere e lui di conseguenza perderebbe il lavoro, mi ha risposto che la cosa non lo interessava.

     Qual è il ruolo della cultura oggi in Egitto?

    Il governo ha fatto di tutto negli ultimi vent’anni per affermarsi come l’unico produttore di cultura. E ciò vale per quanto riguarda la letteratura, la televisione, il cinema. Negli ultimi tre, quattro anni, però, i produttori privati stanno aumentando, e così sono aumentati i romanzi pubblicati, le produzioni teatrali e televisive. Adesso possiamo veramente avere la speranza di poter fare qualcosa di nuovo e valido nel futuro. La macchina della cultura è in movimento, insomma.

    Una gestione privata in questo senso gioverebbe alla cultura?

    Non posso dire se una gestione privata possa costituire una soluzione. C’è tutto un sistema organizzativo che deve necessariamente essere riformato. Pensiamo a un evento come la Fiera del libro del Cairo: il Governo dovrebbe smettere di occuparsene, su questo non c’è dubbio, per lasciare spazio a chi la cultura e la letteratura effettivamente produce, ma questo non accadrà facilmente. Ho passato tutta la mia vita a tentare di produrre cultura e nel rapporto con le istituzioni – parlo di funzionari, non delle alte istituzioni – ho sempre avuto delle difficoltà, mi sono stati imposti dei limiti. Di certo con una gestione privata non accadrebbero episodi incresciosi come quello accaduto proprio nel 2007 alla Fiera del Libro. Per quella occasione invitai a parlare del mio libro due tra i più eminenti intellettuali egiziani, Galal Amin e Abd el-Wahab el-Messiry. Quest’ultimo, deceduto lo scorso luglio, aveva dei problemi di salute, così chiesi che potesse avere la possibilità di arrivare all’ingresso della sala conferenze con la sua auto. Mi fu data l’autorizzazione, ma all’ingresso la sua auto fu bloccata da un ufficiale che cedette alle nostre richiesta soltanto perché il direttore della fiera, Nasser al-Ansari, in quel momento si trovava a passare accanto a noi. Così l’auto varcò i cancelli, ma duecento metri dopo fu fermata da un altro ufficiale: questa volta, senza l’aiuto di al-Ansari, non poté proseguire. Ora, un uomo come Nasser al-Ansari è il direttore della fiera, e una delle menti migliori del nostro Paese non può accedervi per i capricci di un basso funzionario. Sembra uno scherzo, un brutto scherzo, ma questa è la realtà dei fatti nel mio Paese.

    Bahaa Taher, uno fra i più importanti scrittori egiziani contemporanei, in «Amore in esilio»,  romanzo scritto nel 1995 e appena tradotto da Ilisso, faceva pronunciare al protagonista queste parole: «Tutti gli arabi hanno smesso di crescere».

    Sono passati tredici anni dalla pubblicazione di quel libro: è chiaro che Bahaa Taher si riferisse con quelle parole a una situazione storica che con il tempo non ha potuto che modificarsi. Credo di poter sostenere, senza incertezze, che stiamo davvero cominciando una nuova era della nostra storia culturale. E’ vero, tuttavia, che abbiamo dei problemi. I Paesi arabi, ognuno a suo modo, stanno attraversando il periodo più buio degli ultimi cento anni. Siamo totalmente occupati dagli Stati Uniti:  fisicamente come avviene in Iraq o virtualmente come accade in Egitto. I nostro governi dipendono in tutto e per tutto da quello americano. Ma ciò che è peggio è che molti Paesi europei stanno seguendo e concordano con quel genere di politica e vi contribuiscono. Dobbiamo ammettere che i nostri sono Paesi occupati.

  • La società egiziana a bordo di un Taxi

    La società egiziana a bordo di un Taxi

    | Mediterraneaonline | Domenica, 21 settembre 2008 | Cristina Giudice |

    Presentato ad Alghero in prima nazionale il libro di Khaled Al Khamissi, un viaggio nella Cairo di oggi

    È un vero e proprio viaggio all’interno della realtà egiziana attuale quello che si fa sfogliando le pagine di “Taxi”, il romanzo di Khaled Al Khamissi, presentato in anteprima in Italia ad Alghero all’interno del Festivalguer “Porto Mediterraneo”. Lo scrittore egiziano ha scelto la riviera del corallo per presentare quello che in Egitto è stato il caso editoriale dello scorso anno, arrivato all’ottava ristampa e a 35 mila copie vendute, in un paese dove già 3000 copie costituiscono un successo.

    Al Khamissi racconta, in 58 storie brevi, messe insieme fra il 2005 e il 2006 parlando con i tassisti del Cairo, la vita quotidiana, le frustrazioni, le speranze e le amarezze di un popolo «oppresso e povero e senza possibilità di sopravvivenza – come lo ha descritto lui durante la presentazione – che in molti casi ha perso la speranza, ma non la voglia di scherzare, di ridere e di vivere».

    “Taxi” è un libro all’apparenza leggero e godibile, grazie anche ad una scrittura semplice in cui, invece del pesante arabo letterario, domina la lingua parlata nei discorsi diretti fra il tassista e lo stesso autore, come in un siparietto teatrale ricco di espressioni gergali e battute ironiche. Proprio come il popolo che racconta però, il libro nasconde sotto questa apparenza di leggerezza e, a volte, di vera comicità, i moltissimi problemi di un paese che cerca la propria strada fra la voglia di adozione di uno stile di vita europeo (ancora oggi esclusivo appannaggio delle classi più ricche della società) e la restrizione delle libertà imposta dal governo, i bassi livelli di cultura e i notevoli problemi economici.

    Al Khamissi rifiuta l’idea che lo sviluppo dell’Egitto sia impedito da fattori religiosi e guarda piuttosto a motivazioni politiche ed economiche, imputando anche all’Europa le sue responsabilità.

    «Non si può parlare della cultura egiziana identificandola solo con quella musulmana – ha ricordato Al Khamissi – perché in Egitto ci sono anche molti cristiani, che abitavano nel paese ancora prima dell’arrivo dei musulmani, e una parte di laici. Il problema è una difficile situazione geopolitica – ha continuato lo scrittore – complicatasi dopo la guerra del ’73 contro Israele, che portò a nuovi accordi con gli americani e ad un’agenda politica che prevedeva la lotta contro il socialismo e gli elementi laici in Egitto. Per realizzarla gli americani stessi finanziarono gruppi estremisti islamici ed è noto, per esempio, che nell’università di Asiut, tra il ’76 e il ’78, un gruppo di studenti girava armato. E fu proprio quel gruppo ad uccidere poi il presidente Sadat. La successiva impennata dei prezzi del petrolio diede un fortissimo potere economico all’Arabia Saudita che iniziò, accanto agli Stati Uniti, a finanziare gruppi estremisti in tutto il mondo».

    Se è dunque giusto affermare che non è l’Islam il responsabile dell’arretratezza del paese, la colpa è probabilmente da imputare ad un sistema scolastico fallimentare, spesso ingiusto, che non combatte l’ignoranza dilagante e che non è visto come un mezzo per potersi migliorare.

    «Molte delle speranze che il popolo egiziano nutriva sono morte – ha detto Al Khamissi – e nessuno fa affidamento sul sistema di istruzione: nemmeno i genitori pensano che possa essere utile a migliorare la vita dei figli. Negli anni ’50 e ’60 ci fu un momento di speranza di riscatto dal passato e anche i contadini guardavano al loro raccolto con ottimismo, perché due ettari di terreno coltivato a cotone erano sufficienti per sostenere una famiglia per un anno. Oggi non bastano più. Nemmeno con Sadat la speranza di miglioramento era legata all’istruzione, ma al business e alla creazione di nuovi esercizi commerciali aperti all’occidente, il cui monopolio però è andato a favore di pochissimi lasciando la maggioranza della popolazione nella fame. Anche la speranza nazionale del mondo arabo di cacciare Israele e i colonizzatori inglesi è fallita e oggi dobbiamo accettare come un dato di fatto la colonizzazione degli americani».

    Proprio come farebbe un qualsiasi cittadino egiziano, “Taxi” racconta questa difficile realtà col sorriso e una punta d’ironia: dalla giovane costretta a togliersi il niqab (il vestito nero che copre il corpo completamente lasciando scoperti solo gli occhi) a bordo del taxi per poter andare a lavorare al tassista che propone di provare i Fratelli musulmani, giusto per cambiare, come alternativa a Mubarak o all’altro che accusa il raìs di preoccuparsi solo dei ricchi del paese. Da chi racconta le peripezie affrontate e le bustarelle versate agli ufficiali di polizia per il rinnovo della licenza a chi, pur appassionato di film, confessa di non andare al cinema da 20 anni perché non può permettersi il biglietto. E poi un altro che, completamente sfiduciato dal sistema scolastico, ha ritirato i figli da scuola perché «non stavano imparando niente».

    Le storie di questo libro danno voce per la prima volta ad una categoria umana ai margini della società egiziana, spesso invisibile. Il tassista è solo colui che guida, portandoti da un posto all’altro di questa enorme metropoli di circa 18 milioni di persone con la sua macchina scassata, che a volte non si sa come faccia a camminare ancora. Chi però abbia vissuto al Cairo abbastanza sa bene che una conversazione con i tassisti a volte vale molto più della lettura di un libro per capire questo paese. Commentano la partita della sera prima, funestata dalla partecipazione del presidente in tribuna (che, a quanto pare, porta davvero sfortuna); ricordano quando con 25 piastre (0,03 cent) potevi comprarci il pane; condannano le stragi compiute in Iraq e Palestina contro i loro “fratelli” e lo strapotere degli Usa nel mondo. Se poi gli dici di essere italiano, viene fuori qualche parente che da anni vive nel nostro paese e ti dicono tutti che sognano di sposare un’italiana e lasciare l’Egitto perché l’Italia è un paese meraviglioso dove si trova lavoro. Qualcuno va sul personale e parla dei figli che sono riusciti a laurearsi nonostante tutto, mentre un altro racconta di essere appena uscito dal suo lavoro mattutino in un’azienda privata, cosa molto comune fra i tassisti cairoti che, per la maggior parte, arrotondano guidando i magri stipendi dell’amministrazione statale e di aziende pubbliche o private.

    Quella dei tassisti è forse la categoria umana che meglio rispecchia da sola la molteplicità della società cairota e il merito di Al Khamissi sta nell’averle dato voce per la prima volta.

    «Bisogna leggere chi scrive della realtà di questi paesi e della loro cultura», ha esortato Al Khamissi, evidenziando quella che, secondo lui, è la responsabilità occidentale nell’aver creato incomprensioni, fraintendimenti e stereotipi rispetto al mondo arabo. «C’è un forte bisogno di comprensione e conoscenza reciproca – ha continuato lo scrittore – mentre la stampa europea, in particolare quella francese, inglese e americana, scrive di una realtà creata da e per l’immaginario americano. Il signor Bush ha nella sua agenda un progetto politico ed economico chiaramente militare in cui purtroppo i giornalisti lo seguono».

    In risposta a questa informazione di parte l’opera di Al Khamissi va letta proprio per la sua capacità di raccontare dall’interno e in modo semplice e diretto la reale vita quotidiana del Cairo.

  • Taxi Writer

    VENTIQUATTO DEL SOLE 24 ORE – 5/09/2008
    di Elisa Pierandrei

    Lo scrittore Khaled Al Khamissi ha viaggiato per un anno sulle auto pubbliche cairote. Dalle chiacchiere con i conducenti è scaturito un libro, in breve divenuto un bestseller. Perché le storie ascoltate nelle convulse vie della capitale lasciano trapelare una denuncia caustica e ironica del malessere sociale che attraversa il Paese.

    Scendo di corsa le scale della palazzina. Il mio bawab – il giovane portiere che passa il tempo seduto nell’ingresso o a dormire nella sua stanzetta nel sottoscala – mi ferma il primo taxi di passaggio in via 26 Luglio, nel ricco quartiere di Zamalek, il cuore della Cairo cosmopolita. Salgo su una vecchia Fiat bianca e nera. L’autista agguanta una sigaretta – anche se sul cruscotto c’è scritto “vietato fumare” –, sporge la mano dal finestrino e si rimette in carreggiata. Direzione Downtown Cairo. Prima accende la radio, Imad (così si è presentato) mi chiede se la musica mi disturbi. Non importa: siamo in coda da dieci minuti nel frastuono dei clacson. Alle cinque del pomeriggio la corniche, la strada che costeggia il Nilo, è intasata dalle automobili di chi rientra a casa.
    Imad è abituato. Si mostra curioso nei miei confronti e, nonostante mi esprima in arabo, capisce che sono straniera (un guaio, pretenderà più soldi: la maggior parte dei taxi del Cairo non ha il tassametro). Farfuglia qualcosa su Berlusconi e sul calcio. Dice che gli italiani sono miyya miyya («al cento per cento»). Allora lo stuzzico chiedendogli se gli piaccia vivere nell’Egitto del presidente Hosni Mubarak o se vorrebbe al potere il movimento islamico di Fratelli Musulmani (bandito ma tollerato dalle autorità del Cairo), principale forza all’opposizione nel Paese. Risponde che vorrebbe provare il Governo degli islamici, anche se lui non prega né va in moschea: «Perché no? Li abbiamo provati tutti».
    Siamo arrivati, e quasi mi dispiace: è raro in questo Paese trovare uno sconosciuto pronto a discutere di politica. La portiera è sfondata e la maniglia non c’è, Imad scende e mi apre dall’esterno. Pago la corsa ed entro in un piccolo caffè del centro.
    Sono in ritardo, ma troverò comprensione.

  • Cairo Cabbies Gab About Back

    BLOOMBERG – 11/09/2008
    Interview by Daniel Williams

    Even casual travelers to Cairo soon learn one thing about the city: Its taxi drivers delight in gabbing about politics, religion, the weather, their family, your family, their income, your salary — whatever — while you are captive in their cabs.

    Khaled Al Khamissi, an Egyptian public-relations agent and author, recounts dozens of conversations he’s had with chatty drivers in a book called “Taxi,” a rolling portrait of contemporary Cairo. For him, cabbies are the city’s town criers.

    “Taxi drivers are always in the street, day and night,” Al Khamissi says in an interview in his third-floor office looking onto a Cairo plaza jammed with cars and people.

    “They are the bloodstream of Cairo and express the whole suffering of society and the determination to overcome the problems of survival in Egypt.”

    First published in Arabic last year and now available in English, “Taxi” reconstructs from memory 58 conversations Al Khamissi had with various drivers.

    One cabby from southern Egypt talks about fleeing a failed government irrigation project. Another describes how a veiled woman stripped in his back seat, peeling off her modest garb on the way to her waitressing job. A third dreams of driving to South Africa for soccer’s 2010 World Cup.

    One driver talks to Al Khamissi’s daughter about pornography. And one young cabby, enraged at his own poverty, sympathizes with suicide bombers and threatens to crash his car at the next intersection.

    Moonlighters

    “In their own way, the drivers express a mature understanding of Egypt. They live it everyday,” says Al Khamissi, who reports that the Arabic edition of his book has sold 60,000 copies, a bestseller by Egyptian standards.

    Moonlighting cabbies are common, making the drivers a cross-section of society, he says. Owners sublease their cars to all comers: retirees, unemployed students, engineers and even, on rare occasions, women.

    “I have never met a driver with a doctorate, but I have met plenty who hold masters degrees,” the author says.

    The book rings true. Though Al Khamissi is a critic of the government of President Hosni Mubarak, some of his drivers favor the 80-year-old leader. Complaints about bureaucracy and corruption are commonplace.

    Al Khamissi’s timing was good: Taxis have come under official scrutiny this year. The government ordered the withdrawal of licenses from cabs older than 20 years under a rule that went into effect Aug. 1, though owners have three years to dump their old cars.

    Ornamental Meters

    New regulations also make mandatory the use of meters, which Al Khamissi describes as inert ornaments designed “to tear the trousers of customers who sit next to the driver.” If my own experience is any guide, the meter rule has been ignored. Negotiations, as always, are the norm.

    The rules are meant to eliminate cars with faulty brakes, bald tires and fuming exhausts, and the state is offering subsidized loans to buy new vehicles. That shows just how out of touch the government is, Al Khamissi says.

    Even with a subsidy, he asks, “who can afford a new car?”

    “Taxi” has just a couple of weaknesses. For one thing, it could have used fuller descriptions of Cairo cabs, 80,000 of which roam the city of 17 million people, according to the Transportation Ministry.

    From outside, most of the cars look alike: two-toned black- and-white Ladas or Fiats pocked with dents and missing some or all of their fenders. Inside, the cars are feasts of idiosyncrasies: Amulets, worry beads and trinkets dangle from rear-view mirrors above fur-covered dashboards.

    Loud Prayers

    Loud radios and CD players are ubiquitous, with some Muslim drivers playing recorded Islamic prayers. In cabs operated by Coptic Christians, plastic icons of saints decorate the dash. At night, blinking blue inside lights give the cabs a disco glow.

    Another element missing from Al Khamissi’s collection is a typical conversation between a cabbie and a foreign tourist, beginning with the question, “Where are you from?”

    If the answer is the U.S., the conversation will turn to praise for the friendliness of Americans coupled with criticism of President George W. Bush’s foreign policy and a query about getting a U.S. visa and the range of salaries.

    Being an American who taxies around Cairo a lot, I’m fed up with discussing Iraq and U.S. tax laws while stuck in Nile- length traffic jams. So I’ve taken to saying I’m from Bolivia.

    That usually works, though almost nothing can stop a Cairo cabby’s urge to chat if he’s determined. When I said “Bolivia” the other day, the driver paused for a beat and replied:

    “Ah, Bavaria. Wonderful people. My brother works in Munich. What are the chances for a visa?”

    None, I said. And can you please turn down the prayers?

  • Il taxi egiziano e contestatore di Al Khamissi

    ANSA (NOTIZIARIO LIBRI) – 12/09/2008

    Taxi è la sorpresa della letteratura egiziana di quest’anno, un best-seller ristampato 7 volte nell’arco di un anno con oltre 35.000 copie vendute in un paese in cui 3000 copie sono considerate un successo. L’autore è in Italia, dove domani partecipa alla rassegna Porto Mediterraneo Festivalalguer (Alghero, Sardegna). Al Khamaissi ci fa compiere un viaggio che ci rivela umori, idee, ribellioni della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica.
    I tassisti del Cairo cui da voce sono amabili cantastorie che con disinvoltura conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni. Sono 58 storie brevi che l’autore ha collezionato conversando con i tassisti della megalopoli egiziana tra il 2005 e il 2006. Puo’ sembrare la rivolta delle auto bianche che ha segnato Roma l’anno scorso, ma e’ tutt’altra cosa.
    Il diluvio di parole che troviamo riportato nel libro sommerge il lettore regalandogli nuove e inaspettate prospettive da cui guardare quella realta’, grazie a quella che possiamo considerare le voci dell’uomo della strada, che in modo diretto e chiaro esprimono i suoi timori, dubbi, pareri e critiche sul piano politico, economico e sociale, a proposito del suo paese e del mondo arabo in generale. Con una forza che rende comunque il discorso esemplare anche sul piano esistenziale, della lotta quotidiana per la vita e la sopravvivenza.
    Al Khamissi è un artista poliedrico, nato nel 1962 si è laureato in Scienze politiche alla Sorbona di Parigi. Ha
    lavorato per l’Istituto Egiziano per gli studi sociali. Ha scritto sceneggiature per vari film egiziani quali Karnak, Iside a Philae, Giza e altri. E’ anche regista e produttore. Scrive periodicamente articoli e analisi critiche su politica e societa’ in diversi giornali e settimanali egiziani.

  • L’Egitto in taxi

    LA NUOVA ECOLOGIA – 18/09/2008
    di Barbara Lomonaco

    «Per anni ho percorso tutte le strade e i vicoli del Cairo dall’interno di un taxi. Ho una passione per le conversazioni con i tassisti». Da questa passione, lo scrittore egiziano Khaled Al Khamissi ha tratto un libro, Taxi, edito in Italia da Il Sirente, che nel suo paese d’origine è diventato un best seller: 35000 copie vendute dove 3000 sono già un successo. Nel libro, le parole dei tassisti percorrono le strade cittadine svelando sogni, speranze, affanni e rassegnazioni quotidiane. Voci del trambusto metropolitano rimbalzano sui temi caldi nell’Egitto di Mubarak. Regalano un punto di vista su una società che combatte l’indifferenza delle istituzioni con un misto tra saggezza popolare e lucide analisi politiche. E non manca qualche notazione sull’ambiente.

    A metà degli anni novanta il governo egiziano emanò una legge che consentiva la conversione di tutte le vecchie auto in taxi e alle banche di finanziarne l’acquisto. Quindici anni più tardi, 80mila tassisti guidano anche per 20 ore al giorno trasportando milioni di uomini disposti a conversare, lontani dalle censure di stato, di tutto. Dalla politica all’ambiente: «Mandarono in giro della gente che misurava l’inquinamento delle marmitte […] Alla fine non riuscirono a fare niente. […] Da quel giorno per strada trovi taxi a palate»; dalle barzellette alle confidenze: «Una mia amica mi ha fatto un contratto falso in un ospedale di Ataba e la mia famiglia mi crede donna delle pulizie laggiù…»; dagli affari di cuore a quelli di stato: «Chi non è andato in galera con Nasser, non ci andrà mai; e chi non si è arricchito con Sadat, non si arricchirà mai. Mentre chi non è diventato un pezzente con Mubarak, non lo diventerà mai». Non manca nulla nelle pagine di Taxi, neppure lo spazio per il divertimento, le barzellette e il buon umore.

    Percorrendo a rilento le vie di una metropoli di  quasi 8milioni di abitanti, le idee dei tassisti di Al Khamissi dipingono un colorato quadro a pennellate rapide su un mondo fuori dai luoghi comuni. Nelle loro analisi si ritrovano buonsenso e trasparenza talvolta superiori a quelle di tanti «commentatori politici che riempiono di chiacchiere il mondo. Perché –le parole sono dello stesso autore- la cultura di questo popolo si rivela nelle sue anime più semplici».

  • K. A. Khamissi – Taxi

    CREMONA ONLINE 15/09/2008

    Taxi è la sorpresa della letteratura egiziana di quest’anno, un best-seller ristampato 7 volte nell’arco di un anno con oltre 35.000 copie vendute in un paese in cui 3000 copie sono considerate un successo. L’autore è in Italia, dove domani partecipa alla rassegna Porto Mediterraneo Festivalalguer (Alghero, Sardegna). Al Khamaissi ci fa compiere un viaggio che ci rivela umori, idee, ribellioni della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti del Cairo cui da voce sono amabili cantastorie che con disinvoltura conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni. Sono 58 storie brevi che l’autore ha collezionato conversando con i tassisti della megalopoli egiziana tra il 2005 e il 2006. Può sembrare la rivolta delle auto bianche che ha segnato Roma l’anno scorso, ma è tutt’altra cosa. Il diluvio di parole che troviamo riportato nel libro sommerge il lettore regalandogli nuove e inaspettate prospettive da cui guardare quella realtà, grazie a quella che possiamo considerare le voci dell’uomo della strada, che in modo diretto e chiaro esprimono i suoi timori, dubbi, pareri e critiche sul piano politico, economico e sociale, a proposito del suo paese e del mondo arabo in generale. Con una forza che rende comunque il discorso esemplare anche sul piano esistenziale, della lotta quotidiana per la vita e la sopravvivenza. Al Khamissi è un artista poliedrico, nato nel 1962 si è laureato in Scienze politiche alla Sorbona di Parigi. Ha lavorato per l’Istituto Egiziano per gli studi sociali. Ha scritto sceneggiature per vari film egiziani quali Karnak, Iside a Philae, Giza e altri. È anche regista e produttore. Scrive periodicamente articoli e analisi critiche su politica e società in diversi giornali e settimanali egiziani.

  • Khaled al Kamis: I taxi del Cairo in giro per l’Italia

    BABELMED – 11/09/2008
    di Alessandro Rivera Magos

    Dov’è, in Egitto, che si può ascoltare più liberamente un discorso contro lo stato di povertà e corruzione in cui il regime di Hosni Mubarak costringe gran parte della popolazione? Di sicuro non nelle piazze o nelle strade della sua capitale, dove negli ultimi anni la polizia ha represso con ferocia diverse manifestazioni di protesta.
    Dove si concentrano le moltissime voci dell’esausta società egiziana? Certo si potrebbe pensare ai diversi blog che negli ultimi anni sono diventati un fenomeno di dissenso concreto nella rete egiziana. Tuttavia c’è da dire, la voce dei blogger potrebbe non giungere a quelle fasce di popolazione troppo povere o indaffarate nel caos del paese per accedere ad internet.
    In fine, dove trovare analisi abbastanza complesse e studiate da riassumere le molte cause della malattia cronica in cui versa la terra dei faraoni?
    Khaled al-Kamissi, giornalista e scrittore cairota classe ’62, sembra essere riuscito a trovare il luogo che addensa le risposte a tutte queste domande: i taxi del Cairo!
    Da vero conoscitore della realtà cittadina, per un anno, da Aprile del 2005 a Marzo 2006, Kamissi prende normalmente i taxi della metropoli egiziana, ma annotando racconti, monologhi, sfoghi o semplici barzellette che i tassisti gli riversano a ruota libera. Il risultato è un libro, “Taxi” appunto, che in Egitto spopola e che, tradotto in italiano, da questo autunno si prepara a girare anche il nostro paese (www.sirente.it).
    Quello che viene fuori da queste conversazioni non è un semplice spaccato della società egiziana ma, soprattutto, un termometro dell’insofferenza al regime di Stato, ai soprusi quotidiani della polizia, alle ingiustizie che coinvolgono i molti paesi dell’area medio-orientale (e le loro popolazioni) e in cui gli egiziani si sentono coinvolti.
    Barzellette che prendono di mira il Presidente, storie di ordinario sfruttamento, di povertà e riflessioni a volte molto sottili sulla politica internazionale. Un agglomerato caotico di voci, che lo scrittore non ha voluto ordinare, ma semplicemente trasporre in maniera discontinua e sparsa in 58 incontri con altrettanti tassisti. Come dire: Il Cairo!
    Il libro, uscito nel gennaio 2007 in Egitto, è arrivato alla sua terza ristampa in pochi mesi e ha raggiunto il numero di 35000 copie vendute. Un caso letterario in un paese in cui le 3000 copie vogliono dire un successo editoriale.
    La scelta di dare voce alla società egiziana attraverso una categoria così particolare come i tassisti non è casuale e per molti versi è quella di un sociologo attento e di un cairota doc.
    Questa categoria di lavoratori, in Egitto, ha infatti la particolarità di essere assolutamente trasversale alla società. Il tassista che può venire a prendervi a Nasr City per portarvi fino a Mohandissine, potrebbe essere un semi-analfabeta, come un professore di storia o un fisico:

    “Con una legge emanata nella seconda metà degli anni ’90, il governo ha consentito la conversione di tutte le vecchie auto in taxi, insieme all’ingresso delle banche nel mercato dei finanziamenti di auto pubbliche e private. In questo modo, folle di disoccupati si sono riversate nella classe dei tassisti, entrando in una spirale di sofferenza mossa dalla corsa al pagamento delle rate bancarie; dove lo sforzo atroce di quei dannati si trasforma in ulteriore guadagno per banche, aziende automobilistiche e importatori di pezzi di ricambio. Di conseguenza diventa possibile trovare tassisti con ogni tipo di competenza e livello d’istruzione”. (“Taxi”)

    Così, i discorsi in cui ci si imbatte nelle auto gialle del Cairo possono essere delle invettive di pancia contro polizia e governo, o piuttosto delle lucide analisi sul disequilibrio della politica internazionale.
    Inoltre i tassisti rappresentano direttamente la parte più povera della società egiziana, quella più esposta alle conseguenze di malgoverno e corruzione. Chiusi nei taxi anche per 72 ore di fila, nel tentativo di riuscire a sbarcare il lunario, o sottoposti alle angherie gratuite di uno dei corpi di polizia più corrotti del mondo, che quotidianamente li umilia, li deruba e li sfrutta come fa con il resto della popolazione, pagano costi altissimi per un lavoro che è tutt’altro che remunerativo.
    Per adesso il libro e l’autore, stranamente, non hanno ricevuto alcuna pressione o minaccia da parte del regime e della polizia. Di solito molto duri e vigili nel censurare e colpire le voci critiche e di dissenso. Come ben sanno molti altri scrittori egiziani!
    Eppure secondo molti questo libro contiene una delle analisi più complete fatta sul Cairo in questi ultimi anni. Ed è un’analisi fatta dalla gente del Cairo, un microfono piazzato nel cuore dinamico di questa grande capitale, che non a caso gira in automobile, in una delle metropoli più inquinate del mondo!
    Forse anche questo è un po’ un simbolo del malcontento del paese, che si lamenta e ironizza senza avere la forza, per adesso, di uscire dal taxi per ribellarsi.
    In conclusione, Khamissi domanda al più anziano tra i tassisti incontrati, che lavora da 48 anni, la morale di una vita passata in un taxi egiziano, risponde: “Una formica nera su una roccia nera in una notte buia Allah l’aiuta… “ Appunto…!

  • C’erano una volta i taxi del Cairo

    L’OPINIONE – 13/09/2008 – n. 192
    di Maria Antonietta Fontana

    Il tassista è sicuramente un personaggio pittoresco, su cui tanta “letteratura” tradizionalmente si è fatta inevitabilmente, sia come oggetto di storie che come soggetto. E questo vale per tutto il mondo, senza eccezioni. Recentemente mi sono accorta che esistono perfino blog dedicati a questa categoria (internet non poteva certo mancare all’appello). Ebbene, nella giornata di oggi 13 settembre, in occasione della rassegna Porto Mediterraneo Festivalalguer ad Alghero viene presentato in Italia alla presenza dell’autore il libro “Taxi” di Khaled Al Khamissi, nella traduzione a cura della casa editrice “Il Sirente”, che – dopo avere dato attenzione ad alcuni casi letterari del panorama francofono canadese – si concentra ora sulla cultura araba contemporanea cui dedica una nuova collana di cui “Taxi” costituisce il primo volume. Ed infatti è già in programma entro la fine dell’anno anche l’uscita della traduzione italiana di “L’amore ai tempi del petrolio” di Nawal El Saadawi. Ma torniamo a “Taxi”. Nelle intenzioni dell’autore il libro è una rappresentazione della vita reale fotografata attraverso le parole della gente comune. Quindi, il tassista come fonte di storie: e di sicuro da raccontare ce n’è davvero!
    Si tratta di un’opera prima, pubblicata in Egitto in lingua araba nel dicembre 2006, che è diventata immediatamente un best seller, al punto di essere già stata ristampata 7 volte. È appunto una rappresentazione della vita quotidiana di oggi al Cairo, raccontata attraverso gli occhi dei tassisti. Ne emerge un ritratto vivace, polemico, talvolta graffiante, in cui la società egiziana è dipinta per quel che è, e soprattutto per come viene percepita dalla gente comune: sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica si susseguono in un fiume di parole che rievocano suoni, colori, odori, speranze, delusioni, ma che non sono mai finzione né retorica. Al Khamissi si cimenta per la prima volta con la narrativa, ma è un intellettuale ben noto al di fuori del proprio Paese, come autore di sceneggiature cinematografiche di successo e giornalista, oltre che produttore televisivo e cinematografico. Citiamo dall’introduzione del libro ad opera dell’autore stesso: “Amo le storie dei tassisti perché rappresentano a pieno diritto un termometro dell’umore delle indomabili strade egiziane. In questo libro vi sono alcune storie che ho vissuto e ascoltato, tra l’aprile del 2005 e il marzo del 2006.
    Parlo di alcune storie, e non di tutte, perché diversi amici avvocati mi hanno detto che la loro pubblicazione sarebbe bastata a farmi sbattere in galera con l’accusa di calunnia e diffamazione; e che la pubblicazione di certi nomi contenuti in determinate storie e barzellette, di cui sono pieni gli occhi e le orecchie delle strade egiziane, è un affare pericoloso…”Non vogliamo togliere il gusto ai lettori di addentrarsi in questa scoppiettante raccolta: desideriamo soltanto segnalare che l’humour che pervade l’opera è veramente intenso e particolare, e costituisce un ulteriore motivo di fascino di quest’opera. Durante il prossimo mese di dicembre avremo modo di incontrare personalmente Al Khamissi a Roma, in quanto sarà impegnato in una serie di incontri per presentare il volume, anche all’Università la Sapienza ed all’Università di RomaTre, oltre che alla Fiera del Libro di Roma ed in altre sedi ancora.

  • Ernesto Pagano

    Nato a Napoli, Ernesto Pagano è autore di traduzioni dall’arabo, tra cui recentemente il libro Le Storie di Abu, fiabe popolari egiziane in italiano e arabo illustrate da Rosalba Suelzu, per Angelica editore. Attualmente scrive d’Egitto, di Islam e di Medio Oriente in varie testate cartacee e online.

  • Khaled Al Khamissi

    Giornalista, regista e produttore oltre che scrittore, Khaled è nato al Cairo nel novembre del 1962. Figlio d’arte, Al Khamissi è un artista poliedrico, si è laureato in Scienze politiche alla Sorbona di Parigi. Ha lavorato per l’Istituto Egiziano per gli studi sociali. Ha scritto sceneggiature per vari film egiziani quali Karnak, Iside a Philae, Giza e altri. Scrive periodicamente articoli e analisi critiche su politica e società in diversi giornali e settimanali egiziani.

  • Piccole storie dal mondo degli umili

    INTERNAZIONALE – 5/11 settembre 2008 – n. 760
    di Patrice Claude

    I suoi racconti sui tassisti del Cairo sono un pretesto per parlare della povertà nella società egiziana.

    Alcuni dicono che Khaled Al Khamissi si è autocensurato. Gli ottantamila tassisti del Cairo sono più volgari di come li descrive: adorano parlare di sesso, droga, soldi e degli imbrogli che fanno.
    Al Khamissi nega. E nell’introduzione precisa: Taxi (Dar el Shorouk 2007) raccolgie 58 storie tragiche. Storie che ha sentito nel corso dei suoi spostamenti quotidiani nella metropoli
    Anche se questo libro è vivamente consigliato ai milioni di stranieri che vengono ogni estate ad abbronzarsi al sole egiziano, Taxi non è un vademecum per turisti in cerca di buoni consigli. Anzi, dopo aver letto queste 220 pagine scritte “in dieci giorni” è probabile che il turista si senta in colpa per aver trattato sul prezzo chiesto dal tassista. Dopo la lettura di Taxi il visitatore avrò imparato molte cose sulla vita quotidiana degli egiziani, sulle loro frustrazioni, sulle loro piccole e grandi miserie, sul disprezzo quasi generale delle istituzioni e, soprattutto, sulla loro mancanza di prospettive.
    Nella società egiziana, incatenata da un’efficiente censura di stato, il taxi è diventato uno degli ultimi spazi di discussione più o meno libri. I tassisti sono vere e proprie bestie da soma, capaci di lavorare fino a 18 ore al giorno al volante dei loro ferrivecchi, nell’inquinamento soffocante del Cairo, nel caldo afoso dell’estate, nell’assordante frastuono quotidiano. Tra loro ci sono sognatori, fanatici, misogini, maniaci sessuali, mistici, attori, professori, universitari disoccupati, speculatori rovinati, immigrati, filosofi senza diploma, sociologi ignoranti, bugiardi patentati e truffatori. Nel libro sono tutti presenti. Ma Taxi non è un libro sui taxi. “Non ho fatto un lavoro da giornalista, ma da scrittore”, spiega Al Khamissi. Proprio perché la loro occupazione “non è più un mestiere, ma solo un modo per sbarcare il lunario, i miei tassisti sono diventati il pretesto per dire delle cose sulle classi povere dell’Egitto”.

    Brezza rinfrescante
    Secondo Galal Amin, economista e sociologo dell’università americana del Cairo, Taxi è “un lavoro innovativo, che descrive un quadro estremamente veritiero della societò egiziana di oggi”. Di recente un giornale statunitense lo ha paragonato a “una brezza rinfrescante in una giornata molto calda”. Baheyya, autore di un blog anonimo ma molto seguito dagli egiziani più ricchi che possono permettersi un computer, lo considera “una cronaca toccante della lotta titanica per la sopravvivenza” in Egitto.
    In effetti quando si finisce di leggere questo libro si capiscono molte cose sull’Egitto contemporaneo.È un miracolo della buona letteratura: 58 scenette tratte dal magma umano del Cairo sono più istruttive di interminabili conferenze o di intere biblioteche di sociologia, antropologia ed etnologia.
    La magia di Taxi in questa atmosfera leggera ma al tempo stesso molto reale. In un paese alfabetizzato in teoria al 70 per cento ma dove un best seller non vende più di cinquemila copie, Dar el Shorouk, il fortunato editore egiziano di Al Khamissi, ha già venduto in un anno e mezzo 75mila cioue della versione in arabo. E il libro continua a vendere.
    Nel suo saggio intitolato “perché il mondo arabo non è libero”, il più autorevole psicoanalista egiziano, Mustafà Safuan, scrive che una delle ragioni del divario tra i popoli arabi e le loro élite intellettuali è che queste ultime non sono disposte a scrivere nella lingua popolare della strada e quasi sempre preferiscono l’arabo classico, inaccessibile alle masse.
    Al Khamissi proviene da una famiglia ricca e famosa: suo padre, Abel Rahman Al Khamissi, era un noto poeta, sua madre una celebre attrice, i suoi zii, fratellastri e sorelle lavoravano nel mondo dell’editoria e del giornalismo. Ma Khaled Al Khamissi, conferenziere, sceneggiatore, regista, produttore di film e documentari, ha saputo evitare i difetti degli intellettuali. I suoi taxi parlano come nella vita reale. Questo ex studente di 45 anni è tornato in patria dopo aver ottenuto un dottorato in scienze politiche negli anni ottanta alla Sorbona di Parigi.
    La versione inglese del libro non riesce a rendere bene il linguaggio crudo usato nelle strade del Cairo. E probabilmente anche le traduzioni in corso in tedesco, olandese, italiano, greco e sloveno incontreranno le stesse difficoltà. Ma il punto fondamentale non è questo. La cosa più importante per l’autore, che ha già cominciato il suo terzo romanzo (il secondo uscirà a novembre), è parlare delle realtà che agitano il paese.
    Laico tollerante e di ispirazione socialista, Al Khamissi ne è certo: “La rivolta è inevitabile, i più poveri non ce la fanno più”.

  • Apre i battenti Festivalguer

    Sardegna Oggi — 10 settembre 2008

    Al Festivalguer PortoMediterraneo di Alghero è tutto pronto per accogliere da venerdì 12 a domenica 14 settembre la musica, la poesia, la letteratura, l’artigianato, la gastronomia, dei popoli che attraversano il Mare Nostrum. La città catalana si appresta ad ospitare una intensa tre giorni dedicata all’arte e alla cultura mediterranea, declinata in tutte le sue componenti: incontri, idee, tradizioni dal mondo. Un pot-pourri di suoni, colori, odori, sapori, profumi e atmosfere nei quali assaporare la magia delle melodie arabe, spagnole, sarde, francesi, o elaborare mescolanze e idee nuove senza tradire radici e storia, davanti al mare, tra i profumi della brezza marina mediterranea.

    ALGHERO – Ogni giorno appuntamenti di letteratura, cultura del cibo dai sapori mediterranei, incontri con scrittori nazionali ed internazionali di grande levatura. Un nuovo percorso tracciato nel cuore di Alghero, tra il Molo Dogana nel porto vecchio e il Teatro del Forte della Maddalena: gli scorci tra i più suggestivi della città appositamente allestiti per accogliere la manifestazione, dove si incontrano le testimonianze di una fervida specificità mediterranea. E’ la grande novità di questa edizione del Festivalguer, che si candida con sempre maggior successo a divenire volano promozionale per le politiche di sviluppo turistico non solo di Alghero ma dell’intero Nord Sardegna, aspirando a caratterizzare sempre l’antica città come porta del Mediterraneo e bacino d’incontro dove possano intrecciarsi i fili diversi di una comune identità mediterranea.

    Artisti d’eccezione italiani e internazionali che lavorano sulle musiche del mediterraneo, frutto di incroci e contaminazioni tra i generi musicali provenienti dal mare: al Teatro Forte della Maddalena venerdì 12 settembre alle 21,30 Diego El Cigala (Spagna), la voce flamenco più importante del momento accompagnato dal leggendario pianista cubano Bebo Valdes; il giorno dopo, sabato, S’Ard (Sardegna), il progetto originale di Mauro Palmas con i suoni della Sardegna e del suo affiatato gruppo (Marcello Peghin – chitarra, Riccardo Leone – piano, Silvano Lobina – basso, Andrea Ruggeri – batteria, Mirko Maistro – fisarmonica) che incrociano le note del Mediterraneo e in questa occasione quelle speciali di Lino Cannavacciuolo, Antonello Salis, Gavino Murgia, Patrizia Laquidara, Tenores di Orosei e Claudia Crabuzza, voce della band sarda, Chichimeca; domenica 14 settembre chiude i battenti della prima edizione del Festival PortoMediterraneo Yasmin Levy (Israele), voce soprano vibrante e intensa, tra le interpreti più importanti del Mediterraneo. Ogni sera invece al Molo Dogana dalle ore 23.30 (ingresso libero) si potrà ballare con il concerto dal vivo dei Fufu-Ai (Francia-Spagna) e l’irresistibile patchanka di suoni, colori, stili, lingue, musiche e tradizioni guidate dalla sensualità di Anouk, voce della band. Con loro sul palco anche un musicista sardo in veste di ospite: Mario Brai, il cantante-violinista di Carloforte che da oltre vent’anni percorre la strade musicali del Mediterraneo ispirandosi alle straordinarie influenze sonore turche, arabe e sarde per comporre i suoi brani caratterizzati soprattutto dall’uso della lingua tabarkina.

    Ogni sera appuntamenti di letteratura, cultura del cibo e squisitezze mediterranee, incontri, dibattiti e presentazioni con scrittori sardi, egiziani, africani, di alto profilo. Il contesto ideale per meditare e discutere insieme agli autori sulle tematiche che caratterizzano il Mediterraneo, le differenze e le analogie di culture apparentemente lontane, ma in realtà molto vicine, per certi aspetti. Una suggestiva mostra fotografica con gli scatti mediterranei di Massimiliano Caria, Giampaolo Cotogno, Gianni Monti e Gigi Olivari, farà da scenografia nello spazio dedicato agli incontri di letteratura. Un percorso sull’identità culturale e artistica del mediterraneo attraverso un itinerario visivo composto da fotogrammi esemplari di volti, paesaggi, oggetti, mestieri, colori. Sintesi del mondo che si affaccia sul nostro mare, secondo personali punti di vista.

    Si parte Venerdì 12 settembre alle ore 19.00 con la presentazione del libro Fertilia (edizioni Novecento) con l’autore Eugenio Cocco, l’editore Massimiliano Vittori, Giorgio Pellegrini e il sindaco di Alghero, Marco Tedde. Uno sguardo speciale su Fertilia, una metafisica terrazza sul mediterraneo. Architettura, storia e rilancio di una borgata. Alle 21 verrà presentato il libro Viaggio in Sardegna di Michela Murgia, edizioni Einaudi. L’autrice dialoga con Gianfranco Capitta. Undici percorsi nell’isola che non si vede, una guida narrativa per perdersi in Sardegna inserito nella collana Geografie. Sabato 13 sempre alle 19.00 la presentazione del libro Le Storie di Abu, fiabe popolari egiziane in italiano e arabo illustrate da Rosalba Suelzu, Angelica editore. Rosalba Suelzu, Rossana Copez, Tonino Oppes, Franco Fresi animano un incontro-dibattito in cui si confrontano la letteratura per l’infanzia nel bacino del Mediterraneo e quella sarda. Seguirà una lettura teatrale del testo con l’attore Gianluca Medas. Alle ore 21,00 un evento di lancio in anteprima nazionale: sarà presentato il libro Taxi di Khaled el Khamissi, edizioni Il Sirente. Prima opera dello scrittore, giornalista, regista e produttore egiziano, è diventato un best-seller in Egitto, forte di ben sette ristampe in un solo anno. Domenica 14 settembre alle 19,00 ci sarà la presentazione del libro Tutti buoni arriva Mommotti di Rossana Copez e Tonino Oppes, edizioni Condaghes. Interverranno gli autori. Con il passare dei secoli l’orco cattivo è diventato Su Mommotti, l’Uomo Nero. Le storie, le leggende e le origini di questo strano demone nell’immaginario collettivo da secoli nella tradizione sarda. Alle ore 21,00 seguiranno altre due presentazioni alle quali interverranno gli autori: la prima, del libro Onda sigillata: acqua vita e parola di Yarona Pinhas, edizioni la Giuntina. Mater Mediterranea. Acqua e Dee madri, suggestioni mistiche e interpretazioni nella Torà e nell’anima mediterranea, sulle tracce delle radici comuni di popoli e religioni. Subito dopo verrà presentato il libro: La donna delle sette fonti di Diego Manca, edizioni Condaghes. Diego Manca, poeta e scrittore, è anche autore del romanzo ancora inedito, Cuore d’Europa, dedicato allo spirito del nostro continente: l’Europa. L’incontro sarà coordinato da Costantino Cossu.

    Alghero sarà anche meta di turismo alimentare: tre piatti del giorno per tre serate di grande cucina. In uno scenario fantastico ed elegante da Mille e una notte allestito in un angolo speciale del Molo Dogana, ogni sera per un numero massimo di centocinquanta persone Giovanni Fancello, uno dei migliori cuochi del Mediterraneo, appassionato e studioso di cultura del cibo, proporrà ai presenti una degustazione guidata e gratuita di un piatto mediterraneo per giornata alle ore 20.00. Si parte il 12 settembre con le Impanadas cun angelottos, il 13 con Ghisadu (stufato) e infine il 14 settembre con Ciciones cun regottu mustiu e buttariga. Piatti prelibati interpretati dalla grande creatività del cuoco esperto, da lui raccontati in una conferenza prima dell’assaggio, attraverso nozioni di cultura alimentare. Il nutrimento come necessità, ma anche sapore, cultura, comunicazione, economia. I piatti di Giovanni Fancello saranno accompagnati dai vini pregiati delle cantine Sella & Mosca e dal liquore di mirto Zedda Piras. Entusiasta investigatore dell’origine degli alimenti, Giovanni Fancello ne racconta il percorso storico e leggendario per poi ricostruirne il destino culinario. Per il Porto Mediterraneo si avvale della collaborazione dei suoi talentuosi maestri di cucina Stefano Resmini, Stefano Pinna, Guido Beltrami, Gina e Tattana Fancello.

    La cultura materiale, saperi antichi che le mani degli artigiani trasferiscono alla materia e, nella rinnovata sfida tra design e tradizione, creano prodotti che parlano della terra e dei popoli. La mostra mercato dell’artigianato artistico che Alghero, con l’evocativo nome di Casbah ospita sul molo Dogana: oltre 1000 aziende artigiane associate che rappresentano una delle realtà più consistenti del meridione d’Italia.

  • Alghero, nasce un festival dei popoli

    Alghero, nasce un festival dei popoli

    | La Nuova Sardegna | Giovedì, 31 luglio 2008 |

    Da tempo non solcano le sue acque le triremi dell’impero romano che lo aveva unito sotto un unico cielo, ma il Mediterraneo continua a legare la vita dei tanti paesi che si trovano sulle sue rive, unite dalle onde dello stesso mare, culla delle più antiche civiltà, e dalla cultura. Cultura mediterranea che, declinata nelle sue componenti di musica, poesia, letteratura, artigianato, gastronomia, sbarca ad Alghero con «Porto Mediterraneo», il nuovo festival dei popoli che attraversano il Mare Nostrum inserito nel grande contenitore del Festivalguer. Dal 12 al 14 settembre, tre giorni di incontri, di tradizioni, di musica tra il Molo Dogana e il teatro del Forte della Maddalena. L’iniziativa è stata presentata ieri nelle sale del Comune dal sindaco Marco Tedde, dall’assessore al Turismo Mario Conoci e Massimo Palmas di Sardegna Concerti (tra gli organizzatori), fiduciosi che l’evento possa diventare un nuovo appuntamento fisso dell’estate algherese, «per allungare la stagione turistica – ha spiegato il sindaco – e caratterizzare sempre più la città come porta del Mediterraneo e bacino d’incontro dove possono intrecciarsi rapporti con le altre comunità del nostro mare».  Il Forte della Maddalena ospiterà artisti che lavorano sulle musiche del Mediterraneo: il 12 settembre alle 21.30 Diego El Cigala, spagnolo, voce del flamenco più importante del momento accompagnato dal pianista cubano Bebo Valdes, il giorno dopo S’Ard il progetto di Mauro Palmas con i suoni della Sardegna che incrociano in questa occasione le note di Lino Cannavacciuolo, Patrizia Laquidara e Claudia Crabuzza, algherese voce dei Chichimeca. Il 13 settembre toccherà alla israeliana Yasmin Levy. Ogni sera, inoltre, al Molo Dogana dalla 23.30, si potrà ballare con il concerto dal vivo dei Fufu-Ai, gruppo franco-spagnolo. Con loro sul palco anche un musicista sardo, il cantante-violinista Mario Brai che si ispira alle influenze sonore turche, arabe e sarde per comporre i suoi brani caratterizzati dall’uso della lingua tabarkina. Doppio appuntamento ogni sera, alle 19 e alle 21 al Molo Dogana, con la letteratura. Si parte venerdì 12 settembre con la presentazione del libro «Fertilia» (edizioni Novecento) con l’autore Eugenio Cocco. Uno sguardo speciale sull’architettura e la storia della borgata. A seguire «Viaggio in Sardegna» di Michela Murgia (edizioni Einaudi) che dialogherà con Gianfranco Capitta. Sabato 13 presentazione del libro «Le storie di Abu», fiabe popolari egiziane in italiano e arabo illustrate da Rosalba Suelzu. La stessa sera, alle 21, in anteprima nazionale «Taxi» dell’egiziano Khaled el Khamissi, diventato un best-seller in Egitto. L’ultima sera si parlerà invece, alle 19 con gli autori, di «Tutti buoni arriva Mommotti» di Rossana Copez e Tonino Oppes e, a seguire, del libro «Onda sigillata: acqua, vita e parola» di Yarona Pinhas, israeliana nata in Eritrea, studiosa delle tematiche al femminile della tradizione ebraica. Subito dopo chiuderà gli appuntamenti la presentazione del volume di Diego Manca «La donna delle sette fonti». Una mostra fotografica con gli scatti mediterranei di Massimiliano Caria, Giampaolo Catogno, Gianni Monti e Gigi Olivari, farà da scenografia nello spazio dedicato agli incontri con gli scrittori. Accanto alla musica e alla letteratura ci sarà spazio anche per la gastronomia, con i sapori del Mediterraneo: tre piatti del giorno per tre serate, dalle 20. Non mancherà inoltre l’artigianato, con una mostra aperta tutto il giorno allestita in una vera propria Casbah. (f.c.)

  • Prima si andava in galera, ora in televisione

    Repubblica — 12 dicembre 2007   pagina 26   sezione: COMMENTI

    Caro Augias, questa mia lettera vuole essere una piccola «bouteille à la mer» lanciata alla memoria collettiva della società civile italiana, partendo da un episodio avvenuto parecchi anni fa, esattamente nel luglio del 1971, a Roma. So che lei ama la Francia e la cultura francese e sicuramente si ricorderà del caso di Pierre Clèmenti incarcerato per ben due anni nel carcere di Regina Coeli per un po’ di hascisc. A nulla valsero allora le testimonianze di registi come Pasolini, Bertolucci, Fellini. L’ attore che era al massimo della sua espressione artistica uscì dalla reclusione distrutto nel corpo e nell’ anima. Clementi è morto nel 1999 a soli 59 anni. La riflessione che vorrei sollevare partendo da un lontano e drammatico episodio è proprio questa: come è cambiata la società italiana in questi anni. Succede ora che se ammazzi, stupri, vendi prostituzione, spacci droga, non vai in prigione ma sei invitato ai dibattiti televisivi, diventi una vedette, peggio: un modello da seguire per le giovani generazioni in un «cannibalismo mediatico» immondo. Cosa è successo? Cathy Marchand cathymarchand@hotmail.it Già, che cosa ci è successo per passare da un estremo all’ altro? Eravamo un paese dove le guardie andavano a multare chi si baciava in macchina, siamo diventati un paese di oltraggiosa impudicizia. Morale, intendo, prima che fisica. L’ andamento, almeno in parte, è generale. Natasha Kampush, la ragazza austriaca tenuta prigioniera per anni da Wolfgang Priklopil, oggi diciannovenne, si mostra in pose seducenti nel suo sito web. Suo padre prende un compenso per andare in televisione a raccontare i guai suoi e della figlia. E’ la società dello spettacolo che, come sempre, colpisce di più i più fragili. Noi, per esempio. Anche se il fenomeno è stato studiato, forse non si sono ancora valutate tutte le conseguenze della pessima pedagogia che il piccolo schermo impartisce. Scusandomi con chi legge vorrei citare un caso che conosco di persona e che mi pare esemplare. Quando vent’ anni fa Raitre di Angelo Guglielmi decise di mettere in onda “Telefono giallo”, la consegna obbligatoria era che si trattasse di casi chiusi, delitti (privati e pubblici) sì irrisolti, ma archiviati. Nella Rai di allora non si riteneva lecito discutere e sviscerare casi nei quali le indagini erano ancora ai primi passi date le conoscenze di necessità incomplete che il giornalismo ha. Oggi, come sappiamo, questa regola non vale più. Del resto non c’ è più nemmeno la vergogna di non sapere, sostituita dalla sfrontatezza, il ritegno sulle personali miserie che vengono anzi sbandierate perché fanno ridere; gente anche di nome è disposta a farsi inondare di panna o di acqua colorata pur di stare qualche minuto davanti a una telecamera; non vale nemmeno la pena di citare ciò che è emerso con Vallettopoli. Eravamo un paese arretrato e bigotto quando il povero Clèmenti finiva in galera per qualche grammo di fumo; forse non siamo capaci di essere altro. – CORRADO AUGIAS c.augias@repubblica.it
  • Khaled Al Khamissi in Italia il 13 settembre 2008

    Khaled Al Khamissi in Italia il 13 settembre 2008

    COMUNICATO STAMPA.pdf

    Il caso editoriale egiziano ora in Italia. L’autore presenterà il libro il 13 settembre nello splendido contesto del Festivalalguer.

    Un libro dedicato «alla vita che abita nelle parole della povera gente.»

    Agenzia Promozione Editoriale Manca in collaborazione con l’Editrice il Sirente presentano “Taxi” di Khaled Al Khamissi il 13 settembre alle ore 21,30 all’interno della rassegna Porto Mediterraneo Festivalalguer (Alghero, Sardegna).

    IL LIBRO. Taxi è un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti egiziani, a cui da voce il promettente Khaled Al Khamissi, sono degli amabili cantastorie che con disinvoltura conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni. «“Taxi” è un articolata e divertente critica alla società e alla politica egiziana» dice Mark Linz, direttore dell’Università Americana al Cairo, «è unico nel suo genere perché usa una buona dose di humor per trattare argomenti a cui solitamente gli egiziani riservano un’estrema serietà.»

    Primo libro di Khaled Al Khamissi “Taxi” in Egitto è diventato un best-seller, ristampato 7 volte nell’arco di un anno, oltre 35.000 copie vendute in Egitto, paese in cui 3000 copie sono considerate un successo.

    58 storie brevi che l’autore ha collezionato conversando con i tassisti della megalopoli egiziana tra il 2005 e il 2006.  Il diluvio di parole che emettono gli autisti è spontaneo e disordinato e sommerge il lettore regalandogli varie prospettive da cui guardare l’Egitto. L’essere umano è alla base di questo libro, ‘l’uomo della strada’ con parole semplici e chiare esprime i suoi timori, dubbi, pareri e critiche sul piano politico, economico e sociale, dell’Egitto, ma anche del mondo arabo.

    L’AUTORE. Giornalista, regista e produttore oltre che scrittore, Khaled è nato nel novembre del 1962. Figlio d’arte, Al Khamissi è un artista poliedrico, si è laureato in Scienze politiche alla Sorbona di Parigi. Ha lavorato per l’Istituto Egiziano per gli studi sociali. Ha scritto sceneggiature per vari film egiziani quali Karnak, Iside a Philae, Giza e altri. Scrive periodicamente articoli e analisi critiche su politica e società in diversi giornali e settimanali egiziani.

    FESTIVALALGUER ‘PORTO MEDITERRANEO’. La grossa novità di quest’anno sarà una rassegna di tre giorni, dal 12 al 14 settembre, in  cui Alghero si proporrà come una capitale del Mediterraneo capace di trascendere i confini politici e geografici per svelare l’intimità di alcuni angoli profondi delle tradizioni dei popoli che si affacciano sul ‘Mare Nostrum’. Una rassegna dedicata alla cultura del mediterraneo, declinata nelle sue componenti di letteratura, musica, poesia, artigianato, gastronomia. Un pot-pourri di suoni, colori, odori, sapori, profumi e atmosfere provenienti dall’Egitto, Israele, Sardegna, Spagna, Francia, Italia.

    Il libro, in presenza dell’autore, verrà inoltre presentato presso:
    – Istituto Italiano di cultura de Il Cairo (Il Cairo, ottobre)
    – Università degli Studi di Roma La Sapienza (Roma, dicembre)
    – Università degli studi di Napoli L’Orientale (Napoli, dicembre)
    – Fiera del Libro di Roma ‘Più libri più liberi’ (Roma, dicembre)
    – Università degli studi di Roma Tre (Roma, dicembre)

    PER APPROFONDIRE:
    http://www.festivalguer.com/pub/184/show.jsp?id=199&iso=-2&is=184
    https://www.sirente.it/9788887847147/taxi-khaled-el-khamissi.html

  • Norman Nawrocki in Italia dal 16 al 30 luglio 2008

    Norman Nawrocki in Italia dal 16 al 30 luglio 2008

    BEATS, STRINGS & BRAINFOOD
    Norman Nawrocki: solo spoken word/live music show

    Dal 16 al 30 luglio 2008 Norman Nawrocki torna in Italia con un nuovo tour incandescente

    Artista, autore, musicista, cabarettista di lunga data, attivo a Montréal,Norman Nawrocki è noto al livello internazionale non solo per i suoi libri, i suoi gruppi musicali (Rhythm Activism, DaZoque!, Bakunin’s Bum, etc.), per i venti album, per i vent’anni prolifici di attività, per le sue sex comedies e le sue letture, ma anche per i suoi ipnotizzanti reading musicali.

    Norman mescola racconti brevi e poesia con una musica originale, creando sonorità d’ambiente ipnotiche e talvolta violente con il suo violino amplificato modificato, campionato, loopato. A tutto ciò aggiunge ritmi e voci preregistrate, i suoi racconti incredibili e i suoi commenti sui avvenimenti nel mondo e i sogni su come le cose potrebbero essere differenti. Il risultato sono degli attacchi sonori musicalmente avventurosi, pieni di ritmo e lirici allo stesso tempo contro le forze dell’ignoranza, dell’ingordigia, della guerra e della xenofobia.

    “Violini loopati divinamente, calde percussioni e letture dense di significati” (Urbnet); “Perspicace, incitante, istruttivo e gioioso” (Uptown, Winnipeg); “Un musicista attraente e originale” (Montreal Mirror); “A volte divertente, Nawrocki, che stimola sempre l’interesse, è descritto dal quotidiano nazionale canadese The Globe & Mail come uno showman nato che non lascia mai il suo pubblico passare una serata noiosa”.

    Sul palcoscenico, Nawrocki loopa, campiona, strimpella, tormenta il suo violino, aggiungendo un tocco della tradizionale musica da divorzio dell’Est Europa. Attore e comico esperto, recita diversi personaggi con voci differenti.

    Per il suo tour italiano del luglio 2008, Nawrocki metterà in scena alcuni estratti dal suo libro recentemente pubblicato in Italia, “L’anarchico e il diavolo fanno cabaret”, brani selezionati dai suoi ultimi due album, “Duck work” e “Letters from Poland”, e qualcosa dalla sua nuova e ancora incompleto romanzo “Cazzarola! Anarchy, Mussolini, the Roma & Italy today” (Nawrocki ne ha già messo in scena alcuni estratti al recente Montreal International Anarchist Theatre Festival).

    Le date:

    Giovedì 17 luglio, Roma, Garbatella, Casetta Rossa – ore 19,30

    Domenica 20 luglio, Corsano – ore 20,30

    PER APPROFONDIRE:

    https://www.sirente.it/9788887847116/l’anarchico-e-il-diavolo-fanno-cabaret-norman-nawrocki.html

  • Prossimo episodio di Hubert Aquin

    Prossimo episodio di Hubert Aquin

    Jean Éthier Blais
    Edizione del 13 novembre 1965

    Hubert Aquin appartiene a una nuova generazione di Canadesi francesi. Hanno studiato a Parigi dopo la guerra, si sono perduti nella grande città, hanno conosciuto, grazie ad essa, l’Europa e sono tornati in Canada, fieri di essere quel che sono, senza pregiudizi, senza complessi di inferiorità. Siamo lontani dai giovani intellettuali di oggi, pieni di complessi perché sono Canadesi francesi, che si rifiutano di andare in Francia e che reagiscono con la boria e l’incoltura. Hubert Aquin, al contrario, rappresenta la cultura tradizionale, ma assimilata, vissuta, parte integrante di cio che egli è. Hertel diceva un tempo di certi giovani che essi avevano “letto molto, digerito molto, ma assimilato poco”. Non è questo il caso di M. Hubert Aquin, il quale è, nel nostro ambiente, l’esempio stesso di un magnifico fenomeno culturale. Lo conosco da molto tempo; come fare per astrarsi allorché si tratta di parlare di lui? […] Hubert Aquin, cosa ancora più significativa, è un scrittore nato. Il suo mezzo espressivo è la scrittura. Egli potrà tentare con passione di sfuggire a questa morsa che è il vocabolario concordato, la successione delle idee e dei sentimenti, egli non vi riuscirà mai. Lui stesso lo confessa; egli ha tentato tutto, è divenuto uomo d’affari; tutto, ma invano. La scrittura era lì, ed essa gli avrebbe un giorno forzato la mano e avrebbe vinto su tutto il resto. Cosa dire dello stato della nostra società se un uomo così dotato come Hubert Aquin ha dovuto dedicarsi a dei mestieri prima di accerttare di entrare nel mondo della scrittura, come si entra in quello della religione!
    Parlerò anzitutto della poesia che si trova nell’Ultimo episodio. E’ una poesia che sorge dalla geografia mentale di un uomo civilizzato. […] Attraverso tutto il suo libro, Hubert Aquin si dà alla meditazione poetica del raccoglimento e della memoria. Non è invano che egli ha scelto di situare il suo romanzo in Svizzera; è che il lato statico del suo libro è del Quebec e, più specificamente, di Montreal (il finale sarà ambientato a Montreal), e il lato dinamico è europeo, svizzero, romancio, ed esso si situa nell’orbita di Mme de Stael e di Benjamin Constant. E’ che la Svizzera, con i suoi difetti e la lentezza che le si addebita sempre, simbolizza per noi il plesso de l’Europa; è in ultima analisi che ciò che cerca l’eroe di Hubert Aquin (che è lui stesso) allorché vuole perdersi nel cuore della foresta, in mezzo ad alberi preistorici. Questo eroe è un uomo braccato: Egli crede di essere perseguito dalle furie poliziesche, mentre è un uomo alla ricerca del suo passato. In un certo senso egli è il tipico eroe canadese-francese. Il suo dramma è il seguente: perché un uomo alla ricerca del suo passato s’immagina di tradire, di essere colpevole? Ecco la questione fondamentale, nella psicologia dei Canadesi francesi. Tutti i personaggi  del romanzo, tutti gli “uomini di qui” volano alla ricerca di quello che sono stati, nel passato immediato, nella nostra storia. Essi non trovano mai niente. Hubert Aquin diventa, grazie alla dote creatrice, il Canadese francese trascendentale poiché in H. de Heutz egli trova la sua controfigura, il suo fratello civilizzato, nel paesaggio più antico del nostro universo. Egli si trova, ma è solo per distruggersi.
    I due uomini, il Canadese francese che rifiuta se stesso, in preda alla nevrosi poliziesca, e quello che si accetta, H. de Heutz, il Canadese francese reso alla sua prima umanità, si cercano in un vasto movimento di accerchiamento, per uccidersi. Le due maschere si affrontano. Si completano. Heutz, è Aquin che conosce se stesso e, conoscendosi, si supera fino alla morte. Entrambi vogliono scomparire secondo i riti più implacabili della civilizzazione. “I due guerrieri, tesi l’uno verso l’altro in posture complementari, sono immobilizzati da una sorta di stretta crudele, duello a morte che serve da rivestimento luminoso al mobile scuro”. […] Prossimo Episodio è dedicato alla voluttà di incontrare e uccidere l’immagine ideale di se stesso. Ma come uccidere questa immagine ideale che è quella dell’agente segreto perfetto? Si ucciderà dunque la prossima volta. […]
    Prossimo Episodio vuole apparire un romanzo di avventure, di spionaggio, di morte, di arresto. Il narratore è rinchiuso in un Istituto, imprigionato animo e corpo. Racconta gli avvenimenti che, dalla Svizzera, lo hanno condotto, con il terrorismo, fino a questa prigione modello. Perché ha intrapreso questa battaglia? Fino alla fine egli sosterrà che questa lotta è giusta, che è stata condotta secondo le norme più efficaci. Il solo inconveniente è che degli sbirri hanno scovato il nostro eroe in una chiesa, vicino a un confessionale. Sottile vendetta dello Stato clericale a tendenze fasciste! Tutto, in questo mondo, è al rovescio! Nelle Chiese si arrestano le persone; esse sono circondate di macchine, pretesto di parcheggio, e la stessa macchina è diventata simbolo dell’immobilità. E’ questa la ragione per cui bisogna fuggire da questo universo che è menzogna. Hubert Aquin è un uomo che accetta che il mondo nel quale vive sia quello della letteratura. L’altro, quello in cui crediamo di muoverci, solo una brutta copia di questo universo vero. Finchè i nostri scrittori non avranno accettato questa legge fondamentale dell’Arte, essi faranno delle copie, non dei libri. Per fortuna, Aquin, infine si afferma. Non abbiamo più da cercare. Ce l’abbiamo il nostro grande scrittore. Grazie a Dio.

  • Norimberga africana

    Da Famiglia cristiana del 18/01/2004
    Originale su http://www.sanpaolo.org/fc/0403fc/0403fc54.htm

    Ruanda. Due italiani nel Tribunale internazionale di Arusha

    Norimberga africana

    Il giudice Flavia Lattanzi e l’avvocato Caldarera alla Corte dell’Onu, che giudica gli imputati del genocidio del 1994.

    Un giudice e un avvocato: ci sono due italiani che operano nel Tribunale penale internazionale per il Ruanda (Tpir), istituito dall’Onu ad Arusha (Tanzania) nel 1994 per giudicare i principali responsabili del genocidio che tra l’aprile e il giugno di quell’anno causò nel Paese africano fra 800.000 e un milione di vittime.

    Il giudice, la professoressa Flavia Lattanzi, fa parte della terna che dovrà emettere la sentenza nel processo Government 1, che riguarda ministri, politici e alti funzionari del Governo in carica durante la guerra civile e la caccia all’uomo dei tutsi e degli hutu moderati.

    L’avvocato è Giacomo Barletta Caldarera, del foro di Catania. Nei mesi scorsi ha difeso Jean-Bosco Barayagwiza in un procedimento senza precedenti. La sentenza, emessa il 3 dicembre scorso, farà discutere: si tratta della prima condanna per genocidio comminata a responsabili di mezzi d’informazione per aver incitato la popolazione ai massacri.

    Il verdetto riguarda tre ex responsabili di media estremisti ruandesi: Ferdinand Nahimana e Barayagwiza, fondatori della Radio Télévision des Milles Collines (Rtlm); e Hassan Ngeze, ex caporedattore della rivista Kangura. A nessuno di loro è stato contestato l’omicidio, ma per i messaggi di odio razziale propagandati attraverso i media, il giudice sudafricano Navethem Pillay li ha ritenuti colpevoli «di genocidio, incitamento pubblico e diretto a commettere il genocidio e crimini contro l’umanità». Ergastolo per Nahimana e Ngeze, 35 anni di carcere per Barayagwiza. Secondo il nuovo procuratore generale del Tpir, il gambiano Bubacar Jallow, d’ora in poi «chi utilizza i media per identificare un gruppo etnico in vista di distruggerlo dovrà fare i conti con la giustizia».

    «Oltre che sbagliato, temo che questo verdetto avrà conseguenze pesanti sulle libertà di stampa e di espressione», dice Caldarera, che ha concentrato gran parte della sua attività all’estero, in materia di Diritto penale internazionale, Criminologia e Diritto penitenziario. È stato, tra l’altro, segretario generale dell’Associazione internazionale di diritto penale a Parigi, da 12 anni è visiting professor alla Public security di Pechino e consulente dell’Unione europea. Dal 1998 si è iscritto all’albo speciale degli avvocati dei tribunali Onu. Così, l’anno seguente, si è trovato a difendere prima Jean-Paul Akayezu (un sindaco condannato all’ergastolo), e poi Barayagwiza.

    Quest’ultimo, tuttavia, non ha riconosciuto la legittimità del Tribunale, e quindi non ha nemmeno accettato Caldarera come avvocato d’ufficio. «Non si è mai presentato davanti ai giudici», dice. «L’ho incontrato una sola volta. I limiti difensivi sono stati enormi. Non ho potuto contare su alcun testimone».

    La linea di difesa Caldarera l’ha costruita sugli scritti del suo cliente e su documentazione ricavata dall’archivio del Tpir e da altri processi. Ne aveva chiesto l’assoluzione e ha presentato appello. La sentenza considera Barayagwiza e il collega responsabili, in quanto membri del consiglio di amministrazione della radio, «di non aver fatto nulla per impedire la diffusione di messaggi che incitavano ai massacri».

    «In Ruanda non vi fu un genocidio», sostiene Caldarera, «bensì un Governo che si è legittimamente difeso contro un aggressore esterno, cioè il gruppo armato di rifugiati tutsi responsabili della guerra civile iniziata nel 1990. Con l’attentato che il 6 aprile ’94 ha ucciso il presidente hutu Habyarimana, il Governo non è più riuscito a controllare l’ira degli hutu contro la minoranza tutsi».

    L’avvocato sostiene che il suo cliente non era responsabile della linea editoriale, ma solo dell’amministrazione della radio. «In ogni caso», aggiunge, «ciò che manca in questa sentenza è il nesso di causalità tra l’eventuale comportamento del mezzo d’informazione e gli eventi accaduti». Caldarera punta il dito sulla questione cruciale: «Nel verdetto si è escluso che il mio cliente abbia ucciso qualcuno. Se la sua colpa è di non aver impedito certe trasmissioni, il suo reato semmai è colposo. Ma dal punto di vista giuridico non esiste il genocidio colposo». Questione delicata, gravida di conseguenze giuridiche. «In effetti è una sentenza storica», conferma Flavia Lattanzi. «A Norimberga furono condannati giornalisti, ma per crimini contro l’umanità. Questa è la prima per genocidio. Sarà la Corte d’appello a confermare o no il verdetto».

    PROCEDIMENTI DA ACCELERARE

    Ora è in corso il processo contro il Governo, che annovera nella terna giudicante Flavia Lattanzi. È un altro dei dibattimenti di primo piano sui fatti del 1994. La professoressa è arrivata ad Arusha pochi mesi fa. Docente di Diritto internazionale all’Università Roma 3, è stata uno dei delegati del Governo italiano alla Corte penale permanente istituita a Roma, col compito di metterne a punto lo statuto e i regolamenti. Ora è uno dei 18 giudici ad litem, cioè aggiunti, che il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha nominato per sveltire la giustizia sui crimini ruandesi. «Era necessario accelerare i processi», dice, «ci sono imputati che attendono il giudizio da 5 o 6 anni».

    In effetti, il Tpir era stato accusato di essere una sede giudiziaria poco efficiente e dai costi spropositati. Le critiche erano venute da diversi organismi per la difesa dei diritti umani: in otto anni di attività – avevano rilevato – un’assoluzione, 17 condanne e una sessantina di detenuti sono poca cosa a fronte di un budget annuo di 88 milioni di dollari e uno staff di oltre 870 persone. L’incremento dei giudici dovrebbe consentire quell’accelerazione che sia l’Onu sia gli imputati auspicano.

  • Khaled El Khamissi, un autore itinerante

    di Pacynthe Sabri (da journalistescaire.blogspot.com, 10/12/2007)

    Uno scrittore egiziano, al ritmo dei suoi brani originali da un taxi all’altro, immerge i suoi lettori nel cuore della società contemporanea del  Cairo.

    “Scrivere è come ballare, per iniziare, bisogna  prima liberarsi e essere in armonia con se stessi. “E ‘ con queste parole che Khaled-el-Khamissi, autore di Taxi, definisce il suo rapporto con una passione che sembra trasmessa di padre in figlio. Uno scrittore, ma anche un giornalista, produttore e regista, moltiplica le sue funzioni, pur rimanendo all’ascolto delle persone alle quali si sente più vicino: coloro che lottano per guadagnarsi il pane. Nel suo libro, ha dipinto questa classe attraverso le loro parole dette  con fiducia, o con un tono di presa in giro. E il risultato è questo: un libro toccante che per il pubblico è come tabacco. Questo padre di tre figli, non ha navigato in acque tranquille prima di raggiungere ciò che egli chiama “l’esperienza più emozionante della sua vita.” Nato in una famiglia di intellettuali e scrittori, rapidamente si sentì diverso da suoi compagni, “una volta, sono stato perfino  convocato dal direttore per avere emesso un parere contrario dal mio insegnante a proposito dell’accordo di pace con Israele “, dice, sorridendo ricordandosi di questo incidente. Paradossalmente, è a causa della sua presenza alle serate letterarie organizzate dal nonno che non è riuscito a sviluppare velocemnte il coraggio di esprimersi: “che aveva di nuovo da portare rispetto alle opere dei suoi predecessori? “

    “Gli Egiziani hanno un problema di auto-censura”

    Ma è proprio la sua sensibilità esacerbata di fronte a tutto ciò che lo circonda e  l’angoscia che ha tutta l’aria di trovare sollievo solo  con la scrittura  che ha finito per vincere i suoi dubbi. Scrive per rompere le barriere e nel tentativo di deviare il riflesso di auto-censura, che secondo lui è proprio di ogni  egiziano. “sulla terra o su un altro pianeta, la paura che viviamo ci spinge a cambiare le parole che abbiamo avuto spontaneamente”, spiega. Questo francofono amante della libertà di espressione rimane riluttante di fronte la cieca adozione delle idee occidentali, alcune delle quali sono inapplicabili all’interno della società egiziana. Preferisce rimanere in questa zona grigia tra due mondi. Uno spazio dove è sicuro di muoversi in tutta libertà.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

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  • Il Cairo a strisce

    DLab | Lunedì 14 giugno 2008 | Elisa Pierandrei |

    Si intitola Metro la prima graphic novel per adulti che parla egiziano. È nata dalla matita di Magdi El Shafee, una laurea in farmacia, e una passione infinita per i fumetti, da quelli di Ugo Pratt ai lavori del suo maestro basco Golo, a Marjane Satrapi. Metro è ambientata in una metropoli in cui Il Cairo è riconoscibile attraverso i cartelloni pubblicitari, la passeggiata lungo il Nilo, le fermate della metropolitana. È in questa città frammentata e corrotta che i giovani protagonisti, Shihab e Mustafa, sono coinvolti in una rapina. Shafee ha pubblicato per una piccola casa editrice, Malamih (www.magdycomics.com), che però, assicurano i giovani egiziani, è stata uno dei primi cult per la generazione di ventenni underground che fino a pochi anni fa erano una rarità al Cairo. Il volume è in vendita alla Townhouse Gallery (thetownhousegallery.com) e in pochi altri posti in città.

  • Intervista a Gaëtan Brulotte di Sara Fredaigue

    Intervista a Gaëtan Brulotte di Sara Fredaigue

    L’auteur canadien Gaëtan Brulotte sera présent à Rome, mercredi 4 juin, pour présenter la traduction italienne de son livre l’Emprise, best seller à sa sortie en 1979. Essayiste, romancier, il revient sur les auteurs qui l’ont inspiré et la défense de la langue française

    Gaëtan Nrulotte (photo Oscar Chavez)Gaëtan Nrulotte (photo Oscar Chavez)

    L’emprise, publié en 1979 a été très bien accueilli par la critique francophone. Pourtant, il vient juste d’être traduit en italien et sera présenté mercredi 4 juin à Rome. Regrettez-vous qu’il faille près de 30 ans pour porter votre littérature au public italien ?
    C’est un certain regret, d’autant que je suis le descendant d’une famille italienne lombarde par ma mère. Ce sont les aléas de l’édition. Les éditeurs canadiens ne sont généralement pas très dynamiques pour promouvoir leurs auteurs à l’étranger. C’est dommage, car ce livre a été un best seller au Canada. Je suis donc très heureux que les lecteurs italiens puissent désormais me découvrir.

    Quels sont les auteurs italiens que vous appréciez ? Avez-vous des auteurs français fétiches ?
    J’aime beaucoup Calvino. J’ai pratiquement tout lu de lui en traduction française. Je m’en sens très proche. J’aime particulièrement ces nouvelles ainsi que celles de Buzzati. J’aime particulièrement l’ironie chez Calvino et l’absurde social chez Buzzati. J’apprécie leur volonté de transformer les formes narratives reçues, leurs nouvelles façons de raconter des histoires. J’aime également lire les oeuvres de Pavese, Camon et Umberto Eco.
    En ce qui concerne les auteurs français, la critique m’a souvent rapproché de Beckett. Je reconnais que j’ai subi son influence. Néanmoins, en littérature française, c’est surtout les classiques qui m’ont marqué. Proust est mon auteur favori. Je trouve un peu déprimante la littérature actuelle. J’ai d’ailleurs écrit un essai sur la littérature française contemporaine Les cahiers de Limentinus. Lectures fin de siècle.

    Vous êtes très engagé dans la Francophonie, en quoi la défense de la langue française vous paraît importante ?
    C’est ma langue maternelle. Bien que j’enseigne aux Etats-Unis depuis 25 ans, je continue néanmoins d’écrire en français et d’enseigner dans cette langue quand je le peux. La défense de la langue française est un combat intéressant car c’est celui de la diversité culturelle, de la palette du monde. La francophonie permet de conserver les couleurs du monde. En France, on constate de plus en plus d’anglicisme dans les mots. C’est désespérant. Là–dessus les Québécois font plus d’efforts. Les Français importent trop facilement l’anglais. En France, on ne sent pas la menace.
    Propos recueillis par Sara Fredaigue. (www.lepetitjournal.com – Rome) mardi 3 juin 2008.

    Québécois d’origine, Gaëtan Brulotte partage son temps entre le Canada, la France et les Etats-Unis où il enseigne. Auteur aux multiples talents, il a publié une douzaine de romans, essais, nouvelles et pièces de théâtre. Son premier roman “L’Emprise” a été salué par la critique à sa sortie. Il est également l’auteur de la première étude d’ensemble sur la littérature érotique (Oeuvres de chair. Figures du discours érotique). Il a reçu tout au long de sa carrière différents prix littéraires.

    Pour en savoir plus : www.gbrulotte.com

    Mercredi 4 juin, au Baffo della Gioconda (Via degli Aurunci, 40 – S. Lorenzo), à 19h, l’éditeur Sirente et le conseil des Arts du Canada vous invitent à la présentation du livre de Gaëtan Brulotte l’Emprise à l’occasion de sa sortie en italien Doppia esposizione (ed. Sirente) en présence de l’auteur. Pour plus d’informations : doppia-esposizione-gaetan-brulotte.pdf

  • Taxi è più o meno una finzione giornalistica

    ISBN 9788887847147 © il Sirente da Complete Reviews

    Taxi è più o meno una finzione giornalistica, così Khaled Al Khamissi ci presenta i cinquantotto incontri con i tassisti del Cairo. C’è una storia diversa ad ogni giro, così come diversi sono i problemi e le questioni sollevate (quelle  simili sono descritte partendo da diversi punti di vista). Non è così facile mettere insieme una tale raccolta, Khamissi ha lavorato sodo per evitare ripetizioni e la monotonia che sarebbe potuta derivare, ma probabilmente per alcuni potrebbe risultare un lavoro artefatto, nonostante tutto nella sua succinta presentazione – il creativo Khamissi sa mantenere  l’attenzione del lettore impegnata e in movimento.
    Diversi tassisti menzionano la metà degli anni’90 come un punto di svolta, quando il governo cambiò le leggi e fondamentalmente permise che qualsiasi macchina potesse essere trasformata in un taxi, questo ci porta a ciò che i tassisti lamentano: l’eccessiva  offerta – più di 80000 solo al Cairo questo il numero che viene ripetutamente citato.
    Oggi guidare un Taxi è diventato il commercio di coloro che non hanno un commercio. 
    È una situazione che si presenta quasi esclusivamente al Cairo, di fatto, Khamissi non si sofferma troppo sulla variegata sfacciettatura dei tassisti, che vanno dai ben istruiti ai giovani che non dovrebbe assolutamente sedersi dietro a un volante (Un tassista che non solo non conosce alcune, ma gli sono praticamente sconosciute quasi tutte le strade del Cairo …) .
    Nella maggior parte dei casi Khamissi intraprende una sorta di conversazione con i vari tassisti, e ascolta le loro opinioni su tutto, dalla politica alla religione, passando per l’educazione. In una panoramica composta dalle opinioni dell’uomo della strada (e da alcune delle motivazioni alla base di queste opinioni), Taxi su alcune tematiche, come il coinvolgimento anglo-americano in Iraq, riuslta utile: queste sono voci che non sono così facili da trovare. Ma più interessanti sono le denunce locali, che danno un’idea più precisa della situazione contemporanea in Egitto.
    Diverse volte Khamissi afferma che ci sono alcune battute che se avesse trascritto sarebbe stato gettato in carcere immediatamente – qualcosa che non è in grado di capire, dal momento che comunque per le strade queste opinioni vengono continuamente sbandierate. Considerato i commenti sul leader egiziano Hosni Mubarak e il suo regime decrepite (le pseudo-elezioni farsa, sufficienti per soddisfare i desideri americani di democrazia, ma che chiaramente la gente del posto vede come quelle che realmente sono), è chiaro che il malcontento generale contro il governo è molto elevato.
    Taxi non è un neutrale documentario – Khamissi ovviamente ha una specie di ordine del giorno – ma in questa presentazione non abbiamo lo spazio per così tante spiegazioni o per molto background e così forse i lettori stranieri con poca familiarità sulle condizioni politiche egiziane non possono capire alcuni dei problemi esternati dai tassisti. Nel  complesso, è difficile avere  una buona impressione sulle attuali condizioni egiziane. (……………)
    Tra i principali punti sottolineati da Khamissi c’è l’immenso costo dell’ endemica corruzione Egiziana, ben illustrata da numerosi aneddoti. La burocrazia è un altro grosso problema, e alcuni degli esempi sono realistici e divertenti, come l’autista  che polemizza contro le cinture di sicurezza. Khamissi ricorda che le cinture di sicurezza sono obbligatorie in tutto il mondo – e sono, naturalmente, una saggia e relativamente poco costosa misura di sicurezza. Ma si scopre che il governo egiziano le ha classificate come un bene di lusso sui veicoli importati, e così per anni gli egiziani che importavano  auto dall’estero le hanno eliminate per evitare di pagare ulteriori tasse doganali (esattamente come hanno rimosso  altri accessori classificati come beni di lusso, ad esempio l’aria condizionata). Ora le cinture di sicurezza sono diventate obbligatorie, così i tassisti hanno dovuto riinstallarle – ad eccezione, naturalmente, per il fatto che le hanno installate solo per metterle in mostra: in realtà non funzionano – un esempio di grande rilievo di ciò che il governo considera giusto, fallendo miseramente sui risultati.
    Ci sono alcune storie tristi – anche se in un paese in cui tutti sono sempre cronicamente a corto di soldi e guadagnano troppo poco la miseria è data praticamente per scontata – ma forse la più deprimente è l’incontro del tassista che  spiega con entusiasmo perchè pensa che i genitori che mandano i loro figli a scuola sono pazzi. Con il costo delle lezioni private e nessuna speranza per il futuro anche per coloro che ottengono una buona istruzione i genitori dovrebbero mettere da parte tutti i soldi che avevo da perdere per l’istruzione dei loro bambini e dargli il denaro una volta raggiunti i 21 anni, così possono almeno aprire un punto vendita (o dare un acconto per un taxi …). Fare denaro è ciò che conta, l’istruzione è inutile – e purtroppo il tassista  non è così lontano dalla situazione in Egitto, dove i bambini a scuola imparano a malapena a leggere: “L’unica cosa che si impara a scuola è l’inno nazionale e che cosa gli porta di buono questo? ” Se il sistema è talmente cattivo che i genitori non sanno più cercare alternative per garantire ai loro figli un’educazione adeguata, si capisce che il paese sta franando.
    Khamissi è sorprendentemente franco nella  sua condanna, diretta e indiretta, al regime di Mubarak, un governo che non è poi così tirannico, ma che con la sua popolazione ha semplicemente fallito su quasi tutti gli aspetti. Questa raccolta mostra come enormi potenzialità vanno sprecatae.
    Khamissi, va un po’ troppo oltre,  con la sua simpatia per la condizione dei taxi driver, sostenendo che in nessun modo potranno fare i soldi ( è al 100% una causa persa), questo è  naturalmente sciocco. Ma per la maggior parte, egli evita di mettere il suo contributo, permettendo ai tassisti di parlare per se stessi, e anche se, ha la forma di un testo rivisto attentamente permette ai lettori di arrivare (un po ‘di più) alle loro conclusioni.
    Taxi è quasi più simile a una  raccolta giornalistica che ad un’opera di narrativa – per esempio la si può immaginare come la colonna di un giornale settimanale – ma Khamissi ha lavorato per mettere insieme un’immagine più grande e ha fatto un buon lavoro. Questa non è semplicemente una serie di conversazioni, ma in realtà ci offre una vasta fetta di vita contemporanea egiziana. E’ più un documentario di interesse creativo, nelle sue molteplici prospettive dell’ uomo della strada offre qualcosa che dovrebbe essere di grande interesse per coloro che desiderano saperne di più sulla vita in Medio Oriente. Mirabilmente messe a disposizione di un pubblico di lingua inglese – appena un anno dopo la prima pubblicazione in lingua araba – sembra anche molto attuale. Utile.

    (traduzione di Chiarastella Campanelli)

  • Intervista a Balthazar Clémenti

    Il figlio dell’attore francese ricorda quella mattina del 1971 quando il padre finì per un anno in galera per un po’ di hashish.

    «Mi svegliò la polizia, cercavano mio padre li ho visti, misero la droga sotto il letto»

    di Giuliano Capecelatro – Liberazione, pag. 17, Interviste, 8 maggio 2008

    Cadde dall’alto di un sogno, Balthazar. In frantumi l’infanzia dorata in una Roma dai colori di favola. Offuscata l’immagine del padre. Attore celeberrimo e conteso, giovane divo dalla bellezza androgina. Pierre Clémenti, alto, flessuoso, una gran chioma che si adagiava sulle spalle magre con grazia angelica, e incorniciava l’irrequieta oscurità dello sguardo. Cadde dall’alto di un sogno, Balthazar, la mattina del 24 luglio 1971. Qualcuno doveva aver accusato Pierre Clémenti.
    «Fui proprio io ad aprire la porta. Dovevano essere le nove. C’era un tizio … con un impermeabile, se non m’inganno: un poliziotto in borghese. Poi arrivarono i carabinieri… E’ come se fosse ieri. Una storia che mi ha segnato, mi ha fatto soffrire. E a Pierre, confesso, per un po’ gliene ho voluto».
    Arriva da Parigi la voce di Balthazar Clémenti. Distanza nello spazio, distanza nel tempo. E’ un quarantenne, oggi, che si guadagna da vivere col mestiere di attore. Come il padre. Che nell’ estate del 1971 rimase impigliato in una brutta storia di droga. Un po’ di cocaina, dell’hashish. Nella casa della sua compagna, Anna Maria Lauricella, in via dei Banchi Vecchi.
    «Entrarono… io ricordo che misero della droga sotto il letto… mi ordinarono di tornare a dormire. Frugarono dappertutto… perquisirono. Ma la droga… io ricordo che furono loro a metterla».
    Aveva cinque anni quel giorno: la porta si aprì e, come in una favola nera, la vita si capovolse. Sparì quel padre fantastico, che offriva al bambino un mondo magico. E’ difficile rielaborare un’emozione al telefono. Riviverla dopo quasi quaranta anni. La voce fluisce senza smagliature. Solo a tratti, la frase si spegne in una breve risata dalle sonorità infantili. Forse il tentativo inconscio di mettere un confine, di autoconvincersi che quella vicenda è davvero conclusa.
    «Ci fecero salire su una macchina. Pierre, Anna Maria… io non volevo staccarmi da mio padre. Poi ho solo dei flash, immagini confuse… Ricordo un terreno aperto su cui si vedeva un edificio moderno».
    Una Roma metafisica si profila sullo sfondo della memoria. Gli occhi del bambino afferrano frammenti di realtà, che l’adulto tenta di ricomporre in un quadro plausibile. Istanti convulsi: l’irruzione, la perquisizione, l’arresto. Il padre trattato da delinquente comune.
    E il bambino Balthazar che si ribella. Con le lacrime, la rabbia. Con la voce, che chiede tra i singhiozzi una pistola. Per poter sparare a quegli sbirri. A quegli uomini che hanno messo le mani su suo padre. E che lo hanno ruvidamente riscosso dall’incanto.
    Famoso e vezzeggiato, Pierre Clémenti. Ruoli importanti con grandi registi. Luis Buñuel per La via lattea. Pier Paolo Pasolini per Porcile. Bernardo Bertolucci per Il conformista, Il partner. Liliana Cavani per I cannibali. Glauber Rocha per Cutting heads. Un improvviso benessere, una vita di agi e lussi per il border-line nato a Parigi nel 1942 senza padre, da una ragazza còrsa, il bohémien squattrinato che raccoglieva cicche a Saint Germain des Prés, l’attore novizio che un Alain Delon in vena di inusitate generosità trascina con sé alla corte di Luchino Visconti per una particina ne Il Gattopardo. L’interprete che snobba il Satyricon di Federico Fellini perché quel set gli fa venire in mente una catena di montaggio.
    «Era la dolce vita – racconta Balthazar, e sottolinea il ricordo con la sua breve, sommessa risata -. Vivevo in piena libertà. Giravo a piedi nudi per le strade di Roma. La figlia di Anna Maria aveva una passioncella per me. Una ragazza simpatica, carina per quel poco che ricordo. Rimanevamo spesso soli a casa, poi la sera raggiungevamo i genitori in un ristorante, a piazza di Spagna, via del Babuino, piazza del Popolo. Vedevo i film di Pasolini prima che uscissero, in una sala privata di via Margutta. E poi Positano, Pierre aveva affittato villa Murat, ci passavamo le vacanze. Andavamo in barca. Ricordo una pasqua; venne mia madre e nascose nel giardino delle uova, che noi bambini dovevamo cercare. Venne a trovarci Bertolucci… in seguito mi avrebbe chiesto se avevo ancora la macchina dei pompieri. La dolce vita… poi l’incubo».
    L’Italia delle stragi di stato, della tensione golpista, delle trame massoniche (è in quell’ anno che Licio Gelli prende il comando della P2), del fascismo sempre risorgente, e che proprio alla fine del 1971 fornirà a Giovanni Leone, democristiano specialista di governi balneari, i voti decisivi per issarsi sulla più importante poltrona della repubblica, ha elevato a nemico pubblico numero uno la droga. E cala la mannaia di una normativa retrograda e ciecamente repressiva. Senza distinzioni. E, comunque, senza mai disturbare quei salotti buoni, da Torino a Roma, da Milano a Napoli e Palermo, in cui la cocaina ha sempre circolato con l’innocente frequenza dei bonbon.
    «Io credo – racconta Balthazar – che avessero bisogno di un capro espiatorio visibile, conosciuto. Lui era una star internazionale. Portava i capelli lunghi e non aveva mai tradito la sua vocazione alla marginalità…. In qualche modo dava fastidio. E si prestava allo scopo, aveva un passato politico di sinistra… c’è un cortometraggio che aveva girato a Parigi, nel maggio ‘68, La révolution, con mia madre Marguerite che sventola una bandiera rossa… Fumava, di sicuro fumava un po’ di hashish, chi non fumava in quell’ epoca? Ma la droga in casa, quel giorno… il mio ricordo è che l’ hanno messa loro per far vedere che avevano trovato quello che cercavano».
    Regina Coeli. Rebibbia. Una condanna a due anni in primo grado. Pierre Clémenti, attore di grido, diventa un anonimo detenuto delle carceri romane. Che prima tenterà di contestare, dialogare. Quindi, la testa completamente rasata, si chiuderà in un mutismo ascetico. Forma radicale di protesta. Ma anche un radicale mutamento di prospettiva. Uscito dal carcere, l’attore rievocherà l’esperienza di reclusione in un libro, Quelques messages personnels, pubblicato da Gallimard e da poco ritradotto in italiano (Pierre Clémenti, Pensieri dal carcere, Il Sirente, pagine 146, 12,50 euro).
    «Andai a trovarlo con mia madre. Non ho immagini nitide di quel giorno… un’atmosfera sinistra, cancelli, sbarre, una sala piccolissima, sembrava l’emiciciclo di un’aula universitaria. C’era soltanto un’altra persona con una donna. Rimanemmo poco, non più di un’ora credo. Gli avevo portato dei marrons glacés. Lo trovai con i capelli a zero».
    I capelli spariti cancellano l’immagine di quel padre magico. Si azzera anche l’infanzia felice e spensierata di Balthazar. «Fui affidato per qualche tempo a uno degli avvocati. Mia madre era troppo impegnata nel lavoro, anche lei nel cinema, per potersi occupare a tempo pieno di me. Ci vedevamo nei week end. Ogni tanto mi portava in viaggio con sé. Ma in prevalenza stetti con i miei nonni. Andai in collegio. La storia mi aveva scosso. Mi svegliavo nel cuore della notte. E sentivo sempre parlare di mio padre alla televisione».
    L’appello. In un’aula affollata di telecamere. Insufficienza di prove. Dopo oltre un anno e mezzo di detenzione. Ma resta la condanna per Anna Maria, che gira la testa dall’altra parte, ferita per la disparità di trattamento. Via le manette, ma immediata l’espulsione. Indesiderabile: ventiquattro ore di tempo per lasciare l’ Italia.
    «All’ aeroporto di Orly, quando Pierre tornò in Francia, c’era una tale ressa di giornalisti che non riuscivo ad avvicinarlo. Fu tutto un susseguirsi di interviste, di incontri. Un giorno, in una radio si imbatte in François Mitterrand, che gli dice: vi vogliamo molto bene; vi abbiamo sostenuto. Parlava già allora da presidente. Andai a vivere per qualche tempo con lui, in rue des Ecoles. Poi mi riprese mia madre. Ma io volevo tornare dai nonni. A diciassette anni cominciai a vivere da solo, magari a casa di qualche fidanzata».
    L’attore Clémenti cambia vita. Abbandona la ribalta. Sceglie percorsi più ardui. Riversa la rabbia sulle scene teatrali, impugnando Genet, Artaud e anche testi di sua mano. Da regista si orienta verso un cinema meno patinato, indipendente, centrato su personaggi marginali. Gira Il sole , una sorta di poema filmato, un diario in cui si parla della prigione, della giustizia lenta, estenuante, di un’esperienza da cui non si esce intatti.
    «Non si riprese mai – racconta Balthazar -. Evitava di parlare di quella storia. Per lui era una specie di segreto. Era una persona molto pudica. Si chiuse sempre più in se stesso. Rifiutò offerte allettanti, anche dal punto di vista finanziario».
    A 57 anni, nel dicembre 1999, lo uccise un cancro al fegato. Ma la figura dell’attore non scompare dall’universo cinematografico. Continua, anzi, a ripresentarsi. Il Centre Pompidou, al Beaubourg di Parigi, gli ha dedicato un omaggio. L’anno scorso la Cinemateca di Bologna ha presentato due mediometraggi scritti e interpretati da Clémenti: Visa de censure del 1968 con Jean Pierre Kalfon e New Old del 1979 con Klaus Kinski. Jeanne Hoffstetter ha scritto una sua biografia romanzata. Su Internet viene diffuso un dvd, Pierre Clémenti cinéaste: l’intégrale.
    Il prossimo appuntamento è a Lucca, a ottobre prossimo, per il festival del cinema sperimentale. Balthazar è stato invitato.
    «Ora voglio rintracciare i poemi scritti in carcere. Li aveva uno dei suoi avvocati, diventato poi un pezzo grosso del governo francese. Ma non sono più stati ritrovati».
    E’ sempre quella figura esile, alta, dai lunghi capelli e lo sguardo trasognato, che cerca Balthazar. Quel sogno da cui lo risvegliarono una mattina di luglio.
    «Con Pierre non fu un rapporto facile. Solo da adulto ho capito davvero il suo atteggiamento. Prima un po’ gliene volevo. Ma lui era diverso, aveva rinnegato la carriera facile, commerciale. Si sentiva un marginale. Era un vero artista. Ed ora posso dire che le sue scelte mi trovano d’ accordo».

  • (…) è ciò che di meglio vi possa capitare stasera!

    (…) è ciò che di meglio vi possa capitare stasera!

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    L’ultima lettera prima di lasciare Napoli ovvero l’Italia.
    L’ultimo degli orsi che non sanno più dove nascondersi e che resistono.

    Lunga vita agli orsi!
    Lunga vita alle persone delle caverne!

    Buon 25 aprile 2008.

    Sui monti Tatra, Zakopane, Polonia, 1944

    Caro Franek,
    l’altra notte ho ucciso altri tre nazisti a mani nude. Ho tagliato loro la gola mentre dormivano e ho trascinato i loro corpi in un burrone. Non sono un omicida, ma loro mi hanno trasformato in un assassino, per difendere la nostra gente, per difendere me stesso. Se devo, li ucciderò uno dopo l’altro. Come i miei compagni, io sono la Resistenza. Noi tutti siamo la Resistenza. È questa la verità. Caro fratello, stai attento ai bugiardi, agli imbroglioni, ai ladri che pretendono di essere i tuoi salvatori. Siamo noi stessi i nostri salvatori. Nessun altro. Non c’è nessun Dio. C’è una fratellanza di uomini e donne, e poi ci sono quelli che, ubriachi di potere, vogliono eliminare tutto ciò che è umano.
    Potresti pensare che sono pazzo. Comunque sia, capirai che è questa guerra la follia . Mi ha trasformato in un disperato, disperato perché questa guerra deve finire. Ma finché continuiamo a combattere guerre come questa, e non a combattere la stessa idea di Guerra, non avremo mai pace su questa terra. Io non ho pace.
    Vivo in una caverna su un alto torrente sopra Zakopane. L’aria è fredda. Posso vedere per chilometri oltre i Tatra e le loro cime innevate. Un tempo qui vivevano gli orsi. Nessuno sa dove vivono adesso, durante questa guerra. Come gli orsi, sono stato guidato sempre più in alto e sempre più all’interno delle profondità delle montagne. La mia caverna è profonda più o meno venti metri. Il suolo è ricoperto di ossa di animali. Io sono l’animale più recente, l’orso più recente. E nessuno sa che vivo qui. Mangio bacche. Metto trappole per le lepri. Ho rubato il cibo ai tedeschi, le loro coperte e pistole. Scrivo questa lettera sulla loro carta con la loro penna. Stanotte fumerò il loro tabacco.
    Non crederai a quello che sto per dirti. I tedeschi stavano trasportando gioielli. Da dove li avessero rubati non lo so, ma adesso sono miei. E sono splendidi. Devono essere diamanti, grandissimi e brillanti. Mai in vita mia ho visto un simile tesoro. Li nasconderò e poi, quando finisce questa guerra, la nostra famiglia avrà i soldi per comprare una bella casa e una fattoria. Non ho novità per la mamma o per i fratelli. Non preoccupatevi per me. Mi prendo cura di me.
    Morte ai fascisti! Morte ai guerrafondai! Lunga vita agli orsi e alla gente delle caverne di tutto il mondo! Lunga vita alla nostra famiglia. Carissimo fratello. Ti voglio bene e mi manchi.

    Harry