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  • Jérôme Ruillier il 13 Novembre al Festival Nues – Nuvole dal Fronte

    Jérôme Ruillier il 13 Novembre al Festival Nues – Nuvole dal Fronte

    «Se ti chiami Mohamed» di Jérôme Ruillier

    Confronti, ottobre 2015, articolo di Michele Lipori

    Se ti chiami Mohamed è un fumetto edito dalla casa editrice Il Sirente (collana «Altriarabi») con il patrocinio di Amnesty international Italia. L’opera, nello stile di un reportage, racconta la storia dell’immigrazione maghrebina in Francia dal 1950 fino ai giorni nostri. Una storia fatta di vite che si intrecciano, di racconti di giovani uomini che – da soli, all’inizio degli anni ’50 – hanno lasciato i propri paesi d’origine (perlopiù Algeria, Marocco e Tunisia) per trovare fortuna in Francia. Uomini semianalfabeti, ma abbastanza robusti ed in salute per lavorare alla catena di montaggio della Renault e per far girare gli ingranaggi della fiorente industria automobilistica francese. Nonostante le difficoltà di integrazione, che hanno costretto questa prima generazione di immigrati a vivere in lugubri dormitori e sempre sotto stretta osservanza, è stato possibile fare della Francia una nuova patria, dove costruire una famiglia.

    Nel fumetto la realtà viene affrontata nella sua complessità, ed infatti si evince come anche le nuove generazioni non siano affatto esenti dalla discriminazione razziale, e – d’altra parte – si descrivono anche i delicati processi di ripensamento e adattamento della propria identità culturale, specialmente sui temi dei diritti di genere. Nato nel 1966 a Fort-Dauphin in Madagascar, Jérôme Ruillier ha studiato all’Institut d’Arts Décoratifs di Strasburgo e ha scritto perlopiù libri per ragazzi. Si è basato, per la creazione di quest’opera, sulla raccolta di testimonianze del documentario e del libro Mémoires d’immigrés di Yamina Benguigui.

    Ruillier, che è padre di una bambina portatrice di trisomia 21 (conosciuta comunemente come «sindrome di Down») ha esplicitato il modo in cui la sua esperienza di padre sia stata fondamentale per guardare la vicenda dell’immigrazione in modo critico: «Mia figlia – ha detto Ruillier – fa la stessa esperienza degli immigrati: ha difficoltà di integrazione e si sente differente. La differenza è il vero tema del mio libro. Quello che mi interessava raccontare era la paura dell’Altro, del diverso da sé». Se ti chiami Mohamed ha vinto il dBD Award 2012 per il miglior fumetto reportage.

     

  • “E SE FOSSI MORTO?” di Muhammad Dibo – NOVITA’ COLLANA ALTRIARABI

    “E SE FOSSI MORTO?” di Muhammad Dibo – NOVITA’ COLLANA ALTRIARABI

    In uscita a Novembre per la collana Altriarabi dell’editrice il Sirente

    E se fossi morto?” dell’autore siriano Muhammad Dibo

    (trad. dall’arabo di Federica Pistono)

    «Se vivi in Siria, la morte può colpirti in ogni momento: puoi essere arrestato, essere colpito da una bomba, sparire in uno dei tenebrosi sotterranei dei servizi segreti, considerati tra le prigioni più infami del mondo…»

    Un mattino l’autore-protagonista viene svegliato da una strana telefonata, un’amica gli comunica che un giovane dal nome Mohammed Dibo è stato ucciso nella città di Duma, lo strano caso di omonimia lo costringe ad indagare e a ripercorrere i dolorosi anni siriani dal 2011 a oggi, costruendo un’opera di stretta attualità.

    Mohammed Dibo, in un libro che è a metà strada tra il romanzo e un trattato politico ci offre una visione “dall’interno” della situazione siriana, il punto di vista di un testimone attore, in grado di avvicinare il lettore al modo di sentire del rivoluzionario e alle contraddizioni insite nella rivoluzione stessa.

    Mohammed Dibo è un giornalista, scrittore e poeta siriano, nato nel 1977. Laureato nel 2005 presso la Facoltà di Economia dell’Università di Damasco. Ha partecipato fin dal marzo 2011, alla rivoluzione siriana contro il regime di Bashar al-Asad. Arrestato e torturato in carcere, è stato successivamente rilasciato. Si trova attualmente in esilio a Beirut. Collabora con numerose testate giornalistiche di rilievo internazionale, ed è l’editor in chief di Syria-untold, testata che si occupa di attivismo civile. “E se fossi morto?” (pubblicato in Siria nel 2014) è il suo ultimo libro.

    L’autore presenterà il suo libro venerdì 13 Novembre al Festival NUES di Cagliari “NUVOLE DAL FRONTE”. La VI edizione di questo peculiare Festival internazionale dedicato ai cartoni e ai fumetti nel mediterraneo è dedicata quest’anno alla guerra e ai conflitti nei suoi molteplici scenari.

    Sempre nella giornata del 13 Novembre all’interno della programmazione del Festival NUES sarà presente anche  Jérôme Ruillier, autore della graphic novel “Se ti chiami Mohamed“, titolo aprente della neonata sottocollana Altriarabi migrante.

    A seguire Muhammad Dibo sarà a Roma Sabato 14 Novembre presso la Libreria Griot (Trastevere), dove interverranno oltre all’autore, Federica Pistono (traduttrice del libro), Donatella Della Ratta (moderatrice), e Fouad Rouheia (interprete).

    Domenica 15 Novembre sarà invece tra gli ospiti della kermesse letteraria Librinfestival presso La Casa della Pace di Monterotondo.

     

  • Medio Occidente al Salone dell’Editoria Sociale

    Medio Occidente al Salone dell’Editoria Sociale

    Ciclo “Incontri autunnali con gli autori”:
    Beppi Chiuppani, Medio Occidente (il Sirente, 2014)

    Giovedì 22 ottobre alle ore 18.15 Beppi Chiuppani incontrerà il pubblico e presenterà il suo romanzo “Medio Occidente” in occasione della settima edizione del Salone dell’Editoria Sociale di Roma.

    Secondo Raffello Palumbo Mosca, che ne ha curato la prefazione, Medio Occidente è “uno di quei piccoli tesori che è possibile trovare tra le macerie; un romanzo insieme profondamente radicato regionalmente e insieme di respiro immediatamente internazionale”.

    “Medio Occidente” narra la storia dell’incontro tra un giovane migrante damasceno e una ragazza della buona borghesia veneta, mettendo in scena un dialogo tra due visioni del mondo distanti ma simili in cui Padova, Venezia e Damasco si confondono in un unico grande Medio Occidente.
    L’autore si muove con eguale naturalezza – e con una grazia davvero rara – tra i capannoni della provincia veneta e il suq al-Hamidiyyeh di Damasco; tra Venezia – «più orientale di un mausoleo islamico» eppure sempre e comunque diversa, con l’acqua viscosa della laguna «non azzurra come quella di Beirut» – e i «palazzi color ocra, anneriti dallo smog» prospicienti il monte Quassyum dell’esclusivo quartiere Abu Roumaneh.

    «Quello di Beppi Chiuppani è un racconto da Shahrazād del Terzo Millennio: è una novella generativa, vuole indicare una via, e il suo stile è lento e invita all’abbandono, perché, giustamente, tutte le migliori agnizioni si nutrono di parole e di immagini semplici»
    Fulvio Cortese

    «Un’opera tutt’altro che banale e degna di una rinnovata considerazione»
    Luca Menichetti, Lankelot

    https://www.sirente.it/prodotto/medio-occidente-beppi-chiuppani/

    http://www.editoriasociale.info/giovedi-22-ottobre-2015/

    https://www.sirente.it/su-medio-occidente-raffaello-palumbo-mosca/

  • Fresco di stampa “Cani sciolti” di Muhammad Aladdin

    Fresco di stampa “Cani sciolti” di Muhammad Aladdin

    In libreria “Cani sciolti” dell’autore egiziano Muhammed Aladdin trad. dall’arabo di Barbara Benini

    “Una storia illuminante sullo stato di salute

    dell’attuale società egiziana”

    Per guadagnarsi da vivere, Ahmed fa lo scrittore di racconti pornografici. Ahmed ha due cari amici: El-Loul, regista televisivo e Abdallah, il suo amico d’infanzia, menefreghista nei confronti della vita. Seguendo le vite di questi tre personaggi nelle intricate e vocianti strade cairote, nei locali notturni, 
nelle desert-roads lontane dalla grande metropoli, il lettore ha uno sguardo su una parte della popolazione egiziana:
i cosiddetti “cani sciolti”, giovani lontani dalla morale tradizionalista, liberi da ogni costrizione di natura sociale e abituati a cavarsela in ogni situazione. Sono i giovani venti-trentenni che hanno dato vita alle proteste di piazza e anche quelli che erano in piazza al soldo dei governi, come teppisti e picchiatori. Un ritratto realistico e trasversale dell’attuale società egiziana.

    One of the six egyptian writers you don’t know, but you should

    The Millions.com

     

    Muhammad Aladdin (Il Cairo, 7 ottobre 1979) è un autore egiziano di romanzi, racconti e sceneggiature. Considerato tra i più brillanti esponenti della nuova generazione di scrittori egiziani emergenti, ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti nel 2003 e ad oggi è autore di quattro romanzi – Il Vangelo di Adamo, Il trentaduesimo giorno, L’idolo, Il piede – e tre raccolte di racconti – L’altra riva, La vita segreta del Cittadino M. e Giovane amante, Nuovo amante – sofisticati affreschi, spesso dai toni noir, di una società invischiata in segreti e reticenze. “Cani sciolti” è il suo ultimo romanzo.

    Cover designed by Magdy El Shafee autore di Metro ed. il Sirente/collana Altriarabi

  • “La cattiva abitudine di spogliarsi” di Hassan Blasim

    “La cattiva abitudine di spogliarsi” di Hassan Blasim

    Tratto dalla raccolta  di racconti “Il matto di piazza della Libertà” di Hassan Blasim, traduzione dall’arabo di Barbara Teresi

    “La cattiva abitudine di spogliarsi”

    Come sapete, anche la paura ha un odore… Mentre mi raccontava la sua storia, quell’uomo emanava un odore di pesce affumicato. Mi rendevo conto che era sincero, onesto, ma la sua calma mi sembrava affettata. Non capita spesso la fortuna di incontrare una persona con una storia interessante e avvincente come quella di quest’uomo originale. Già, meglio dire “originale” che “folle”. Perché l’originalità consiste nel parlare agli altri dei propri incubi, malgrado la paura e il dolore.

    Accadde l’inverno scorso. Rincasavo dopo il mio solito giro in centro, un giro a zonzo, il cui unico scopo è racimolare qualcosa. In genere raccattavo quel che si può trovare nei bar malfamati: quattro chiacchiere, una fica, una birra gratis, uno spinello, delle caotiche discussioni su questioni politi- che, una rissa con un altro ubriaco, oppure semplicemente la possibilità di molestare gli altri, così, per divertimento, con la scusa di essere ubriaco. Lo sai, l’importante è che la giornata trascorra e che in essa ci sia un qualche contatto umano, per quanto piccolo. Il giorno in cui è apparso il lupo ho conosciuto una ragazza strana… un gufo, un uccello del malaugurio. Tu ci credi nelle facce che portano sfiga? A volte si in- contrano facce che non sembrano neppure reali, somigliano piuttosto alle cose che si vedono nei sogni. Tu sei un artista, puoi figurarti facilmente quel che intendo dire, no? Voi artisti coltivate i sogni… Eh, sì! Io credo nei sogni più di quanto non creda in Dio. I sogni ti entrano dentro e poi vanno via, per tornare con nuovi frutti. Dio, invece, è soltanto un deserto sconfinato, nient’altro. Riesci a immaginare che un pittore indiano, a Delhi, in questo momento sta lavorando a un qualche soggetto che è lo stesso di cui si compone il sogno di un uomo che sta dormendo in una città del Texas? ok, fanculo tutto e tutti… Ma di certo sarai d’accordo con me sul fatto che tutte le arti si incontrano in questo modo. E forse anche l’amore e l’infelicità. Se, ad esempio, un poeta finlandese scrive una poesia sulla solitudine, questa poesia sarà il sogno di un’altra persona che dorme in un altro an- golo del mondo. Se ci fosse un motore di ricerca speciale per i sogni, come Google, allora tutti i sognatori potrebbe- ro rintracciare i loro sogni nelle opere d’arte. Al sognatore basterebbe inserire una parola o una breve sequenza di parole tratte dal proprio sogno per veder comparire migliaia di risultati nel motore di ricerca. Perfezionando la ricerca giungerebbe al suo sogno e così verrebbe a sapere cos’è stato in origine: un dipinto, un pezzo musicale o una battuta di un’opera teatrale. Inoltre potrebbe scoprire da quale Paese proviene il suo sogno. Sì… Lo sai… la vita forse… ok, fanculo tutto e tutti!

    Quella ragazza aveva una faccia incredibile, era come se l’ago di una macchina per cucire l’avesse trafitta per ore e ore. La sua pelle era puntellata da dozzine di piccoli fori tondi. Prima mi ha detto di essere spagnola e poi, dopo cinque minuti, ha affermato che sua madre è egiziana e suo padre finlandese. Conosceva giusto quattro parole in arabo, e tutte avevano a che fare con gli organi sessuali, oppure era- no bestemmie, sempre contenenti la parola merda. Quella troia! Si è scolata tre boccali di birra a mie spese e poi si è messa ad aspettare in un angolo buio. Cosa aspettava secondo te? Di certo un altro cazzo, disposto a sborsare di più. Io avevo perso 20 euro alla macchinetta del poker. Mi sentivo esausto e affamato. Allora, facendo un cenno alla tipa dal viso malauguroso, con gesto teatrale e ironico, uscii gridando come se mi stessi rivolgendo a un vasto pubblico: “Viva la vita!”

    Sulla via di casa, non riuscivo a togliermi dalla testa il volto di quella ragazza. Mi sembrava di averla già vista, tanto tempo fa, in qualche mercato popolare, al mio Paese. Non so perché, ma me la figuravo seduta a vendere peperoni ver- di e rossi, avvolta in un lungo mantello nero.

    Sono sicuro che quel giorno tre o quattro cose insieme abbiano contribuito a portarmi sfortuna e cacciarmi in quel pasticcio. Sta’ a sentire… Non crederai alle tue orecchie! Come al solito, quando sono arrivato a casa mi sono spoglia- to e sono rimasto completamente nudo. Stavo andando in bagno, quando l’ho visto sbucare fuori dal soggiorno e correre verso di me. Con un balzo mi sono fiondato in bagno e ho chiuso a chiave la porta. Ero come uno che avesse appena visto l’angelo della morte. Era un lupo, giuro! Un lupo, an- che se tu dirai che forse era un cane…

    All’inizio, quando ho guardato dal buco della serratura, non c’era. Tremavo. Per degli interminabili minuti regnò un silenzio terrificante. Dopo aver guardato diverse volte dal buco della serratura, fui certo che era un lupo. Prima lo sentii ansimare, poi lo vidi: stava annusando i miei pantaloni e le mie mutande davanti alla porta di casa. Poi si accoccolò, gli occhi puntati tristemente sulla porta del bagno.

    Un lupo in carne e ossa, in città, in un condominio, e proprio nel mio appartamento! Seduto sul water, cominciai a pensare: “Nessuno, a parte me, ha le chiavi di casa; io abito al quarto piano, e anche ipotizzando che… ok… che sia riuscito a volare… e ad arrivare in balcone, ebbene la portafinestra del balcone, in soggiorno, sta sempre chiusa!” Mi scappò la pipì senza che me ne rendessi conto. Ero come paralizzato, nudo sulla tazza del cesso e con un lupo in casa. Che scherzo era quello?

    Cominciai a rimproverare me stesso, a insultarmi anche: “Perché ogni volta che entro in casa mi spoglio come una puttana? Se avessi avuto con me il cellulare avrei chiamato la polizia e tutto sarebbe finito! Sono proprio un buono a nulla! Ubriacone, disoccupato, sto tutto il tempo in giro per i bar della città cercando di procurarmi di che vivere, ma da chi, poi? Da altri disgraziati che non fanno meno schifo di me! Da gente cui il mondo nuovo e scintillante ha tirato via il tappeto da sotto i piedi! Prendi per esempio una grassona di quasi quarant’anni in cerca di un rapporto occasionale con un immigrato ormai del tutto arrugginito. Noi non abbiamo il culo sodo e appetitoso, abbiamo soltanto un buco per la merda! Fanculo tutto e tutti! Persino la ragazza che ho incontrato oggi, quella col viso butterato, non si è accontentata del mio invito. Si è spostata in un altro tavolino e si è messa ad aspettare uno stronzo migliore. Se avesse accettato di scopare con me, sarebbe venuta qui nel mio appartamento e sarebbe fuggita a chiamare la polizia o i vicini. o forse il lupo l’avrebbe sbranata. Ma quale lupo? Non è possibile, devo essermi sbagliato, forse è soltanto un’allucinazione…” Così dicevo alla mia immagine riflessa nello specchio.

    Tornai a guardare dal buco della serratura. Era sempre accucciato al suo posto. ormai mancavano poche ore all’alba. Pensai che il giorno dopo forse qualcuno si sarebbe preoccupato per la mia assenza. Era senz’altro un’idea ridicola, una consolazione fittizia, dato che da anni vivo da solo e non conosco nessuno, a parte quegli spaventapasseri dei bar. Quelli sono come me: soli, in cerca di qualcosa in giro per i bar. E se non trovano niente, allora se ne tornano nei loro sporchi letti a farsi divorare dalla tristezza e dalla notte. Gli unici che potrebbero bussare alla mia porta sono i testimoni di Geova. Ma anche quelli sono spariti da un pezzo. Forse li ho ridotti alla disperazione a forza di farmi continuamente beffe del loro Dio. Mi sommergevano con le loro rivi- ste, anche se per divertirmi bastava una sola frase di quelle montagne di libri e giornali. La cosa divertente nelle loro riviste erano quei tentativi disperati di collegare le scoperte scientifiche con le storie della Bibbia. Quelle che venivano a farmi visita erano due belle ragazze. La mia fantasia malata mi spingeva ad accoglierle con entusiasmo. Credevo che, se avessi instaurato con loro un vero rapporto d’amicizia, ma- gari poi il tutto sarebbe culminato in un focoso amplesso. Te lo immagini? Due ragazze testimoni di Geova, nude, nel mio letto… Una mi succhia il cazzo e l’altra offre il suo clitoride alla mia lingua mentre recita passi della Bibbia…

    Parlavamo di molte cose. L’argomento che mi ha impressionato di più è che i testimoni di Geova rifiutano, come gli ebrei, le trasfusioni di sangue. Io scherzavo con loro, dicevo che il sangue è delizioso, è la bevanda dei vampiri. Parlavo dell’importanza del sangue. “Il direttore del centro di bioetica dell’Università della Pennsylvania afferma con gran freddezza scientifica: “Il sangue sta alla salute come il petrolio sta ai trasporti”. Pensate: mentre ogni anno miliardi di barili di petrolio vengono estratti dal sottosuolo per soddisfare il fabbisogno mondiale di carburante, dal corpo umano vengono prelevate circa novanta milioni di unità di sangue nella speranza di aiutare chi sta male. Questa cifra impressionante rappresenta il volume di sangue di circa otto milioni di persone. Ciononostante, proprio come il petrolio, a quanto pare anche il sangue scarseggia. La comunità me- dica mondiale avverte di questa carenza.” Questo cocktail di informazioni scientifiche o, per essere più precisi, le mie chiacchiere serie, avevano lo scopo di far capire alle due belle testimoni di Geova che io ero una persona davvero impor- tante nel mio Paese. Avevo detto di conoscere perfettamente l’ebraico e di aver tradotto alcuni fascicoli segreti per il Ministero della Difesa e per i servizi di intelligence del mio Paese, aggiungendo qualche dettaglio poliziesco e qualche avventura legata alla mia professione. Con loro blateravo a lungo e, tra il serio e il faceto, nel corso di quelle conversazioni tiravo in ballo tutto ciò che mi passava per la testa. Facevo anche domande, e mi rispondevo da solo, mentre le ragazze se ne stavano sedute, due colombe della pace, sor- ridendo come se fossero appena scese dal cielo. “Ma cosa accadrebbe se un’epidemia letale si diffondesse in tutto il mondo, e tutti quanti avessero bisogno di nuovo sangue?” E, prima ancora che la più grande delle due avesse il tempo di rispondere, io dichiaravo con l’aria di un esperto che parli di genetica: “Di certo scoppierebbe una nuova guerra mondiale.”

    Ma non c’è ragione di temere: se si farà una guerra per il sangue, sarà una guerra pulita; sarà proibito l’uso di armi convenzionali o di ultima generazione, non si potrà neppure usare un coltello da cucina. La guerra sarà una sorta di torneo di football americano e i soldati indosseranno abiti sportivi, leggeri. È ovvio che una guerra in cui il sangue scorre inutilmente non servirebbe a nulla in un momento in cui il mondo ne ha un estremo bisogno, perciò, se un soldato facesse uso di armi, non ci sarebbe alcuna pietà nei suoi confronti. Ma che guerra sarebbe? Fanculo tutto e tutti! L’obiettivo degli eserciti sarebbe quello di catturare il maggior nume- ro possibile di soldati nemici. I soldati combatterebbero tra loro e ogni fazione cercherebbe di catturare nemici, per poi trasportarli nei furgoni in attesa nelle retrovie. Sarebbe l’ultima guerra e finirebbe con il prelievo del sangue dell’ul- timo uomo. I furgoni, carichi di soldati prigionieri, chiusi in gabbia, partirebbero alla volta dei laboratori per i prelievi, dopodiché il sangue verrebbe equamente distribuito tra i cittadini. Ma lasciamo perdere questa storia, altrimenti le mie chiacchiere ti faranno venire il mal di testa. Fanculo tutto e tutti!

    ok… parlavo tra me e me, tremando: “Un lupo! oh mio Dio! Un lupo!” Quello non si muoveva dal suo posto, non andava neppure in cucina a cercare qualcosa da mangiare. Il suo unico movimento, mentre stava come pietrificato da- vanti alla porta del bagno, consisteva nell’annusare le mie mutande e poi guardare la porta con occhi assassini.

    Di certo quella mia idea di lasciare la foresta per torna- re a vivere in città era stata un’idea merdosa… Ma era stata colpa delle zanzare, quei maledetti vampiri! Lo sai che è solo la zanzara femmina a nutrirsi di sangue umano? Il maschio si nutre solamente di linfa vegetale e nettare di fiori. Ho trascorso più di cinque mesi nella foresta. Durante il giorno pescavo nel laghetto vicino, e di sera traducevo un libro molto interessante sulle origini della lingua ebraica. Ero molto felice della mia solitudine e del dono che la foresta mi aveva elargito: dimenticare il mondo degli uomini. Bevevo vino rosso, ma con moderazione. Il guaio però era che tutti gli unguenti con cui mi spalmavo il viso e il corpo non riuscivano a fermare gli attacchi delle zanzare. E come potevo sentirmi in pace mentre un nugolo di zanzare mi aleggia- va intorno alla testa per tutto il giorno, come l’aureola di Cristo nei quadri antichi? Di notte le femmine di zanzara penetravano sotto le lenzuola come una corazzata e mi succhiavano il sangue con ardore e avidità. Il padrone di casa, quando gli parlai delle zanzare, si prese gioco di me, disse che le zanzare mi amavano molto. Alla fine i miei sforzi nel combattere le zanzare furono coronati da violente coliche addominali. Il medico mi disse che si trattava semplicemente di disordini alimentari, e che avrei dovuto mangiare molta verdura. E aggiunse che avrei fatto meglio a tornarmene in città e vivere in mezzo alla gente, perché ovviamente lo stomaco risentiva anche del mio stato di isolamento. Da lui capii anche che parlavo di me stesso in modo strano. In breve, voleva dire che avevo bisogno di uno psichiatra. ok. Io sono quasi sempre un ottimo ascoltatore, e so apprezzare i consigli. Decisi di attenermi soltanto al primo consiglio del dottore, e così tornai in città e mi mescolai con i rifiuti della società, quelli dei bar malfamati. Al di fuori di una bottiglia d’alcol il mondo, per essere affrontato, sembra aver bisogno di un torero; dentro una bottiglia d’alcol, invece, il mondo è una commedia e ha bisogno solo di più pagliacci… e fanculo tutto e tutti!

    In bagno c’erano solo un asciugamani e un mucchio di calzini e mutande sporchi. Io ero esausto e infreddolito. Controllai per esser sicuro che il mio ospite fosse ancora al suo posto, poi feci una doccia calda e tornai a riflettere sul- la faccenda. Se avessi avuto dei nemici, sarebbe stato logico pensare che uno di loro avesse portato il lupo in casa mia. Ma come si può portare un lupo in casa di qualcun altro? Il presunto nemico avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di qualcuno che lavora allo zoo, e di una macchina. Forse era un lupo domestico, come un cane… o forse io ero impazzito e mi stavo immaginando tutto. È mai possibile che una per- sona sana di mente creda a quello che ti sto raccontando? No, non dire che tu mi credi, ma… lo giuro su Geova e sui suoi angeli… era un vero lupo! Chissà, forse il dottore aveva ragione…

    Mi coprii con l’asciugamani e piombai in un sonno pro- fondo, disteso su calzini e mutande. Mi svegliai in preda a una forte emicrania che mi crivellava la testa, simile a un assordante erpice. Doveva essere mezzogiorno. La cosa assurda, incredibile, è che il lupo era ancora lì! Merda… Ma non aveva fame? Perché stava lì, immobile come la Sfinge? L’idea della fame strisciò nella mia mente come una serpe. Ero in preda al panico e mi misi a gridare. Sarei rimasto chiuso in bagno fino a morire di fame? Ma in questo caso anche il lupo sarebbe morto di fame! Ma no, è risaputo che i lupi sopportano la fame meglio degli uomini. Io però in bagno avevo l’acqua, mentre a lui il rubinetto della cucina non sarebbe servito a niente. Ma allora io sarei morto di fame e lui di sete… No, no… in cucina, sul tavolo, c’era una scodella di zuppa. Chissà se gli sarebbe piaciuta la zuppa della sera pri- ma. Comunque sul tavolo c’era anche del pane, se lo avesse voluto…

    Di colpo una tremenda isteria si impadronì di me. Mi misi a colpire con forza la porta e a gridare chiedendo aiuto. Di tanto in tanto spiavo dal buco della serratura le reazioni di quel maledetto lupo. Dov’erano i vicini? Anche da loro erano entrati i lupi? No, no… non potevo morire lì, in bagno. Pensai che sarebbe stato meglio farmi sbranare piuttosto che morire in quel modo orribile. E poi perché avrebbe dovuto mangiarmi? Sempre davanti allo specchio, cercavo di scacciare le mie paure. Magari lo avrei affrontato, lottando contro di lui e riuscendo a scappare. Forse si sarebbe accontentato di ferirmi. E se anche mi avesse amputato un braccio, sarebbe pur sempre stato meglio che marcire lì in bagno. Mi bagnai la faccia e poi rimasi per più d’un quarto d’ora a lavarmi i denti e scrutare con attenzione il mio viso allo specchio. Colpendo le pareti, urlavo e imprecavo. Poi mi venne un’idea: perché non aprire la porta, gettar via l’asciugamani e vedere cosa sarebbe successo? Ma non avevo il coraggio di fare una cosa simile. E se il lupo mi fosse balzato addosso, rapido, impedendomi di fuggire? Allora ricominciai a gridare e dar colpi alle pareti, usando tutti i flaconi di shampoo finché non si rompevano. Sfinito, tornai a sedermi sul water. Bevvi dal lavandino curvando le mani a mo’ di tazza, poi scoppiai in singhiozzi.

    Mi distesi sulle fredde mattonelle del bagno, raggomitolandomi su me stesso, come uno che abbia smesso di credere e desideri soltanto sparire da questo mondo.

    A notte fonda – la seconda notte – decisi di porre fine a quella pagliacciata. Che mi mangiasse, o che io mangiassi lui! Mi sentivo addosso un’energia formidabile, una sete di vendetta che si agitava dentro di me. Avrei fatto a pezzi quel lupo inutile e vigliacco, e avrei arrostito la sua carne e persino la sua testa! Fanculo tutto e tutti!

    Aprii lentamente la porta del bagno. Il lupo si alzò in piedi e io, correndo con tutta la forza che mi era rimasta, gli balzai contro. L’ultima cosa che ricordo è l’istante in cui il lupo mi saltò addosso…

    C’era un buio freddo, tetro. Un buio sordo. Ad aiutar- mi in quelle tenebre c’era soltanto il ricordo di quel che era accaduto in quegli ultimi istanti, sebbene il terrore di non esistere più fisicamente mi paralizzasse nei miei tentati- vi di essere paziente e aspettare la misericordia di Dio in quell’oscurità. Quel che so è che, contrariamente a quanto mi stava accadendo, quando muori non rimane più nessun ricordo, né alcuna consapevolezza della vita vissuta, anche se la morte intesa come annichilimento totale è soltanto una supposizione, nulla di più. Avrei voluto gridare per chiedere aiuto, ma non sapevo dove fosse la bocca, né come fare a lanciare un grido. Qual era il meccanismo, il movimento che bisognava compiere per riuscire a gridare? Come potevo farmi da capo un’idea di dove fossero i piedi o di come trovare i capelli per poterli poi toccare?

    Ero veramente morto? Il vero dilemma in quell’oscurità non riguardava la mia capacità di muovermi o di fare qualunque altra cosa; il guaio era che gli strumenti erano spariti, persi in un mare di tenebre. Uno sa come guardare senza però conoscere il metodo o gli strumenti per farlo. Ma io sentivo, allo stesso tempo, di esistere ancora, seppure come un minuscolo punto cosciente, da qualche parte nel mondo. Non so quanto tempo sia durato. Il punto minuscolo cominciò ad allargarsi e io percepivo che la mia pelle riacquistava il suo calore e il mio respiro, dapprima molto lento, si faceva gradualmente più veloce.

    A quanto pare, avevo sbattuto la testa contro lo spigolo del comodino e avevo perso conoscenza. Mi era anche usci- to un po’ di sangue. In casa non c’era nessun lupo. Era spa- rito, come evaporato. La porta di casa era chiusa, solo quella del bagno era spalancata. Indossai una camicia e presi il telefonino dalla tasca dei pantaloni buttati per terra, nel punto in cui c’era stato quel lupo che si era poi dissolto nel nulla. Mi misi a girare per casa con circospezione, ma non c’era nessuno a parte me. Mi sedetti sul divano e accesi la televisione. C’era la replica della cerimonia degli oscar e l’attore Brad Pitt, cingendo la vita di Angelina Jolie, parlava delle sue chance di vincere l’oscar.

    Ho deciso di tornare nella foresta: meglio affrontare le zanzare piuttosto che rischiare che mi appaia, che so, un coccodrillo… Fanculo tutto e tutti! Questo è l’ultimo bicchiere che bevo con te… Sei proprio un uomo strano, e forse mi somigli un po’: hai un’incredibile capacità di ascoltare gli altri… Secondo me tu… ok, forse mi faccio un altro bicchiere con te prima di andarmene. Fanculo tutto e tutti. Non so neanche come ti chiami! Io sono Salmàn…

    –Hassan Blasim, piacere.

  • Hassan Blasim incontra il pubblico al Festival di Internazionale a Ferrara

    Hassan Blasim incontra il pubblico al Festival di Internazionale a Ferrara

    Il pluripremiato autore iracheno Hassan Blasim incontra il pubblico al Festival di Internazionale a Ferrara

    Hassan Blasim autore di “Il matto di piazza della Libertà” ed. il Sirente, collana Altriarabi sarà a Ferrara per un doppio appuntamento il 3 e 4 Ottobre.

    Sabato 3 Ottobre ore 14,30 Teatro Nuovo

    “I sogni di Baghdad” introduce e modera Gad Lerner

    La letteratura irachena prova a raccontare un paese che sprofonda nella guerra

    Intervengono:

    Hassan Blasim, Inaam Kachachi, Ahmed Saadawi.

    Domenica 4 Ottobre ore 10,45 Cortile del Castello

    “Diari di libertà” in diretta con Radio3Mondo

    intervengono:

    Hassan Blasim, Lizanne Foster, Asif Mohiuddin, lettura a cura di Marco Sgarbi

    Hassan Blasim è nato a Baghdad nel 1973. E’ un poeta, regista, blogger e scrittore. Dal 2004, in seguito a problemi scaturiti dalla realizzazione del film Wounded Camera, ha dovuto lasciare l’Iraq e si è rifugiato in Finlandia, dove vive tuttora. Nel 2014 ha vinto l’Independent foreign fiction prize con il libro The Iraqi Christ (Comma Press 2013). Per le nostre edizioni ha pubblicato “Il matto di Piazza della libertà” (2012).

    Il matto di piazza della Libertà” Immaginate un uomo rapito e costretto a dichiarare in video di aver commesso atroci crimini in nome della religione. Oppure un viaggio di clandestini diretti in Europa che si trasforma in una carneficina. Immaginate un soldato che, rimasto chiuso in una stanza per diversi giorni con la sua amata, per sopravvivere si nutre del suo corpo e del suo sangue. Cadaveri che parlano, lupi mannari, teste mozzate, corpi dilaniati o scuoiati, padri che avvelenano le figlie, figli che portano in valigia lo scheletro della madre, morti che scrivono romanzi, suicidi, esplosioni di autobombe, neonazisti che in Europa picchiano a sangue gli immigrati. E poi matti, matti dappertutto, e un confine labile tra il reale e l’irreale. Provate a immaginare tutto questo e altro ancora. Immagini raccapriccianti e scene da brivido, come nella migliore letteratura gotica. Ma questa non è semplicemente letteratura gotica. Questo è l’Iraq. O l’Europa deirifugiati iracheni. Talvolta, sembra dirci Hassan Blasim in questo suo splendido libro d’esordio, la realtà supera la finzione in orrore e crudeltà.

  • Novità Editoriali: “Cani sciolti” di Muhammad Aladdin

    Novità Editoriali: “Cani sciolti” di Muhammad Aladdin

    (in Arab Press, di Claudia Negrini, 30 agosto 2015) | Il 7 settembre apparirà tra gli scaffali delle librerie italiane “Cani sciolti” di Muhammad Aladdin. Il titolo fa riferimento ai giovani nati negli anni ’90, abituati a cavarsela in qualsiasi situazione la vita presenti loro, campando di espedienti e sotterfugi, slegati dalla morale tradizionale. I tre protagonisti appartengono proprio a questa generazione: Ahmed, scrittore di racconti pornografici per un sito internet, è accompagnato da El-Loul che dopo aver fallito come regista televisivo si arrabatta come manager per danzatrici del ventre di scarse capacità e infine da Abdallah l’amico d’infanzia di buona famiglia, assuefatto dalle droghe. Attraverso di loro prende vita la capitale egiziana di Muhammad Aladdin, scrittore di romanzi, racconti e sceneggiature nato al Cairo nel 1979. “Cani sciolti”, tradotto da Barbara Benini, è pubblicato da il Sirente per la collana Altriarabi.

  • Incontro con l’autore Ezzat El Kamhawi

    Incontro con l’autore Ezzat El Kamhawi

    Incontro con l’autore Ezzat El Kamhawi
    Domenica 27 settembre ore 18,30
    Libreria Griot
    (Via di Santa Cecilia 1a, Roma)

    Una città unica, semplice fino all’astrattismo, i cui bianchi palazzi si stagliano alti e leggeri, nel mezzo del deserto. Si dice sia stata eretta in un solo giorno e consacrata alla Dea del piacere. I suoi abitanti, plasmati per rispondere alla chiamata della seduzione e abbandonarsi a carezze lascive, consumati da un desiderio bruciante e inappagabile.

    La città del piacere è un luogo leggendario, in cui reale, illusorio e immaginario si intrecciano e si confondono. Un testo con diversi livelli e registri narrativi, che celatamente descrive alcune città arabe del Golfo dove l’ostentazione del benessere rivela il suo essere effimero.

    La città del Piacere è considerata ad oggi Una delle Espressioni più particolari della produzione letteraria egiziana. Nel diembre del 2012, El Kamhawi ha ricevuto la medaglia “Nagib Mahfuz” per la letteratura

    Interverranno all’incontro l’autore, la prof. Isabella Camera D’Afflitto e la prof. Naglaa Waly

    Ezzat El Kamhawi è nato nel villaggio di Mit Suhayl (Egitto). Si è laureato in Giornalismo all’Università del Cairo, attualmente è vicedirettore del settimanale arabo Akhbar al-Adab. E’ autore di sei romanzi, quattro raccolte di racconti e due saggi di cui uno tradotto in italiano (Vergogna tra le due sponde, 2014). nel 2012 ha ricevuto la medaglia Nagib Mahfoz per il romanzo Bayt al-Dib (2010). La città del piacere è il suo primo romanzo.

  • Logos 2015

    Logos 2015

    Anche questo anno il Sirente sarà a Logos, dal 1 al 4 ottobre 2015. Insieme a noi, oltre a molte case editrici saranno presenti librerie indipendenti, dell’usato e info-shop, per continuare il percorso intrapreso a favore della libera diffusione e fruizione del sapere e del pensiero critico. Librai e libraie trovano a Logos momenti di condivisione di pratiche e conoscenze per continuare a essere un punto di riferimento e un presidio culturale sui territori.Insieme a loro partecipano le biblioteche popolari di Roma riunite nella rete RABBIA, presidio dal basso per una cultura libera e indipendente. In questo quadro lettori e lettrici possono trovare un’oasi di riferimenti e stimoli accessibili a tutt*.
    • Giovedì 1 Ottobre dalle 18:00 alle 24:00
    • Venerdì 2 Ottobre dalle 18.00 alle 24:00
    • Sabato  3 Ottobre dalle 11:00 alle 24:00
    • Domenica 4 Ottobre dalle 12:00 alle 20:00
  • Medio Occidente (Beppi Chiuppani), recensione di Luca Menichetti per Lankelot

    Medio Occidente (Beppi Chiuppani), recensione di Luca Menichetti per Lankelot

    Lankelot – Medio Occidente (Beppi Chiuppani), recensione di Luca Menichetti

    Luca Menichetti | Lankelot | 20 luglio 2015

    Lankelot“Quel viaggio era incredibile, si disse Agata: non aveva incontrato un illuminista a Damasco!? E tanto più Faruq dimostrava la peculiarità della sua vita, tanto più lei si sentiva attratta da lui; no, Faruq non aveva niente a che fare con gli stereotipi della diversità” (pp.75); “Finalmente avrebbe potuto vivere dentro a quell’orizzonte della modernità di cui fino adesso aveva potuto solo sognare” (pp.84). Questi brani tratti da “Medio Occidente” contengono alcune parole chiave che poi il lettore ritroverà nelle pagine ambientate in veneto e che hanno fatto scrivere a Raffaello Palumbo Mosca, autore della postfazione, di un “romanzo di idee”. Racconto che ha inizio poco prima l’inizio della guerra civile siriana e che appunto si concretizza in un doppio viaggio. Prima è la sensibile e disincantata Agata, figlia di un rampante e cinico imprenditore edile veneto, a recarsi in quel di Damasco per una vacanza – studio, pretesto per terminare una tesi di laurea e probabilmente per mettere alla prova i suoi sogni di indipendenza. Poi è la volta di Faruq, discendente di una vecchia famiglia damascena ormai impoverita, a recarsi in quel di Padova, invitato e aiutato proprio da Agata, sia per tentare di sbarcare il lunario e così aiutare la sua famiglia, sia finalmente per vivere la quotidianità in una civiltà liberale, democratica e quindi immunizzata da quella corruzione e oppressione che invece è fondamento del regime di Bashar al-Assad: “doveva essere l’occasione di mettere a fuoco i principi di una vita diversa proprio per poter ripensare la conformazione della sua società d’origine” (pp.89).

    Faruq è laureato, ha intrapreso il dottorato, di fatto è più istruito della stessa Agata, ma in Italia deve accontentarsi di un posto di aiuto manovale: inizialmente è un pedaggio che il giovane arabo si sente di pagare, non fosse altro che con la sua amica italiana inizia una relazione; poi le cose precipitano quando viene a sapere delle irregolarità presenti nel cantiere e che il suo datore di lavoro è proprio il padre di Agata, ancora all’oscuro delle frequentazioni della figlia.
    Sono la provincia veneta, i suoi capannoni, l’ambiente della buona borghesia, che però inizia a conoscere momenti di grave crisi imprenditoriale, a diventare elementi fondamentali di un racconto che Palumbo Mosca intende come “atto d’amore per una civiltà umanistica vagheggiata e perduta, così in Siria come in Italia” e in cui “ovunque i valori della modernità secolare e illuminata sembrano irrecuperabili, negati e vilipesi” (pp.291). Il “Medio Occidente” del titolo allora diventa comprensibile. Scopriamo un Veneto – più in generale un’Italia del guadagno facile e dell’altrettanto facile declino – sorprendentemente affine alla Siria di Faruq, dove le antiche vestigia della Serenissima appaiono quasi più orientali del suq al-Hamidiyyeh di Damasco e dell’esclusivoquartiere Abu Roumaneh; e lo stesso territorio ricorda il Medio Oriente (o, nel nostro caso, al Medio Occidente): “il paesaggio veneto assomigliava proprio al sogno di una Siria verde” (pp.234).

    Opera complessa ma non difficile, il romanzo di Chiuppani sfiora e, talvolta, introduce diverse tematiche, per lo più da considerarsi in rapporto al tema dell’identità europea e della conseguente decadenza dell’etica e della civiltà umanistica; in tutta evidenza anche nel raccontare la relazione semi-clandestina tra l’ostinato Faruq e la fragile Agata, discendente della Padova bene. Potremmo quindi considerare il Veneto di Medio Occidente come simbolo di qualcosa che investe l’intera Italia e gran parte del cosiddetto mondo civile, ormai avvelenati dal pregiudizio e soprattutto da un’idea distorta di modernità: “era pieno di immobili inutilizzati ma si continuava a costruire, pure chi come lui lavorava nel settore doveva riconoscere l’assurdità di quella situazione” (pp.167). Pagine che oltretutto rispondono efficacemente alla definizione, già ricordata, di “romanzo di idee”: “Quello che gli italiani avevano era il liberalismo all’incontrario, qui i sedicenti liberali erano i veri populisti: avrebbero scavalcato qualsiasi regola e violato qualsiasi libertà pur di arrivare dove volevano” (pp.277). Peculiarità che investe anche il lato stilistico del romanzo. A fronte di una letteratura recente che è spesso caratterizzata da frasi brevi, con abbondanza di dialoghi, un procedere “asciutto” ma sostanzialmente poco personale, quelli che potrebbero essere considerati difetti della prosa di Chiuppani – a volte forse frasi fin troppo lunghe e apparentemente più consone ad un testo di saggistica –  rendono “Medio Occidente” opera tutt’altro che banale e degna di una rinnovata considerazione. Tanto che il numero limitato dei dialoghi, sostituiti da un persistente e limpido flusso di coscienza da parte di Agata e di Faruq, ci consente di parlare anche di una sorta di “romanzo di pensieri”. La conclusione del racconto, giustamente aperta e coincidente con l’inizio della guerra civile siriana, appare malinconica e nel contempo non nega la speranza e un lieto fine.

    EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE:

    Beppi Chiuppani,cresciuto a Bassano del Grappa, si è dedicato alla cultura umanistica europea a Padova, Parigi e Lisbona, e ha indagato le tradizioni letterarie del Medio Oriente al Cairo (American University) e a Damasco (Institut Français d’Études Arabes). Ha quindi ottenuto il dottorato in Letteratura Comparata presso la University of Chicago, dove è stato per anni osservatore della società nordamericana. È narratore e saggista, e “Medio Occidente” è il suo primo romanzo.

    Beppi Chiuppani,“Medio Occidente”, Il Sirente (collana Comunità alternative), Fagnano Alto 2014, pp. 160. Postfazione di Raffaello Palumbo Mosca.

    Luca Menichetti. Lankelot, luglio 2015

  • INTRAviste – Il racconto a puntate: La Morte è un vampiro di gomma [I]

    In un presente che profonde instabilità, con l’Europa appesa al filo delle trattative, un qualunque lunedì di luglio, ma preferibilmente questo, recuperare l’affascinante tradizione letteraria del racconto a puntate conferisce alla vita sul web nuovi orizzonti di speranza e un non trascurabile tocco d’antan.

    La Morte è un vampiro di gomma
    un racconto a puntate

    parte prima

    morte

    Paola Levizzi

    5 aprile ore 13: 40

    Troppa fierezza di sé e nemmeno non dico una cura per il cancro ma una valida soluzione – definitiva – per l’annosa questione dei peli incarniti. INVIO

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    Paola Levizzi

    5 aprile ore 14: 02

    Perché forse la cosa che meno sopporto di questo narcisismo imperante, della digitalizzazione dell’identità, dello sdoganamento dell’ego… è che la gente non trova più il tempo per disprezzarsi in solitudine e cercare di migliorarsi almeno un po’ … e solo come dovere verso un ideale di umanità, eh, con requisiti minimi non spendibili per nessun cazzo di gara di popolarità!

    (804MiPiace 623Commenti)

     

    Paola Levizzi alzò lo sguardo dallo schermo del portatile e lo fissò nel turchese della tenda ikea che copriva la finestra della sua camera da letto. Certi colori hanno un’intensità che vorrebbe fondercisi dentro, appartenervi come a un rifugio a pochi passi dalla realtà. Il riflesso azzurro che si allungava su parte del soffitto e delle pareti sembrava un richiamo, un annuncio indecifrabile di bellezza taciuta, fiera nella sua inaccessibilità.

    La stanza, piccola e ben ordinata, rispettava in molte parti del suo arredamento uno standard di dignitosa insignificanza; le assi di legno che componevano il pavimento tradivano una cura non proprio meticolosa: l’insieme tuttavia era accogliente.

    Paola si avvicinò al vetro del balcone alle sue spalle per osservare all’esterno i segni di un temporale imminente. La sommità di un albero poco lontano si chinava sotto la spinta del vento; i rami dal folto fogliame verdeggiavano scossi con forza.

    Il cielo era una minaccia di bagliori lontani; nell’aria gravava il senso di un eterno presente.

    Come ingannare l’attesa della Morte?

    Un gabbiano disegnò col suo passaggio un lungo segmento divisorio sopra il tetto arancione della palazzina di fronte, lanciato a gran velocità verso l’ignoto, di cui parziale certezza andava assumendo la pioggia. Il tavolino e le sedie sul balcone presero a sgocciolare con frequenza crescente; sui listelli lignei della base del balcone gocce di pioggia rimbalzavano vivaci.

    Suonò il citofono. Paola si voltò con cautela e guardò l’orologio affisso alla parete alla sua destra. Mancavano otto minuti alle quattro. Si avvicinò alla libreria e trasse dalla sua custodia il registratore. Lo accese, riponendolo sui libri della quarta mensola, ad altezza sguardo. Il congegno adesso era posato di lunghezza sulla collana di classici tascabili, Pirandello e Proust gli facevano da giaciglio. Il citofono suonò nuovamente, questa volta in modo più discreto. Paola sganciò il ricevitore.

    -Sì? – domandò.

    -Dott.ssa Levizzi, sono La Morte – le rispose una voce incolore.

    -Sì, prego, terzo piano, scala C– illustrò Paola con leggera ansia.

    Paola si guardò allo specchio posto alla destra della porta d’ingresso: la piega dei capelli le sembrò soddisfacente: sobria e ordinata, le conferiva un’aria professionale, come l’occasione richiedeva. Lo sguardo era aperto ma severo, pronto a lasciar trapelare l’ironia, responsabile dell’immagine di giornalista satirica tanto amata e popolare presso  cultori dell’ osservazione pungente e sostenitori dell’ intervento sferzante elevato a bandiera di intelligenza.

    La morte saliva le scale a piedi, apprese Paola nell’aprire la porta di casa; quando da un breve sguardo al display dell’ascensore si accorse che era guasto, maledisse al volo i tecnici della manutenzione, soliti farle fare pessime figure con gli ospiti. Lo sguardo fisso verso le scale, inconsapevole della punta della scarpa che scandiva l’attesa, Paola realizzò di lì a poco e con notevole stupore che La Morte assomigliava ai vampiri dei cartoni animati. Una creatura dall’età e dal sesso indefinibili si apprestava infatti a svoltare sul pianerottolo dopo una rampa di scale, reggendo un lungo mantello nero con le mani, affinché non ne intralciasse il passo.

    Ciò che la rendeva in tutto simile a una rappresentazione di Dracula di un vecchio cartone animato della sua infanzia, outfit a parte – annotava mentalmente Paola senza staccarle gli occhi di dosso, mentre La Morte proseguiva la sua scalata – era la forma del capo, oblunga; la pelle aveva un colorito grigiastro, ma stranamente luminoso; anche i capelli, nerissimi, sembravano risplendere. Senza che i due proferissero motto, Paola si ritrovò di fronte l’oscura entità da tutti temuta e rispettata, l’implacabile mietitrice di esistenze, colei il cui pensiero l’umanità scaccia a suon di vane distrazioni….

    Paola superava La Morte in altezza di tutta la testa; provvista di un corpo flaccido e grassoccio, La Morte non sembrava emanare odori particolari, ma un alone freddo e inumano la avvolgeva. Tese a Paola la mano ma Paola, in un’ondata di raccapriccio, preferì ignorare il gesto: presentiva il contatto spiacevole, oltre i limiti imposti dall’educazione, ben al di là della sua soglia di sopportazione.

    -Bene, facciamo presto – disse piano La Morte.

    Paola, ancora in preda al disgusto, si fece da parte, e La Morte solcò a passi regolari la stampa cachemire – sfondo blu – del lungo tappeto che rivestiva il corridoio d’ingresso della piccola abitazione. Senza indugi si ritrovò a varcare la soglia dell’ intimo salottino dal quale poco prima Paola soppesava impressioni sulla pioggia.

    Può accomodarsi sul divano – disse Paola, indicando con un cenno disinvolto un sofà nero dall’aria soffice e invitante. La Morte, ferma al centro della stanza, passava in rassegna gli oggetti che la circondavano con una sorta di zelo malinconico. Si soffermò sul vaso di cristallo ricolmo di fiori gialli recisi, al centro del tavolo. -Narcisi – disse solo, prima di richiudersi in un mutismo inquietante.

    Tutto questo, aveva l’aria di pensare, è destinato a sparire.

    [continua…]

     

    Racconto a puntate di Simona Ciniglio

     

  • Il cuore e le contraddizioni dell’Angola nei romanzi di Ondjaki, intervista di Luca Onesti a Ondjaki

    Luca Onesti ¦ art a part of cult(ure), remove background noise ¦ 22 febbraio 2014

    Il cuore e le contraddizioni dell’Angola nei romanzi di Ondjaki

    intervista di Luca Onesti a Ondjaki, vincitore nel 2013 del Premio Saramago e autore di NonnaDiciannove e il segreto del sovietico (Il Sirente 2015) apparsa su “art a part of cult(ure), remove background noise”, 22 febbraio 2014.

     

    OndjakiClose-1024x680Il Premio Saramago, giunto nel 2013 all’ottava edizione, viene attribuito ogni due anni ad uno scrittore di lingua portoghese under 35. Il premio celebra l’attribuzione nel 1998 del Premio Nobel a José Saramago ed ha visto tra i suoi vincitori alcuni tra i maggiori scrittori di lingua portoghese, come Gonçalo M. Tavares e José Luís Peixoto, tra gli altri. Nel dicembre 2013 è stata annunciata la vittoria di Ondjaki (pseudonimo di Ndalu de Almeida), scrittore angolano trentacinquenne, per il libro Os transparentes, ritratto collettivo e contemporaneo della città di Luanda. In traduzione italiana sono state pubblicate le opere: Il Fischiatore e Le aurore della notte dell’editore Lavoro e Buongiorno compagni! dall’editore Iacobelli.
    Ho incontrato Ondjaki nei giorni successivi al conferimento del premio, a Lisbona. L’intervista che segue riassume la lunga chiacchierata con lo scrittore.

    Ho letto che sei stato spesso in Italia e che vi hai completato anche il dottorato di ricerca. Dove?

    A Napoli, all’Università L’Orientale. La tesi di dottorato riguardava i discorsi orali della città di Luanda, a partire dalle estigas, che sono dei giochi orali, delle dispute tra bambini, per arrivare al rap, al kuduro, alla letteratura. E una parte di questo lavoro è confluita ne Os transparentes.
    Una città italiana che mi è piaciuta molto è stata Como, non avevo mai visto un lago così grande e sono rimasto molto impressionato. È stato a seguito di quella visita che ho scritto O assobiador, in cui una donna cammina sempre vicino ad un lago. Il libro è ambientato in Africa e molti, leggendolo, hanno pensato ai laghi africani. Invece l’idea, l’immagine che mi ha ispirato nello scrivere il libro è stata quella del lago di Como. Ed è stato prima che George Clooney comprasse casa là!

    Parliamo di “Os transparentes”, con cui hai vinto il premio Saramago. È un libro corale, che racconta la città di Luanda attraverso molti personaggi, molte storie…

    C’è un personaggio centrale, Odonato, che è l’uomo che diventa trasparente, e c’è un palazzo come epicentro del raccontare, ma il grande personaggio è la città e perciò i ministri, i poveri, il venditore di conchiglie, tutta questa gente forma un puzzle che parla di Luanda come di un luogo anonimo e collettivo. Allo stesso tempo bisogna parlare delle persone, perché un povero non è uguale a un ricco in nessuna parte del mondo, e allo stesso tempo un povero angolano non è uguale a un povero, ad esempio, svedese. Sono povertà differenti, nonostante il fatto che entrambi possono essere chiamati poveri. Il romanzo, mi è stato detto, è confuso… Ma Luanda è confusa! È una confusione tutti i giorni, a tutte le ore. Più confusa di Luanda c’è solo Napoli! Mi piace molto il traffico di Napoli, perché mi fa ricordare Luanda.

    Questa galleria di personaggi dà al libro una dimensione più politica rispetto ai primi libri, in cui raccontavi una Luanda dei bambini.

    In altri libri il narratore che è bambino vuole vedere certe cose, e vede il politico sotto la prospettiva del bambino. Qui no, c’è un narratore assente. I personaggi sono eminentemente politici, c’è il presidente, il ministro, l’assessore del ministro e gli assessori dell’assessore. C’è una scena del libro in cui il partito di governo, l’MPLA, ordina di cancellare un’eclisse solare e la NASA conferma che l’eclissi non ci sarà perché qualcosa è cambiato nell’allineamento dei pianeti. Se un partito può cambiare l’universo che cosa non può cambiare nel suo stesso paese?

    Lo stesso titolo ha questa connotazione politica?

    Ho sentito qualcuno che, confondendosi, ha chiamato il libro “Gli invisibili”. Ma è diverso, perché l’invisibile è ciò che non possiamo vedere, il trasparente invece è qualcosa che tu sai che è lì, potresti vederlo, ma scegli di non vederlo, scegli di vederci attraverso.

    Ci sono molti tuoi libri che parlano dell’infanzia. L’ultimo che hai scritto, Uma Escuridão Bonita, un libro illustrato da António Jorge Gonçalves, è un libro rivolto ai bambini…

    E invece io non credo che lo sia. Altri sì ma non Escuridão. Un bambino può leggerlo, un amico ha un figlio di cinque anni che adora il libro, ma è meno semplice di quello che sembra. Il libro è una prosa poetica su quasi niente, un lungo poema sulla oscurità e su una conversazione.

    Da dove nasce questo tuo raccontare attraverso la voce di un bambino?

    La prima volta che ho scoperto questo narratore infantile è stata quando ho scritto Bom dia camaradas, e mi è congeniale perché è un narratore che finge di non aver capito niente. A fingere sono io che scrivo, è come se portassi il narratore con me e gli dicessi: tu fingi che non stai vedendo… Questa innocenza, questa falsa innocenza è quella che a volte uso anche nella mia quotidianità ed è questa che mi interessa, da un punto di vista letterario, perché è vero che i bambini vedono cose che noi non vediamo. Ma è anche una grande bugia, perché quello che il narratore vede nei miei libri un bambino non lo avrebbe visto.

    Hai voluto usare questa voce anche per spiegare alle persone come si viveva, negli anni ’80, in un paese socialista…

    E attenzione, il socialismo in un paese come la Romania è una cosa, il socialismo adattato alla realtà africana è un’altra cosa. Tanto che noi avevamo un’espressione per spiegarlo: “socialismo schematico”. Le regole erano così rigide, e quella in cui vivevamo non era una città rigida. Tutto questo generava schemi, non la corruzione, perché la corruzione è venuta più tardi. C’è stato un momento in Angola che non bastavano i soldi per corrompere. Mio padre riceveva il suo salario e lo conservava in casa, tutti avevano soldi, ma non si poteva comprare niente col denaro.
    È ovvio poi che noi non avevamo nozione, ad esempio, della mancanza di libertà di espressione. Andare ai comizi del compagno presidente per me era una meraviglia, non c’era lezione, uscivamo da scuola marciando, andavamo per la città con le bluse, cantavamo l’inno e poi tornavamo a casa. C’era un’illusione e una semplicità e noi eravamo bambini felici. Si può pensare che fossimo vittime del comunismo, ma io non avevo la nozione che ci potesse essere altro, per me quella era la realtà. Solo più tardi ho cominciato a capire che non è proprio così. Però credo che ci sono aspetti del socialismo schematico che sono mille volte migliori del capitalismo cannibale, non selvaggio ma cannibale, che abbiamo ora in Angola.

    Com’è stata la transizione dalla fine del comunismo a oggi?

    L’Angola era dominata dal fascismo portoghese di Salazar, e ne è uscita con una lotta di liberazione nazionale. Con il 25 aprile del ’74 (la Rivoluzione dei garofani in Portogallo, ndr) l’uscita dei portoghesi è stata così repentina che la classe media è scomparsa. E c’è stato un partito al potere che ha detto: adesso siamo un paese marxista leninista. E poi, dopo la caduta del muro di Berlino, siamo passati a questa follia che nessuno sa cos’è. E il presidente dice: adesso è democrazia. Ma la democrazia non è arrivare e dire adesso è democrazia, ci vuole tempo. Noi abbiamo un sistema pluripartitico dove ci sono delle regole ma non stiamo ancora vivendo in una democrazia. Ma, in tutta sincerità, non so qual è il paese nel mondo in questo momento che sta vivendo una democrazia, tale e quale è definita. Che cos’è la democrazia oggi in Europa? È questo: ti inganno, tu mi voti e per quattro o cinque anni faccio quello che mi pare, solo quando ci saranno le prossime elezioni potrai reclamare.

    Negli ultimi mesi c’è stata qualche tensione diplomatica tra Portogallo e Angola. Come vedi il rapporto tra i due paesi?

    L’Angola ha una sensibilità un po’ aggressiva perché noi siamo indipendenti da meno di 40 anni, ed è comprensibile, specie quando ti relazioni con il paese che ti ha colonizzato. A livello internazionale poi, c’è una particolare attenzione, comprensibile anche questa, da parte del Portogallo ma anche di altri paesi, alla politica angolana. Ma soprattutto, c’è un intreccio, un incrocio tra una crisi che ha anche aspetti finanziari e l’apogeo finanziario dell’élite angolana. C’è un grande volume d’affari con l’Angola e questa è una cosa che non si può ignorare, ma se il Portogallo si relaziona con altri paesi in funzione della crisi rimane diplomaticamente disarmato.
    Riguardo a questa tensioni diplomatiche, una bella risposta l’ho sentita dire in tv da un dirigente angolano, che ha detto: il popolo, sia quello angolano che quello portoghese, si è già espresso. I due popoli vogliono essere amici, sono amici, sono fratelli. Ora rimane il problema diplomatico e quello siamo noi a doverlo risolvere.

     

    Il cuore e le contraddizioni dell’Angola nei romanzi di Ondjiaki, intervista di Luca Onesti a Ondjaki

  • Passaggi: Taxi di Khaled al-Khamissi

    Passaggi: Taxi di Khaled al-Khamissi

    ArabPress | Venerdì 8 maggio 2015 | Claudia Negrini | Passaggi: “Taxi” di Khaled al-Khamissi

    Dal blog Mille e una pagina di Claudia Negrini

    Questo passaggio è tratto da “Taxi” di Khaled al-Khamissi ed è stato pubblicato in lingua originale nel 2007, ben prima della Primavera Araba e dell’avvento e caduta dei Fratelli Mussulmani, eppure mi ha affascinato vedere quanto questo dialogo sia stato profetico.

    TASSISTA: Che Dio mi perdoni se non prego e non vado in moschea…non ho tempo:lavoro tutto il giorno! Pure il digiuno durante in Ramadan, un giorno lo faccio e due no: non ci riesco a lavorare senza sigarette! Eppure, vorrei vedere con tutto il cuore i Fratelli Musulmani salire al potere…e perché no? Dopo le parlamentari si è visto che la gente li vuole.

    IO: Ma se prendono il potere e vengono a sapere che tu non preghi ti appenderanno per i piedi.

    TASSISTA: Macché, allora in andrò a pregare in moschea, davanti a tutti quanti.

    IO: Perché li vuoi al potere?

    TASSISTA: E perché no?! Abbiamo già provato tutto. Provammo il re e non funzionava, provammo il socialismo con Nasser e nel pieno del socialismo ci stavano i gran pascià dell’esercito e dei servizi segreti. Poi provammo una via di mezzo e alla fine siamo arrivati al capitalismo che però ha i monopoli, il settore pubblico che scoppia, la dittatura e lo stato d’emergenza. E ci hanno fatto diventare pure un poco americani e tra poco pure israeliani; e allora perché non proviamo pure i Fratelli Musulmani? Chi lo sa, va a finire che funzionano.

    IO: In fin dei conti vuoi fare solo una prova… al massimo puoi provare un pantalone largo con una camicia stretta, ma provare col futuro del paese…

    da “Taxi” di Khaled al-Khamissi, Editrice il Sirente, 2008

    Taxi
    Taxi
  • Selected Areas of ltalian Tort Law, di R. Spitzmiller (recensione di M. Bussani)

    Selected Areas of ltalian Tort Law, di R. Spitzmiller (recensione di M. Bussani)

    Selected Areas of ltalian Tort Law, di R. Spitzmiller (recensione di M. Bussani)

    Revue internationale de droit comparé | 1-2013 | Mauro Bussani

    https://www.sirente.it/book/9788887847376.jpg

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  • La rivista di Arablit | 1 febbraio 2011 | Ada Barbaro | La città del piacere

    La rivista di Arablit | 1 febbraio 2011 | Ada Barbaro | La città del piacere

    La rivista di Arablit | 1 febbraio 2011 | Ada Barbaro

     

    ‘Izzat al-Qamḥāwī, Madīnat al-laḏḏah (La città del piacere), Hay’at quṣūr al-ṯaqāfah, al-Qāhirah 1997; seconda edizione Dār al-‘ayn, al-Qāhirah 2009, pp. 102.

    città_del_piacere«Questo libro appartiene ad una scrittura nuova e ad una visione ancora più innovativa, dove originalità si mescola a modernità, cultura celata dei sentimenti a lingua moderna e traboccante; questo romanzo rappresenta una voce forte e ben distinta, che si accompagna ad altre voci nel panorama letterario contemporaneo, fondato su una scrittura nuova e su prospettive capaci di contenere le ansie dell‟uomo e del reale, espresse in modi differenti»(1).

    Questo il giudizio di Ğamāl al-Ġīṭānī, tra le voci più autorevoli della letteratura araba contemporanea, quando il romanzo è apparso la prima volta nel 1997, pubblicato dalla casa editrice cairota Hay’at Quṣūr al-Ṯaqāfah. Il testo è giunto ad una seconda ristampa nel 2009 ed è considerato oggi una delle espressioni più particolari della produzione letteraria egiziana.

    L’autore, ‘Izzat al-Qamḥāwī, è un noto scrittore e giornalista: nella sua vasta produzione letteraria Madīnat al-laḏḏah (La città del piacere) spicca per originalità tanto nello stile che nelle tematiche affrontate, per ricercatezza linguistica ed espressività letteraria. Il lettore ne rimane ammaliato e avvinto, vittima di quello che, con una forse non troppo casuale assonanza dei temi, il critico letterario francese Roland Barthes aveva teorizzato come “il piacere del testo”(2).

    Protagonista di questo romanzo è una città fuori dal tempo e dallo spazio, moderna realizzazione di una sorta di utopia, plasmata in fretta e furia da un abile architetto. Consacrata alla Dea del Piacere che qui aveva costruito la sua roccaforte, questa località può, con le sue sembianze e il suo candore, ingannare i visitatori che si apprestano a lasciarsi condurre nei suoi sentieri. Non vi sono personaggi particolari che restano impressi nella mente del lettore: gli abitanti sono delle ombre, catturate nella loro intima essenza. Vi è una felicità mista a malinconia che alberga nei cuori di questi uomini, dediti alla pratica del piacere, imprigionati in corpi leggeri fatti di luce abbagliante.

    L‟autore indulge in descrizioni che sfiorano la poesia per rendere percepibili le sfumature della vita di questo luogo, dove non vi è tempo per la tristezza, poiché gli occhi non potranno piangere, accecati dai colori dell‟arcobaleno che si riflettono nei cristalli delle vetrine.

    Ecco dunque al-Qamḥāwī disposto a ricostruire la storia di questa città, tessuta attraverso rimandi ai racconti di anziani, all‟intrecciarsi di miti, leggende e versi d‟ispirazione coranica, che rendono il testo quanto mai suggestivo. Gli anziani assicurano che la città del piacere fu costruita dai ginn, la cui essenza si manifesta nella razionalità delle costruzioni. Nei libri di storia si attesta che la città rimase vuota per settantamila anni, fino a quando la Dea del Piacere non vi scese per infondere la sua bellezza, preannunciando una sua nuova apparizione dopo un identico
    arco temporale, quando il desiderio sarebbe stato sul punto di dissolversi tra gli abitanti. Sicché questi ultimi, ammaliati dalla bellezza della dea, ne divennero schiavi.

    al-Qamḥāwī prova poi a ricercare le cause della graduale rovina di questa remota località piena di simboli: in essa l‟autore recupera la dimensione mitologica del labirinto, sulla cui costruzione si fondono storie diverse. Secondo la tradizione, un indovino predisse al sovrano l‟imminente crollo del suo regno dovuto ad un uomo e una donna, dediti ai piaceri dell‟amore. Fu allora che il re, intimorito, ordinò la realizzazione di un dedalo in cui rinchiudere i due amanti. Ma le leggende riportate dall‟autore sono a tal proposito contrastanti. Alcuni ricordano che fu un ministro, impietosito dalla vicenda dei due amanti, a far erigere il labirinto, di modo che, lì rinchiusi, i due potessero vivere senza problemi; per altri ancora furono proprio i due amanti a realizzare il labirinto, per serbare la loro anima; per
    altri, infine, fu la Dea del Piacere ad edificarlo, quando si accorse che la propria bellezza scatenava l‟invidia altrui. Questo intricato dedalo di strade sembrerebbe avere le stesse caratteristiche della città: lì gli amanti continuerebbero a vagare ancora oggi nel regno del piacere che in esso alberga. Intorno a questa immagine al-Qamḥāwī intreccia la sua storia, dimenticando la mitologica presenza del labirinto per buona parte della narrazione fino a quando, sul finire del libro, la voce narrante incontra un anziano uomo ormai impazzito a causa delle istituzioni di questo luogo: sarà proprio l‟uomo a svelare l‟ultimo lato nascosto di questa remota località. E così la città, un tempo impenetrabile, è pronta ad essere contaminata dal fascino di due folli invenzioni: le patatine fritte e la pepsi-cola.
    Il romanzo di al-Qamḥāwī si pone dunque come una sorta di sperimentazione nella narrativa araba contemporanea: la dimensione sociale del testo è apparentemente celata eppure, con una narrazione che a tratti ha quasi il sapore di una fiaba, l‟autore affronta questioni piuttosto scottanti, lasciando divenire questa città un luogo in cui si condensano i difetti e gli errori dell‟uomo moderno.

    Ada Barbaro

    NOTE
    1 Si veda a tal proposito la presentazione fatta al testo di al-Qamḥāwī dalla casa editrice Dār
    al-„Ayn quando l‟opera è stata ristampata nel 2009. Si rimanda al link www.elainpublishing.com
    2 Roland Barthes, Variazioni sulla scrittura. Il piacere del testo, Einaudi, Torino 1999.

    Parole chiave: Città del piacere – Letteratura araba –

  • Hillbrow: la mappa (“Benvenuti a Hillbrow”, di Phaswane Mpe, estratto dal primo capitolo)

    Hillbrow: la mappa (“Benvenuti a Hillbrow”, di Phaswane Mpe, estratto dal primo capitolo)

    Hillbrow: la mappa

    Se tu fossi ancora vivo, Refentše, ragazzo di Tiragalong, saresti felice della sconfitta dei Bafana Bafana contro la Francia nella Coppa del mondo di calcio del 1998. Ovviamente tu la squadra la sostenevi. Ma almeno ora non proveresti fastidio nell’andare al tuo appartamento attraverso le strade di Hillbrow – località grande poco più di un chilometro quadrato secondo i registri ufficiali, ma secondo i suoi abitanti grande almeno il doppio e brulicante di gente. Ricorderesti l’ultima occasione quando nel 1995 i Bafana Bafana vinsero contro la Costa d’Avorio e nella loro esultanza le persone di Hillbrow lanciarono dai loro balconi bottiglie di ogni tipo. Pochi arditi, vantandosi di una serie di abilità al volante, facevano roteare e volteggiare le loro macchine per le vie, facendo circoli e inversioni a U su tutta la carreggiata. Ti ricorderesti la bambina, di circa sette anni o giù di lì, che fu investita da una macchina. Le sue urla a mezz’aria ancora risuonano nella tua memoria. Quando sbatté sul marciapiede di cemento di Hillbrow, le sue urla morirono con lei. Un giovane che stava proprio dietro a te urlò: «Uccidi quel bastardo!»

    Ma l’autista se ne era andato. La polizia stradale, arrivata pochi minuti dopo, si limitò a verificare che l’arresto era sfumato. Molti, dopo un momento silenzioso di stupore per le gravi conseguenze della vittoria calcistica, ripresero a cantare la loro canzone: Shosholoza… suonavano le sue melodie da Wolmarans Street, sull’orlo del centro di Johannesburg, in cima alla Clarendon Place, al limite del tranquillo sobborgo di Parktown. Shosholoza… copriva i singhiozzi soffocati della madre della bimba deceduta.

    Benvenuti a Hillbrow…

    Il tuo primo ingresso a Hillbrow, Refentše, era il punto di arrivo di molte strade convergenti. Non ricordi dove il cammino ebbe inizio. Ma sai anche troppo bene che le storie dei migranti avevano parecchio a che fare con tale inizio. Dal tempo in cui lasciasti la scuola superiore per giungere all’Università del Witwatersrand, all’alba del 1991, sapevi già che Hillbrow era un mostro, che minacciava i suoi vicini come Berea e il centro di Johannesburg, e che grandi compagnie lungimiranti erano in procinto di abbandonare il centro, puntando verso sobborghi del nord, come Sandton. Era tuttavia difficile resistere al richiamo del mostro; Hilllbrow aveva inghiottito molti dei bambini di Tiragalong, convinti che la Città dell’Oro rappresentasse per loro una grande opportunità di carriera. Una delle storie che ricordi in modo vivido era quella di un giovane morto di uno strano male nel 1990, quando tu ti stavi immatricolando. I migranti dissero che poteva solo essere stato l’AIDS. Del resto, non era stato visto vagare per i bordelli e gli sporchi pub di Hillbrow?

    Mentre i suoi poveri genitori pensavano che egli stesse lavorando giù in città, a guadagnarsi un sacco di farina di granoturco da mandare alla fattoria per tutti quanti. I migranti, che per lo più lo consideravano un fratello ostinato, che si era ammalato perché si turava le orecchie con gomma da masticare mentre loro gli davano consigli, dicevano anche che egli era stato spesso visto con donne Makwerekwere, abbarbicate alle sue braccia e intente a riempirlo di baci zuccherini, che avrebbero di certo distrutto qualsiasi uomo, tanto più un giovane sensibile come lui.

    Morì, povero ragazzo; di cosa di preciso, nessuno lo sapeva. Ma a Hillbrow si diffusero strani mali, che come Tiragalong sapeva bene, potevano solo significare AIDS. Questo AIDS, secondo le convinzioni del popolo, era causato da germi stranieri arrivati dalle zone centrali e occidentali dell’Africa. Più precisamente, certi articoli di giornale attribuivano l’origine del virus che causava l’AIDS a una specie chiamata Scimmia Verde, la cui carne veniva mangiata da certe popolazioni in alcune zone dell’Africa occidentale, che per questo contraevano il male. I migranti (che a Tiragalong erano fonti autorevoli di informazione su tutte le questioni importanti) dedussero da questi articoli di giornale che la via di accesso dell’AIDS a Johannesburg passasse attraverso le Makwerekwere; e Hillbrow fosse il santuario in cui le Makwerekwere si beavano.

    Taluni si spinsero addirittura oltre, sostenendo che l’AIDS era causato dal bizzarro comportamento sessuale degli abitanti di Hillbrow.

    Come poteva un uomo far sesso con un altro uomo? Volevano sapere.

    Quelli che sostenevano di esserne informati – sebbene nessuno questo tipo di sesso potesse ammettere di averlo visto o praticato di persona – dicevano che si faceva per via anale. Spiegavano anche come era fatto – come i cani – per il disgusto della maggior parte delle persone di Tiragalong, che insistevano che l’oscenità e il sesso dovessero essere due cose separate.

    I più si chiedevano se non fosse proprio l’escremento che peni avidi e imprudenti succhiavano fuori da ani egualmente bramosi, a far insorgere queste terribili malattie.

    Tali erano le storie scandalose che giravano tra le chiacchiere informali degli immigrati.

    Per le notizie formali c’era Radio Lebowa – ora Thobela FM – che ogni ora trasmetteva informazioni su furti di auto e sparatorie tra rapinatori e la Squadra Omicidi e Rapine di Johannesburg. Cinque uomini trovati con le costole squarciate da ciò che sembrava esser stato un coltello da macellaio… Due donne stuprate e poi uccise in Quartz Street… Tre nigeriani sfuggiti all’arresto all’Aeroporto Jan Smuts per traffico di droga erano infine stati arrestati in Pretoria Street… Bambini di strada, ubriachi di colla, brandy e di visioni selvagge di se stessi come guidatori in eccesso di velocità dei film di Hollywood, lanciavano le loro macchine costruite con fili di metallo attraverso i semafori rossi, rappresentando una crescente minaccia per chi guidava a Hillbrow, soprattutto in prossimità di Banket e Claim Streets… Almeno otto persone morte e tredici seriamente ferite quando le celebrazioni per il Capodanno presero la forma di torrenti di bottiglie che sgorgavano da nubi incombenti costituite dai balconi delle case. Gli uomini che si avventuravano dalle parti dell’angolo di Quartz e Smit Streets furono avvisati di fare attenzione alla minaccia di prostitute sempre più aggressive… si diceva che alcuni fossero stati stuprati lì di recente…
    Benvenuti a Hillbrow…

    E, naturalmente, la televisione aggiungeva il suo colore ai frammenti delle notizie radio. Il crimine diventava glamour sugli schermi e i rapinatori venivano descritti come se fossero star del cinema. Eroi venuti alla ribalta per il loro coraggio delittuoso e vizioso erano inseguiti da voraci lenti di moderne telecamere, e i ragazzini di Tiragalong emulavano i loro eroi televisivi, guidando le loro macchine fatte di fili di metallo con ruote di palle da tennis.
    Vum… vum… e beep… beep… le loro macchine andavano per le strade di Tiragalong.

    Poi sei arrivato a Hillbrow, Refentše, per vedere tutto con i tuoi occhi, e per inventare la tua storia, se ci riuscivi. Arrivasti a essere un testimone, perché tuo cugino, con il quale stavi andando ad abitare finché non avessi trovato un alloggio studentesco all’Università, stava a Hillbrow, per quanto non esattamente nel centro dell’azione. Perché egli non stava nelle strade principali, Pretoria e Kotze, né Esselen, in qualche modo nota, che correvano tutte parallele l’una all’altra. No! Non stava neanche nella più nota Quartz Street – che collegava perpendicolarmente le tre – che è quello che la gente spesso intende quando dice: «C’è Hillbrow per te!»

    Se provieni dal centro città, il modo migliore per arrivare nel posto dove sta il cugino è guidare o camminare attraverso Twist Street, una strada a senso unico che ti porta nel nord della città. Attraversi Wolmarans e tre strade piuttosto oscure, Kapteijn, Ockerse e Pieterse, prima di guidare o camminare oltre Esselen, Kotze e Pretoria Street. Poi attraverserai Van der Merwe e Goldreich Street. Il tuo prossimo scalo è Caroline Street. Vai sull’altro versante di Caroline. Alla tua sinistra c’è Christ Church, “The Bible Centred Church of Christ”, come annunciano le grandi lettere rosse. Sulla tua destra c’è un condominio chiamato Vickers Place. Ti giri alla tua destra, perché l’ingresso a Vickers è in Caroline Street, proprio all’opposto di un altro edificio, Da Gama Court. Se non sei troppo stanco, ignorerai l’ascensore e salirai per le scale fino al quinto piano, dove sta tuo cugino.

    Finora, non hai visto nessun inseguimento di macchine né assistito a una sparatoria. Incontrasti persone seminude che la tua guida, originaria dello stesso villaggio di Tiragalong, chiama prostitute. Altrimenti, la cosa che risalta nella tua memoria è il movimento estremamente fitto di persone che vanno in tutte le direzioni di Hillbrow, che sembrano provar piacere alle luci al neon del sobborgo, mentre altri appaiono aver fretta di andare al lavoro – o, sì, al lavoro. Adesso, non eravate in grado di dire che cosa il lavoro fosse. Sapevate, tuttavia, che una guida studentesca alle carriere in Sudafrica non lo avrebbe probabilmente inserito tra le sue voci. Ti stupiva che ci fossero così tante persone gomito a gomito nelle strade alle nove di sera. Quando preparavano i loro pasti e andavano a dormire?
    Vickers Place ti colpì come un edificio abbastanza tranquillo. Non ti saresti mai aspettato alcuna tranquillità nella nostra Hillbrow. Ma poi, Caroline Street, dove era situato Vickers, non era al centro di Hillbrow. Il centro era Kotze Street, dove i bazaar OK condividevano il marciapiede con The Fans, pub piuttosto tranquillo, e il più rumoroso The Base. A tagliare perpendicolarmente Kotze c’era Twist Street. Circondato da Twist e Claim Streets, Kotze e Pretoria, c’era Highpoint, il più grande centro commerciale di Hillbrow. Era lì che si trovavano Clicks, Spar, CNA e altri negozi. Era in questo centro che avresti trovato la Standard Bank, con i suoi sportelli per il contante che lampeggiavano Temporaneamente Fuori Servizio, di domenica e durante le vacanze, così come nei giorni settimanali dopo le otto di sera. Volete evitare di essere rapinati? Possibile; ma, nell’operazione, siete costretti a usare a costo extra lo sportello bancomat della First National Bank, all’angolo di Twist e Pretoria, o quello della ABSA, proprio lungo Kotze. Caroline Street non era visibile da questo punto. Né si trovava vicino Catherine Avenue, la frontiera di Hillbrow e Berea, dove i “Checker” erano in competizione per la nostra attenzione finanziaria (quando ne avevamo) con ciò che appariva essere una squallida rivendita di superalcolici terribilmente rumorosa, Jabula Ebusuku; che a sua volta, competeva per il nostro impegno spirituale con il suo vicino, la Universal Kingdom of God. C’era un ulteriore vantaggio per la particolare posizione di Vickers. C’era un’altra filiale di Spar appena due strade più in là, all’angolo di Caroline e Claim Street, così potevi comprare lì i tuoi prodotti di drogheria e altri generi di necessità. Legato in un abbraccio con Spar c’era Sweet Caroline; non il brano musicale di Neil Diamond, ma una melodia differente – un negozio di bottiglie – che leniva l’esaurimento e le papille gustative degli abitanti di Hillbrow in questa parte del nostro mondo. Qui i marciapiedi di cemento, come quelli di Hillbrow interna, pullulavano di commerci irregolari, in forma di banane, mele, cavoli, spinaci e altra frutta e verdura; prodotti di bell’aspetto a prezzi bassi che rendevano l’acquisto di tali prodotti da Spar, Checkers o OK ridicolmente dispendioso. Sì, Quartz Street
    correva vicino a Vickers. Infatti, era la prima strada a est di Vickers, e c’era più attività in Quartz che nella stessa Caroline, o Twist e Claim. Tuttavia, il fatto di essere nelle zone quasi vicine al centro di Hillbrow sembrava aver reso questa parte di Quartz più innocua e gradevole – nella misura in cui qualcosa a Hillbrow possa essere l’uno o l’altro – rispetto ai quartieri più interni nella zona suburbana.

    La quiete durava per la maggior parte della notte. Tuo cugino, dopo averti ben nutrito, ti ha lasciato solo per andare a letto perché piangevi per l’esaurimento. Anche la tua guida se ne è andata con lui. Stavano andando a vedere Hillbrow, dicevano. Tu dormisti nel letto di tuo cugino. Malgrado le tue ansie ti addormentasti.

    Torneranno indietro? ti chiedesti inizialmente. Arriveranno ladri nell’appartamento? E se sì, cosa farò?

    [continua a leggere]

    Benvenuti_a_Hillbrow

    Parole chiave: Hillbrow – Phawane Mpe – Sudafrica – Letteratura africana

     

  • Due titoli per capire meglio l’immigrazione in Francia

    Due titoli per capire meglio l’immigrazione in Francia

    | Portobello’s News | Mercoledì, 3 giugno 2015 | Claudia Spadoni |

    Il silenzio e il tumulto : Nihad Sirees

    Una graphic novel che racconta la storia dell’immigrazione maghrebina in Francia dal 1950 a oggi attraverso le vicende dei diretti interessati: giovani che partono, spesso analfabeti e con una scarsa conoscenza del francese, destinati a lavori di bassa manovalanza (“Se ti chiami Mohamed finisci alla catena di montaggio”), parcheggiati in enormi dormitori; donne che sperano in un futuro migliore in Francia; le nuove generazioni in cerca del loro posto nel mondo. Basato sul noto Mémoires d’immigrés di Yamina Benguigui e tradotto da Ilaria Vitali, è la storia dei tanti Mohamed, Abdel, Ahmed ma anche di donne come Zorah e Fatma e dei più giovani Farid e Mounsi a scorrere nelle pagine, ognuna con il proprio carico di speranze e illusioni. Andrebbe fatto leggere nelle scuole (e in molte case).

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  • Recensione di “NonnaDiciannove e il segreto del sovietico”, Alias-Supplemento de Il Manifesto, 3 maggio 2015, di Giorgio De Marchis.

     

    Pagine da 20150503alias2 (00)DALL’ANGOLA
    Spazi di tempo in un romanzo di Ondjaki, coetaneo della propria nazione liberata

    di GIORGIO DE MARCHIS
    La Luanda degli anni ottanta era la capitale di una nazione appena emersa da oltre un decennio di guerre di  decolonizzazione e immediatamente sprofondata in una sanguinosa guerra civile, la cui conclusione sarebbe arrivata solo nel 2002. Condizioni di vita, quindi, inevitabilmente precarie per gli abitanti della città che l’ultimo romanzo pubblicato in Italia dell’angolano Ondjaki lascia intuire, filtrandole però attraverso lo sguardo incantato di un gruppo di bambini che tutto vedono attraverso i ninja e le arti marziali dei film di Jackie Chan. In NonnaDiciannove e il segreto del sovietico (Il Sirente, pp. 160, e 15,00), le devastazioni del conflitto si confondono, infatti, con i disastri  provocati da Godzilla, mentre le battute di Trinità e di «quel ciccione di Bud Spencer barbuto» si sovrappongono alle parole d’ordine della rivoluzione socialista. Del resto, nato nel 1977, Ondjaki è praticamente coetaneo della propria nazione e questa condizione biografica fa sì che i suoi primi ricordi abbiano come sfondo gli iniziali e difficili passi di una nazione allora nascente. Non è un caso, quindi, che l’infanzia assuma un ruolo centrale nell’opera di questo scrittore e ha ragione Livia Apa – che traduce il romanzo e ne firma una prefazione, mentre la postfazione è affidata a Beppi Chiuppani – quando afferma come, nell’universo narrativo del più interessante esponente della generazione apparsa dopo l’indipendenza, si colga per metonimia un ritratto del suo giovane paese, così come per Luandino Vieira (l’inevitabile punto di riferimento per la scrittura di Ondjaki) la realtà dei musseque lo era stata della violenza coloniale.
    Nel romanzo si muovono medici cubani, operai sovietici impegnati nella costruzione dell’imponente mausoleo del presidente Agostinho Neto e tutti gli straordinari abitanti di PraiaDoBispo, già noti ai lettori di Ondjaki: l’irascibile SignorTuarles con il suo immancabile kalashnikov, la figlia Charlita, l’unica in famiglia ad avere gli occhiali con cui guardare la telenovela, DonnaLibânia e il suo leggendario dolce di banana, SpumaDelMare con il suo coccodrillo. E in queste pagine si conferma come un luogo possa essere conosciuto, amato e ricreato in due modi: uno letterato e  conscio – in NonnaDiciannove e il segreto del sovietico Ondjaki dialoga anche con Ana Paula Tavares, Manuel Rui e Ruy Duarte de Carvalho –, l’altro, vissuto, immediato e inconscio. Le considerazioni sul senso del luogo, espresse in
    altre latitudini da Seamus Heaney, valgono, dunque, anche per Ondjaki e per la PraiaDoBispo della sua infanzia. Come ricorda, del resto, la poetessa Ana Paula Tavares nella lettera all’autore che chiude il volume, «Tutti noi siamo di un luogo, come di una infanzia… e per essere di un luogo e di una infanzia, bisogna scriverla, ci hanno insegnato gli antichi, da Platone a NonnaCatarina, e non ci sono versi, sembra, o prosa raffinata che possa fissare il gesto e la parola uguale a quella di quanti hanno vissuto, sono passati da lì, ne hanno ascoltato i suoni, toccato il mare. Solo così la parola può sorgere così conforme alle regole del dire e così fedele alle norme del luogo». PraiaDoBispo è, quindi, in fondo un «quartiere fatto di polvere e giochi antichi» da proteggere dalla dinamite dei sovietici; ma è anche un tempo da salvaguardare perché, come confida al nipote NonnaAgnette, meglio conosciuta come NonnaDiciannove, ogni passato è sempre, prima di tutto, un luogo. Un luogo magari lontano, ma comunque dentro ai nostri ricordi.

  • Speciale letteratura lusofona – Lessici famigliari. Prefazione al romanzo di Ondjaki “NonnaDiciannove e il segreto del Sovietico” (Livia Apa)

    Speciale letteratura lusofona – Lessici famigliari. Prefazione al romanzo di Ondjaki “NonnaDiciannove e il segreto del Sovietico” (Livia Apa)

    Riportiamo la prefazione al romanzo di uno dei maggiori rappresentanti della letteratura lusofona contemporanea, vincitore del Premio Jabuti e del Premio Saramago: NonnaDiciannove e il segreto del sovietico (Editrice il Sirente, 2015, trad. it. Livia Apa)

    Nel corso della mia infanzia e adolescenza mi proponevo sempre di scrivere un libro che raccontasse delle persone che vivevano, allora, intorno a me.
    Questo è, in parte, quel libro: ma solo in parte, perché la memoria è labile, e perché i libri tratti dalla realtà non sono spesso che esili barlumi e schegge di quanto abbiamo visto e udito.
    Natalia Ginzburg

    Nel 1957 José Luandino Vieira scrive A cidade e a infância, una raccolta di dieci brevi narrative in cui, pur non mettendo ancora in atto compiutamente il processo di sovversione linguistica che verrà ad essere una delle principali caratteristiche della sua futura opera, fondativa della letteratura nazionale angolana, trova spazio il mondo dei musseques, della periferia di Luanda segnata dalla povertà che accomunava i suoi abitanti negri, bianchi e mulatti, dove l’autore aveva vissuto la sua infanzia. Si tratta di brevi narrative in cui la lingua portoghese si apre ad un’espressione orale e già angolana, capace di “dire” uno spazio di diversità culturale e identitaria. Sovvertire la lingua vuol dire, così, cercare un’espressione nazionale in un contesto in cui la Nazione è ancora solo sognata e quest’operazione diventa l’esercizio politico di una differenza in nome della quale si vuole sovvertire l’ordine coloniale. Anche del discorso. Il titolo che unisce le narrative di Luandino segna dunque un preciso tempo, quello dell’infanzia inteso come utopia possibile, e un preciso spazio, quello urbano dei musseques colto nella sua contrapposizione alla Luanda di cemento, raccontata dalla letteratura coloniale come uno spazio neutro e apparentemente pacifico in cui la tensione anticoloniale non trova però alcuna voce. È in questa traccia che si iscrive la scrittura di Ondjaki, nato nel 1977, quando cioè l’Angola era ormai indipendente da due anni, recuperando quello stesso binomio, la città e l’infanzia, e istituendo un dialogo tutto interno innanzi tutto alla letteratura angolana e per estensione a quella scritta in altri margini della lingua portoghese. Ondjaki restituisce alla dimensione urbana e infantile una nuova connotazione perché nuova è ormai l’Angola. Il dialogo con Luandino, esplicito in Quantas madrugadas tem a noite, è però costante in quanto è usato da Ondjaki come l’inizio a partire dal quale è possibile raccontare il progetto di Nazione. Tale dialogo, che sottintende l’implicita esistenza di un canone narrativo angolano, si alimenta della parola di altri scrittori di generazioni precedenti fra i quali Manuel Rui, Ana Paula Tavares e Ruy Duarte de Carvalho come vediamo anche in questo NonnaDiciannove.

    ONDJAKI
    Ondjaki

    L’infanzia qui raccontata, come già in Buongiorno Compagni ha come sfondo l’Angola della guerra civile, popolata da cubani e sovietici accorsi in aiuto della rivoluzione ma si popola essenzialmente di piccole storie, non solo quelle dei bambini, ma quelle di tutti gli abitanti della PraiaDoBispo. Un universo narrativo quindi che è quasi metonimia della nascente Nazione così come, anni addietro, la realtà del musseque lo era stata per raccontare la violenza coloniale. Nel libro, NonnaDiciannove racconta le storie del passato e si fa promettere dal nipotino che le avrebbe ricordate per sempre per raccontarle “da grande”, per non far sparire la memoria della PraiaDoBispo che è soprattutto memoria di una modalità dell’occupare uno spazio utopico abitato dalla prima generazione post-indipendenza. E l’eventuale oblio pare addirittura più minaccioso della “esplosione” della PraiaDoBispo.

    La toponimia e i nomi dei personaggi scritti come si pronunciano assumono quindi un valore di riconoscimento intimo di appartenenza ad una storia collettiva di uno specifico segmento della vita di Luanda detta qui in una lingua segreta (come tante che i bambini per fare comunità), una lingua che si mischia con le parole d’ordine della rivoluzione e con la retorica del partito unico, con il cubano, da cui sono però esclusi i personaggi che occupano la PraiaDoBispo contro la volontà di chi ci abita e che parlano una lingua che può essere quindi solo parodiata e schernita. Un lessico famigliare nella sua accezione più pura, che si fa lingua possibile del sogno di un mondo nuovo all’epoca, e forse soprattutto oggi, ancora in fieri.

    Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti, o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia” ci ricorda ancora Natalia Ginzburg, ed è anche nelle parole e nella lingua che sembra crearsi continuità con quel processo di rottura iniziato da Luandino. Il fatto che la lingua portoghese sia lingua ufficiale dell’Angola post-coloniale non vuol dire che debba essere usata come nell’antica capitale dell’impero. Diventa qui, invece, uno spazio di riconoscimento, una testimonianza capace di creare la memoria necessaria per il futuro.

    Livia Apa
    Università degli Studi L’Orientale di Napoli

    Gennaio 2015

  • Speciale letteratura lusofona – Ondjaki o la fanciullezza irrinunciabile. Postfazione al romanzo di Ondjaki “NonnaDiciannove e il segreto del Sovietico” (Beppi Chiuppani)

    Riportiamo la prefazione al romanzo di uno dei maggiori rappresentanti della letteratura lusofona contemporanea, vincitore del Premio Jabuti e del Premio Saramago: NonnaDiciannove e il segreto del sovietico (Editrice il Sirente, 2015, trad. it. Livia Apa). L’autore della prefazione, Beppi Chiuppani, è dottore di ricerca in Letterature comparate presso la University of Chicago.

    Il destino delle illusioni è la loro dissoluzione. Così accade a tanti degli aspetti del mondo sentimentale dell’infanzia: come quello di desiderare fortissimamente trovando tuttavia appagamento anche in compiti minuscoli, o la certezza di poter raggiungere in qualche modo i propri scopi, o ancora la fiducia nella benevolenza di fondo degli esseri e dell’essere. Sono tratti di un’età altamente specifica sulla quale in Italia ha riflettuto più di tutti forse Leopardi, che senza mai mettere in discussione l’inevitabilità della sua scomparsa ritorna pertinacemente ad essa in moltissime pagine dello Zibaldone: perché nella fanciullezza si vive una sorta di tregua della natura, una sospensione della sua malignità, e c’è la possibilità di raggiungere un equilibrio tra desideri e piacere che in tutte le altre età della vita (eccettuata forse la vecchiezza) è invece mancante.

    Verrebbe da pensare che il crollo di quest’età dell’oro (che nell’analisi leopardiana non è comunque scevra da dolore) dovrebbe avvenire tanto più rapidamente e drammaticamente proprio nella città in cui è ambientato questo romanzo di Ondjaki, testo vincitore di uno dei più autorevoli premi letterari del mondo lusofono (lo Jabuti). Siamo infatti nella Luanda degli anni Ottanta, capitale di un’Angola già devastato da decenni di selvaggia guerra coloniale e ora scosso dai conflitti successivi all’indipendenza, in cui si oppongono da una parte le forze del partito governativo, sostenute da sovietici e cubani (pittorescamente presenti nel testo) dall’altra una coalizione appoggiata da Stati Uniti e Sudafrica. Eppure nelle pagine di Ondjaki le tracce del disordine – divieti, timori di esplosioni, truppe estere – esistono soltanto attraverso la loro trasfigurazione. Cresciuto proprio nella Luanda di quegli anni, l’autore riesce a ritrovare la sensibilità del fanciullo che era stato e a impiegarla narrativamente e direi anche psicologicamente, come uno strumento non di evasione ma piuttosto di sopravvivenza.

    Scrittore dalle origini e dai temi prevalentemente africani ma da tempo pienamente operante attraverso il circuito transnazionale della lusofonia (in particolare nella triangolazione tra Luanda, Lisbona e Rio de Janeiro, le tre capitali della lingua portoghese contemporanea) Ondjaki ha fatto scelte letterarie che saranno particolarmente apprezzate dal lettore italiano, e non soltanto per il ruolo che da queste parti ha avuto la riflessione leopardiana sull’infanzia; sappiamo inoltre quanto frequentemente, in tempi più recenti, Italo Calvino abbia cercato di includere il registro della fanciullezza nelle sue costruzioni narrative, portando il filone della letteratura giovanile a inserirsi pienamente nella tradizione letteraria più impegnata (in parallelo al lavoro diverso eppure affine di Elsa Morante, Dino Buzzati e altri). Con Ondjaki questa saldatura è piena sebbene essa avvenga in un modo completamente diverso, e per questo interessante da confrontare alle opere degli italiani ricordati: cioè recuperando il patrimonio sociolinguistico di Luanda.

    In NonnaDiciannove questa modalità si dispiega in un modo ancora più complesso che non nel precedente Bom dia camaradas [Buongiorno Compagni!, ndr]: qui il fanciullo è protagonista di un contesto sociopolitico più articolato, dove la sensibilità per il grottesco inatteso, la propensione per la meraviglia e per il timore momentaneo, l’ammirazione per l’altro, riescono a riformulare la realtà storica di un particolare quartiere di Luanda (la romanzesca “PraiadoBispo”) in una vera e propria “comunità alternativa”. Una comunità, cioè, non necessariamente destinata a vivere la sperequazione economica e le politiche di rapina dell’Angola d’oggi, ma dove la sensibilità del fanciullo si pone come orizzonte di possibilità di una quantità di relazioni sociali tra angolani, cubani e sovietici caratterizzate da creatività, avventura, compassione – e infine riscatto. Ciò non poteva che svolgersi in uno spazio fortemente metaforico, ritrovato da Ondjaki nei pressi di un grande cantiere realmente esistito e che sarebbe rimasto aperto per circa due decenni. Vi veniva costruito l’immenso mausoleo del leader del movimento per l’indipendenza angolana, Agostinho Neto, a forma di strano missile o “foguetão” che punta non si sa bene verso chi o cosa: oggetto a un tempo sinistro e fanciullescamente poetico.

    Se il monumento possiede un’apparenza ancipite, è perché sono i testi stessi di Ondjaki ad avere una dimensione doppia: proprio nella loro leggerezza risiede l’impossibilità di guardare alla storia in altro modo; è come se la vita di Luanda (certamente metonimia di una più vasta umanità) non potesse essere redenta in nessun’altra maniera, come se soltanto attraverso la trasfigurazione sognante del bambino si potesse continuare a vivere, anche da adulti. Credo che un certo Leopardi non sarebbe stato in disaccordo. Ma se la fanciullezza può acquistare vita postuma ciò è reso possibile soltanto dall’arte, che in Ondjaki diventa la fabbrica di un doppio soggetto rimembrante, autore e lettore. In questa prospettiva l’equilibrismo stilistico sul filo di una lingua impossibile, infantile e colta, è fondamentale. Si tratta dell’invenzione di un particolarissimo inconfondibile idioletto che vive fortemente di influenze del sostrato linguistico angolano e che inevitabilmente si rivela di traduzione tanto ardua quanto stimolante. Vi si notano immediatamente le compressioni dei toponimi, gli anacoluti colloquiali, ma anche risemantizzazioni di espressioni istituzionali (penso a formule come “camarada agente”, oppure alla “Rádio nacional” col suo “noticiário”, utilizzati al di fuori dei loro contesti usuali). Il mondo linguistico ufficiale-burocratico si riveste in questo testo di una patina africaneggiante che gli dona un’aura fiabesca e lo inserisce nell’orizzonte di una vita perpetuamente realizzata: ed è impressionante quanto in quest’operazione stilistica l’Ondjaki de Il segreto del sovietico ricordi la prosa proprio di un autore sovietico, Andréj Platonov – caratterizzata da un’altrettanto peculiare combinazione di lirismo, comicità e grottesco. Dopo aver preso parte al conflitto rivoluzionario russo Platonov venne rapidamente estromesso dal partito, ma si trovò ad affrontare una sfida ancora più grande: quella di mantenere viva la visione di una società giusta continuando a rievocare il sogno di una rivoluzione ormai deragliata, nell’arte. Ciò che Ondjaki ci regala in questo testo è il persistere di questa straordinaria, umanissima, illusione.

    Beppi Chiuppani

    Gennaio 2015

  • Un giorno in Siria

    Un giorno in Siria

    | Internazionale | Venerdì, 12 ottobre 2014 | Lucy Popescu (The Indipendent) |

    Il silenzio e il tumulto : Nihad Sirees

    La libertà di espressione è la prima vittima di ogni dittatura. Le opere degli scrittori e degli intellettuali dissidenti sono vietate e, se il divieto non ottiene leffetto desiderato, gli autori stessi sono imprigionati, torturati o semplicemente “scompaiono”.

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  • Dall’Ucraina con amore

    Dall’Ucraina con amore

    | Pesaro In Magazine | Anno IX, n. 2, Novembre/Dicembre 2014 | Maria Rita Tonti |

    Economista, ma con una passione per la scrittura, Massimiliano Di Pasquale ha raccontato in un libro un paese affascinante e poco conosciuto come l’Ucraina, una terra di confine crogiolo di culture. (altro…)

  • Su “Medio Occidente” di Beppi Chiuppani (Il critico come palombaro), di Raffaello Palumbo Mosca

    Su “Medio Occidente” di Beppi Chiuppani (Il critico come palombaro), di Raffaello Palumbo Mosca

    Riportiamo la prefazione di Raffaello Palumbo Mosca al romanzo “Medio Occidente” di Beppi Chiuppani (Editrice il Sirente, 2014). L’autore della prefazione, Raffaello Palumbo Mosca, è ricercatore in letterature comparate e teoria letteraria presso la University of Kent ed è autore di saggi e articoli. Collabora con le riviste L’Indice dei libri del mese e Comparative Studies in Modernism.

    di Raffaello Palumbo Mosca

    Che ci sia, soprattutto fra gli studiosi della generazione degli anni Cinquanta/Sessanta, un atteggiamento di velata condiscendenza, quando non di aperto disprezzo, verso i romanzieri odierni non mi pare contestabile; e basterebbe, del resto, leggere anche solo i titoli dei libri licenziati da alcuni dei nostri critici più in vista, da Berardinelli con il suo Non incoraggiate il romanzo, passando per La Porta (Meno letteratura per favore!) fino a Ferroni (Scritture a perdere), per rilevare i termini del problema. Perché di problema – e credo non irrilevante – si tratta.

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  • Siria, la pace era solo silenzio

    Siria, la pace era solo silenzio

    | Avvenire | Venerdì, 24 ottobre 2014 | Riccardo Michelucci |

    Il silenzio e il tumulto : Nihad Sirees

    Più profetico di 1984 di Orwell, più surreale della Metamorfosi di Kafka. Quando dieci anni fa il romanziere siriano Nihad Sirees scrisse The Silence and the Roar, non poteva immaginare che quella riuscitissima satira politica avrebbe rispecchiato così fedelmente il futuro del suo paese.

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  • Ucraina terra di confine @ Insieme fuori dal fango (Rimini, 6 luglio 2014)

    Ucraina terra di confine @ Insieme fuori dal fango (Rimini, 6 luglio 2014)

    Domenica 6 luglio ore 18,30 nell’ambito del festival della resistenza  culturale “Insieme Fuori dal fango” (seconda edizione, dal 4 al 6 luglio 2014) Borgo S. Giuliano, a Rimini, l’editrice il Sirente e l’autore Massimiliano Di Pasquale presentano il libro “Ucraina terra di confine”, per scoprire il più grande Paese d’Europa per estensione geografica, una nazione ricca di storia in cui si incontrano e dialogano culture composite (ebrea, polacca, armena, tatara, asburgica). Interverrà anche il giornalista esperto di area post-sovietica Matteo Cazzulani.

    Domenica 6 luglio ore 18,30
    Trattoria La Marianna di Enrica Mancini e Vincenzo Sciusco
    Viale Tiberio, 19
    Borgo S. Giuliano (Rimini)

    L’autore, facendo propria la lezione di grandi narratori di viaggio come Chatwin, Kapuściński e Terzani, attraversa l’Ucraina dai Carpazi alla Crimea: incontra gli ex dissidenti che hanno lottato per l’indipendenza dall’URSS, scrittori dalla cui immaginazione sta nascendo la nuova letteratura nazionale, gente comune che gli parla dei progetti e delle aspettative per il futuro; ci conduce nei caffè asburgici di Leopoli, nei luoghi letterari di Gogol e Chekhov e nelle miniere del Donbas; ci fa ammirare i monasteri ortodossi di Pochayiv e di Kyiv, il gotico stalinista di Zaporizhzhya e i villaggi hutsul di Yaremche. Soprattutto, anticipando gli eventi del Maidan e le tensioni con la Russia, ci dà la chiave per comprendere quanto sta avvenendo in questi giorni.

  • LIBERA: SGOMBERATA E RASA AL SUOLO!

    LIBERA: SGOMBERATA E RASA AL SUOLO!

    | Venerdì, 8 Agosto 2008 |

    Stamani verso le 11.30 si sono avute le prime avvisaglie dello sgombero, quando diverse macchine della digos sono arrivate in Via Pomposiana e una pattuglia dei vigili ne ha chiuso l’accesso. Nonostante il blocco molti compagni riescono a passare, e nel pomeriggio quasi un centinaio di solidali sarà sotto il Libera a fronteggiare la sbirraglia.
    Verso le 2 i poliziotti riescono ad entrare nell’edificio dall’ingresso posteriore, dopo avere spinto via i compagni che cercavano di impedire l’irruzione, scagliandosi poi anche contro chi sorvegliava l’entrata principale. Diversi compagni sono strattonati e i poliziotti tentano più volte di fermare i fotografi (inclusa la stampa accreditata). Una poliziotta lancia un tavolo nel mucchio di compagni e fotografi. A breve la situazione si calma e desistono dall’aggressione contro le persone all’ingresso. Ma ormai sono entrati e noi siamo tutti fuori.
    Alle 4 del pomeriggio la tensione è un pò calata rispetto a qualche ora prima, quando gli sbirri hanno devastato l’interno di Libera. Viene fatto arrivare il camion dei pompieri con la scala e il cestello per salire sul tetto, dove 4 compagni resistono ad oltranza. Uno sbirro e un pompiere restano quasi un ora penzolanti nel cestello a 2 metri da Colbi incatenato. Per raggiungere il retro di Libera e posizionarsi, la gru dei pompieri ha dovuto percorrere il lunghissimo viale di accesso alla casa. Tutte le persone presenti sono corse impedirne l’avanzata. Prima con barricate improvvisate (tirate via dalla polizia, addosso alla gente) poi fronteggiandola metro per metro sotto gli spintoni, i calci e le violenze di un’eterogenea sbirraglia a stento tenuta a freno dal capo della digos (baffetti e giacchino scamosciato, il topos del dirigente digotto anni ’90).
    Erano presenti un folto numero di vigili urbani, corpo non titolato ad occuparsi di ordine pubblico. Hanno contribuito a malmenare, sollevare di peso e gettare a terra chi tentava di fermare l’avanzata della gru. Gia domani verrà sporta denuncia contro di loro, sia per i singoli casi di violenza documentati, sia per l’illegale presenza in loco. Alla fine la gru passa, circondata dagli sbirri che la cordonano. Diversi i contusi tra i manifestanti.
    Inizia il balletto del cestello a fianco del tetto. Ci sono dentro uno sbirro e un pompiere. Il primo seccherà inutilmente Colbi per un ora, con blandizie e ragionamenti. Intanto sul tetto è salito un altro carabiniere, che attacca anche lui a parlare senza ottenere nulla, e la testa baffuta del capodigos spunta dall’abbaino.
    Resteranno li 2 ore finchè abbandonati discorsi taglieranno le catene che assicuravano Colbi, sollevandolo di peso nel cestello e calandolo giù. In breve caleranno tutti dal tetto, assetati e arroventati dal sole. Gli ombrelloni glieli hanno tirati via 2 ore prima e da ore impediscono l’arrivo di acqua.
    Ora è la volta di Benna, con il braccio ancorato dentro un bidone di cemento da 200 kg, e delle 2 ragazze incatenate alla finestra accanto a lui. Le 2 ragazze non vogliono lasciar tagliare le catene e non vogliono andare via abbandonando Benna solo con gli sbirri. Ma uno di questi, aiutato da una vigilessa, le afferra brutalmente. E’ una scena schifosa. Una delle 2 ragazze, quasi in lacrime, urla perchè le stanno toccando i seni e le parti intime. Tutte/i le/i compagne/i sono alle finestre attorno che gridano
    la loro rabbia e il disprezzo contro quelle bestie… impotenti ad aiutare le compagne. Iniziano a lanciare acqua sulle carogne con il
    bell’effetto di intralciarli e disorientarli. Lo sbirro che stà molestando la compagna, sbraita e grida più volte alla sua truppa di sgomberare tutti dalle finestre. Così la situazione precipita. Un funzionario esce e si mette a capo dello schieramento urlando che lui è l’amministratore della violenza e adesso ce la amministra. Parte il fronteggiamento che diventa una carica in cui
    i picchiatori non si tengono più e menano manganellate. Un ragazzo esce fuori con la testa spaccata, un fiotto di sangue sul viso e i vestiti. Altri se la cavano con contusioni al busto e alle braccia. Diversi fotografi e cameramen vengono malmenati. Di li a poco inizeranno a rimuovere col flessibile e lo scalpello il cemento che blocca Benna.
    L’avvocato di Libera spiega brevemente il senso dello sgombero. Lo stabile è da anni assegnato ad una associazione, il Collettivo degli agitati, che è composto dagli abitanti di Libera. Questi si sono visti assegnare unilateralmente l’edificio dalla giunta. Senza che nemmeno lo avessero richiesto. Probabilmente le mire del comune, all’epoca, erano di proporgli poi un cambio di sede. Sta di fatto che l’assegnazione scade a novembre 2008 e fino ad allora gli abitanti occupano legittimamente la casa. La giunta modenese dà ugualmente alla polizia il mandato di sgombero. Ma non contro l’associazione: contro i singoli abitanti che loro dire la occupano illegalmente… sta di fatto che i soggetti coincidono. I presunti abusivi sono i legittimi abitanti. Ma intanto lo sgombero viene effettuato.

    LIBERA  E’ STATA RASA AL SUOLO IN SERATA

    Domani verrà presentato ricorso contro lo sgombero, e se anche i compagni vinceranno come probabile la causa, otterranno solo un rimborso dei danni per ciò che è andato distrutto nel crollo. La casa però non ci sarà più (non c’è gia più!) e il comune non avrà l’obbligo del ripristino. Così si è tolta di mezzo Libera, con una sporca manovra.
    Attualmente i compagni sono in riunione, all’interno della biblioteca anarchica che gestiscono in  città (Via Sant’Agata 13, in centro). Decidono le azioni da intraprendere nei prossimi giorni.
    Degno di nota è come i vigili del fuoco si siano prestati senza problemi allo sgombero, vestendo i panni degli sbirri e sbrigando il lavoro al posto loro. Non male per una categoria che da anni si batte contro la militarizzazione del corpo.
    Altri aggiornamenti:
    http://www.anarchiainazione.org/
    http://www.inventati.org/fenix/links.php

  • La letteratura è una sfida – intervista allo scrittore iracheno Hassan Blasim

    La letteratura è una sfida – intervista allo scrittore iracheno Hassan Blasim

    C magazine | Lunedì, 31 marzo 2014 | Agnese Trocchi |

    “Agli inviti dei pochi amici critici rispondeva citando lo scrittore ungherese Béla Hamvas: “In casa impari a conoscere il mondo, mentre in viaggio impari a conoscere te stesso.” A quasi cinquantasette anni, Khaled al-Hamràny non aveva mai lasciato la sua citta.” (Hassan Blasim, Il Mercato delle Storie in Il Matto di Piazza della Libertà, il Sirente ed.)

    Se Khaled al-Hamràny, personaggio del racconto Il Mercato delle Storie, non si è mai mosso dalla piazza del mercato della sua città, lo stesso non si può dire del suo autore, lo scrittore iracheno Hassan Blasim. (altro…)

  • Ramzy “Maestro indiscusso di Darabouka” al Teatro del Respiro

    Ramzy “Maestro indiscusso di Darabouka” al Teatro del Respiro

    Hossam Ramzy sarà al Teatro del Respiro di Fiano Romano dal 4 al 6 aprile per una tre giorni di lavoro su danza, cultura e sonorità orientali

    Hossam Ramzy con daraboukaHossam Ramzy, è uno spirito poliedrico, universalmente apprezzato per la sua inimitabile capacità di trasformare in note lo spirito del medioriente. È nato al Cairo ed ha scoperto la sua passione per la musica a tre anni. Nel corso del tempo questo sensibile polistrumentista si è costruito una carriera ricca di successi, fondata sul suo straordinario talento e supportata da anni di studi ed approfondimenti sulla cultura musicale mediorientale e dalla sua capacità di mescolare insieme i caldi ritmi percussivi egiziani alle sonorità occidentali. (altro…)

  • Ristampa del libro “Ucraina terra di confine” (M. Di Pasquale)

    Ristampa del libro “Ucraina terra di confine” (M. Di Pasquale)

    Le proteste del Maidan iniziate alla fine del novembre 2013 e l’occupazione russa della Crimea del febbraio scorso hanno riportato l’Ucraina al centro dell’attenzione internazionale in un clima di Guerra Fredda che credevamo relegato al passato, risvegliando anche in Italia profondi contrasti ideologici.
    Ma cosa è l’Ucraina? Poco si sa di questo straordinario Paese, terra di confine tra Est e Ovest pressoché sconosciuta al lettore italiano, spesso confusa con la Russia o associata a una stereotipata immagine di grigiore post-sovietico. Il più grande Paese d’Europa per estensione geografica è tuttavia una nazione ricca di storia in cui si incontrano e dialogano culture composite (ebrea, polacca, armena, tatara, asburgica). (altro…)

  • “L’illusione degli ucraini sul nazismo durò solo qualche settimana”

    “L’illusione degli ucraini sul nazismo durò solo qualche settimana”

    | La Stampa | Giovedì 13 marzo 2014 | Massimiliano Di Pasquale |

    Giovanna Brogi Bercoff, professore di slavistica all’Università di Milano, interviene sul tema delle politiche di russificazione dell’Ucraina Orientale intraprese dalla Russia zarista dopo la storica battaglia di Poltava del 1709: “Da allora resistono molti pregiudizi”
    Giovanna Brogi Bercoff, professore ordinario di slavistica presso l’Università di Milano, direttrice della rivista Studi Slavistici e presidente dell’AISU (Associazione Italiana di Studi Ucrainistici), parla della grave crisi tra Russia e Ucraina e aiuta a inquadrare le complesse vicende di queste settimane in un’ottica storico-culturale in cui grande peso hanno avuto le politiche di russificazione dell’Ucraina Orientale intraprese dalla Russia zarista dopo la storica battaglia di Poltava del 1709.   (altro…)
  • La verruca sul naso di Putin

    La verruca sul naso di Putin

    | The Post Internazionale | Sabato 8 marzo 2014 | Massimiliano Di Pasquale |

    L’opinione dell’autore di “Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta”

    È stato l’economista russo Andrei Illarionov, ex consigliere di Putin caduto in disgrazia per aver criticato la guerra del gas voluta dal Cremlino nel 2006 contro l’Ucraina arancione di Viktor Yushchenko, ad anticipare più di un mese fa alla tivù Hromadske TV lo scenario cui si sta assistendo in questi giorni in Crimea.

    Se, come aveva dichiarato Illarionov, l’allora presidente Yanukovych non fosse riuscito a fermare con la forza la protesta di piazza, allora i russi sarebbero intervenuti direttamente con i carri armati. Lo schema sarebbe stato quello già visto in Georgia nel 2008. Milizie russe avrebbero cercato di provocare un incidente ad hoc contro un cittadino di passaporto russo, avrebbero poi incolpato dell’accaduto l’esercito ucraino e, con la scusa di proteggere la popolazione russa della Crimea, avrebbero quindi invaso la penisola ucraina.

    In Ossezia del Sud nell’agosto del 2008 l’allora presidente Mikheil Saakashvili, ordinando al suo esercito di intervenire per porre fine ai bombardamenti di villaggi georgiani da parte delle forze separatiste ossete, offrì infatti il pretesto ai carri armati russi per invadere la Georgia. Oggi, a meno di una settimana dalla destituzione di Yanukovych del 22 febbraio e dalla nascita di un esecutivo ad interim presieduto dal premier Arseniy Yatsenyuk e dal presidente Oleksander Turchinov, Putin ha già inviato il primo contingente militare in Crimea, penisola che dal 1954 fa parte dell’Ucraina, violando la sovranità territoriale del paese.

    Motivazione ufficiale, di quella che Kiev ha definito una grave provocazione e il preludio a un possibile conflitto armato tra Russia e Ucraina, “stabilizzare la situazione in Crimea e utilizzare tutte le possibilità disponibili per proteggere la popolazione russa locale da illegalità e violenza”. L’attività diplomatica internazionale – in particolare la dura reazione del presidente statunitense Obama che ha deliberato sanzioni economiche nei confronti di Mosca, il boicottaggio del G8 di Sochi e l’interruzione di tutti i legami militari con il Cremlino incluse le esercitazioni e le riunioni bilaterali – ha scongiurato per ora lo scoppio di una guerra.

    Ciononostante a Simferopoli, il parlamento della Repubblica Autonoma Crimea, di concerto con le autorità russe, senza interpellare la Rada di Kiev, ha già indetto per il 16 marzo un referendum per chiedere la secessione dall’Ucraina e l’annessione alla Federazione Russa. A nulla sono valse le scomuniche espresse venerdì 7 marzo dal Consiglio straordinario dei 28 capi di stato e di Governo della Ue e dagli Stati Uniti che hanno definito illegittima la consultazione. La crisi di questi giorni tra i due paesi, la più grave nell’area post sovietica dal crollo dell’URSS, nasce dal successo di Euromaidan, la rivolta popolare che ha sconfitto il regime di Yanukovych, il quale nelle ultime settimane aveva assunto un volto sanguinario con l’uccisione di un centinaio di manifestanti.

    Le dimostrazioni di Piazza dei mesi scorsi – che, pur avendo come epicentro Kiev, hanno interessato tutta l’Ucraina – sembrerebbero testimoniare la volontà degli ucraini di lasciarsi alle spalle l’epoca post-sovietica e di aprire una nuova fase: quella della rigenerazione morale. Questo ambizioso tentativo deve fare i conti al momento con due questioni: in primis, la volontà di Mosca di ostacolare un progetto che, se vittorioso, porrebbe la parola fine sull’Unione Euroasiatica e fornirebbe linfa vitale anche all’opposizione democratica russa; in secondo luogo, le difficoltà interne legate alla situazione economica del paese.

    Affinché l’Ucraina possa vincere questa sfida occorre che Europa, Canada e Stati Uniti la sostengano finanziariamente con un piano mirato di prestiti e investimenti, e che la Comunità Internazionale garantisca con ogni mezzo la sua integralità territoriale ottemperando al memorandum di Budapest. Con quell’accordo, firmato il 5 dicembre 1994 nella capitale ungherese, l’Ucraina cedeva il suo arsenale nucleare in cambio della garanzia della tutela della sua sovranità e sicurezza da parte di Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti.

    Se il Cremlino riuscisse infatti a creare un’enclave separatista in Crimea, ciò potrebbe innescare pericolosi effetti domino nell’est del paese. E quella che è stata finora la rivoluzione di un popolo contro un regime corrotto potrebbe trasformarsi in una vera e propria guerra civile qualora l’opera di destabilizzazione della Russia, attraverso provocazioni militari e disinformazione mediatica, avesse successo. Nel periodo della presidenza Putin, il giro di vite sulla stampa indipendente ha favorito il progressivo ritorno a metodi di propaganda neo-sovietica in linea con una lunga tradizione di manipolazioni e distorsioni della realtà.

    Non è un caso che da qualche giorno, proprio nella Crimea occupata, le reti televisive ucraine Canale 5 e 1+1 siano state oscurate, sostituite da canali russi. La macchina ben oliata della disinformacija ha favorito la diffusione di notizie false come quella che dipinge i manifestanti del Maidan come fascisti e antisemiti, o quella secondo cui il nuovo governo ad interim avrebbe negato agli ucraini il diritto di parlare russo.

    “L’Ucraina è in mano a estremisti e fascisti. Chiediamo aiuto ai fratelli russi perché ci vengano a liberare”. La rozzezza di certe manipolazioni farebbe sorridere se non fosse che la situazione in Crimea, che rischia di estendersi a tutto il paese, è davvero drammatica. La verruca sul naso della Russia – così Potemkin chiamava la Crimea – è tornata a fare male. Auguriamoci non sia il preludio a una Nuova Guerra Fredda che soffochi nel sangue le aspirazioni di libertà, pace e democrazia del popolo ucraino.

    L’autore, Massimiliano Di Pasquale, è membro dell’AISU, Associazione Italiana di Studi Ucraini. Autore di “Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta” (Il Sirente). Lo scorso 5 Febbraio 2014 è stato relatore alla tavola rotonda ‘Ucraina Quo Vadis?’ organizzata dall’ISPI.

  • UCRAINA: Cosa sta succedendo a Kiev? Intervista a Max Di Pasquale

    | East Journal | Sabato 22 febbraio 2014 | Pietro Rizzi |

    Cosa sta succedendo a Kyiv ed in Ucraina? Quali prospettive? Ne abbiamo parlato con Massimiliano Di Pasquale, esperto di Ucraina, autore di Ucraina terra di confine e collaboratore di EastJournal. (altro…)

  • Ucraina, nazisti o nazionalisti? Viaggio nell’arcipelago del radicalismo

    | La Stampa | Sabato 22 febbraio 2014 | Anna Zafesova |

    A 55 anni dalla morte Stepan Bandera continua a spaccare il Paese.  Per i russi è un ammiratore di Hitler che sta ispirando i manifestanti

    Tra l’infinità di simboli e bandiere che sommergono il Maidan ogni tanto fa capolino il ritratto di un uomo dalla alta fronte stempiata, i tratti sottili e lo sguardo infuocato. Per molti è un volto sconosciuto, per altri un’icona, per altri ancora la prova che a muovere la protesta ucraina sono le forze più oscure della sua storia. 55 anni dopo la sua morte, avvelenato da uno spray al cianuro spruzzato da un agente del Kgb in piena Monaco, Stepan Bandera, leader dei nazionalisti ucraini, continua a spaccare in due il suo Paese. Per i russi, e per alcuni commentatori occidentali, la sua presenza in forma di ritratto è il segno che sul Maidan si consuma una vendetta storica contro la Russia, e che i militanti della piazza che oggi riesumano la sua immagine sono “nazisti”. (altro…)

  • Ucraina terra di confine: un libro per scoprire l’Europa sconosciuta

    Ucraina terra di confine: un libro per scoprire l’Europa sconosciuta

    | Corso Italia News | Venerdì 21 febbraio 2014 |  |

    Gli eventi ucraini di questi giorni riempiono di apprensione noi e i numerosi cittadini ucraini residenti in Campania. La situazione è ancora critica, in attesa che il primo ministro Yanukovic, personaggio che si è dimostrato inaffidabile, accetti e dia prova di un reale accordo per riportare la calma.
    L’Ucraina, non dimentichiamolo, è il più grande Stato europeo per estensione (se si esclude la Russia), la cui identità – europea o asiatica – è sempre in discussione. Con quasi cinquanta milioni di abitanti, ricco di risorse anche naturali, l’Ucraina si trova geopoliticamente in una posizione delicatissima tra l’area di influenza europea e quella russa. (altro…)

  • L’autunno, qui, è magico e immenso (25 gennaio – 2 febbraio)

    L’autunno qui, è magico e immenso
    Tour poetico del poeta siriano Golan Haji

    «Torneresti affamato, come un’idea che temi possa morire. Se aprissi una porta qualunque, per rassicurarti o andartene, apriresti la strada al dubbio»

    Il poeta curdo-siriano Golan Haji è in un tour italiano per la presentazione del suo libro L’autunno, qui, è magico e immenso, edito nella collana Altriarabi (collana di narrativa mediterranea) per le edizioni il Sirente la prima raccolta europea di poesie, finora apparse solo in rivista, risalenti per la maggior parte agli ultimi due anni.

    Dal 25 gennaio al 2 febbraio il poeta sarà coinvolto in scambi poetici, artistici, poetici-filosofici, con varie personalità della scena culturale italiana: il musicista Paolo Fresu, i poeti Giacomo Trinci e Alberto Nessi…
    Golan Haji è abituato a lavorare con artisti visivi e con musicisti, con un’idea della traduzione molto aperta e, con una, altrettanto aperta appartenenza culturale

    Il tour inizia da Trieste, la città sognata. Il 25 gennaio alle ore 19 presso la Libreria-caffè San Marco (via Battisti 18). Interverranno il poeta Golan Haji, la curatrice del volume Costanza Ferrini, reading poetico a cura di Marina Moretti e musica di Fabio Zoratti.

    Bologna, 28 Gennaio ore 18, Sala della Cappella Farnese, Piazza Maggiore. Partecipano il poeta Golan Haji, Paolo Fresu, Giacomo Trinci e Costanza Ferrini.

    Chiasso, 29 gennaio ore 18, Foyer Cinema Teatro, via Dante Alighieri 3b. Introduce Marco Galli (coordinatore di Chiasso lettararia), intervengono Golan Haji, Alberto Nessi, Luisa Orelli e Costanza Ferrini.

    Firenze, 2 febbraio ore 12, caffè letterario Le Murate, piazza delle Murate. Intervengono Golan Haji, Giacomo Trinci, Brunella Antomarini e Costanza Ferrini.

    Un’occasione per riflettere sulla banalità del male, la normalità della follia e l’ironia necessaria per sopravvivere.

    Golan Haji è nato nel 1977 a Amouda, una piccola città curda nel nord est della Siria. Ha studiato medicina all’Università di Damasco. E’ patologo di formazione, ma ha una presenza letteraria importante che include numerose raccolte di poesia, con la prima Na’ada fi azzolemat (Chiamò nelle tenebre) (2004) si è aggiudicato il premio Mohammed al-Maghut. La seconda raccolta apparsa nel 2008 in occasione di “Damasco città della cultura” s’intitola Thammata man yaraka wahshen (C’è qualcuno che ha visto in te un mostro). La terza raccolta bayti al-bared al-ba’id (La mia casa è fredda e lontana) è pubblicato presso la casa editrice Dar-al Gamal a Beirut 2012, Adulterers, Forlaget. Korridors, Copenhaghen 2011. Traduttore di classici inglesi tra cui Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde in arabo, ma anche frammenti racconti e poesie di italiani attraverso la lingua inglese quali Pavese, Saba, Ginzburg, Levi, Calvino, Montale.

  • Ve la do io la vera Ucraina

    Ve la do io la vera Ucraina

    | Il Messaggero | Lunedì 13 gennaio 2013 | Elisabetta Marsigli |

    Il fascino per una terra lontana può rimanere un sogno, ma per Massimiliano Di Pasquale si è trasformato in realtà. Fotogiornalista e scrittore freelance, Di Pasquale ha fatto dell’Ucraina una vera passione e, dopo aver scritto di politica internazionale e cultura su diversi quotidiani nazionali, nel 2007, grazie all’intervista con l’allora Presidente ucraino Viktor Yushchenko, inizia un approfondimento culturale e sociale del paese dei cosacchi.
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  • Siria. E poi venne l’inverno, nella poesia di Golan Haji

    Siria. E poi venne l’inverno, nella poesia di Golan Haji

    | Osservatorio Iraq | Domenica 22 dicembre 2013 | Chiara Comito |

    Quella stessa neve che non ha risparmiato i campi profughi in cui vivono centinaia di migliaia di siriani in fuga da un paese lacerato da due anni di guerra civile e vittima dell’indifferenza del mondo.
    È impossibile non pensare ai tanti bambini, uomini e donne intirizziti o morti per il freddo tagliente quando si leggono le poesie del poeta curdo siriano Golan Haji contenute nella raccolta L’autunno, qui, è magico e immenso (Il Sirente, 2013), dove i versi scandiscono i tempi di stagioni terribili, fatte di polvere, lacrime, pioggia, sangue, dolore e desideri irrealizzati.
    E di neve. La neve su cui camminano, ad esempio, i soldati della poesia “Scrigno di dolore” in cui il poeta, parlando della condizione degli esiliati che egli stesso vive dal 2011, scrive: “Ora sei una storia raccontata dove manchi./La tua gola,scrigno di dolore,/è piena di ossa e piume./Nel bianco dell’occhio/hai una macchiolina di sangue arrugginita/simile a un sole che tramonta lontano/su un campo di neve/calpestato da lunghe file di soldati affamati”.

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  • Comunità alternative

    Comunità alternative

    “Comunità alternative” è un’innovativa selezione di romanzi di autori contemporanei di primo piano curata da Beppi Chiuppani, dottore di ricerca in letterature comparate (University of Chicago), scrittore e saggista. Le opere di questa collana mettono in evidenza forme di relazionamento interpersonale nate da approcci non convenzionali verso l’identità sessuale, l’appartenenza etnica, la diversità culturale e religiosa, offrendo nuovi modi di concepire la socialità e i rapporti umani. Al grande valore letterario questi testi non mancano di unire il piacere di raccontare una storia. Con la loro potente carica fabulatoria, le narrative scelte guidano il lettore verso inconsueti orizzonti geografici e culturali, presentando gli aspetti fondamentali di paesi che stanno acquistando un rilievo sempre più grande nel panorama geopolitico e culturale contemporaneo.
    Dalle comunità multirazziali del Sud Africa contemporaneo, alla socialità del Brasile meno noto di CuritibaBrasília o San Paolo, alla vita delle periferie di Luanda, le opere sinora pubblicate offrono al lettore italiano la possibilità di un incontro culturale di qualità con una serie di Paesi in via di sviluppo che pur apparendo sempre più frequentemente nella stampa sono spesso ancora assenti dalle nostre librerie.
    Gli autori scelti sono noti nazionalmente e internazionalmente e tuttavia restano in Italia ancora da scoprire appieno. Molti di loro sono già stati premiati con alcuni dei maggiori riconoscimenti dei rispettivi paesi, come il Prémio São Paulo de Literatura, il Prémio Jabuti, il Grinzane Africa Award, Premio Saramago, il premio Casa de Las Americas, e altri ancora.
    Ciascun titolo della collana è arricchito da una prefazione. Tra gli autori in catalogo pubblicati: il sudafricano Phaswane Mpe (Benvenuti a Hillbrow), João Almino,(Le cinque stagioni dell’amore) e Ondjaki (NonnaDiciannove e il segreto del sovietico).

    1. Phaswane Mpe, Benvenuti a Hillbrow (Sudafrica, 2011)
    Un viaggio onirico per le strade di Hillbrow, quartiere di Johannesburg dove si concentrano il fascino e le contraddizioni dell’anima sudafricana post-apartheid. Incluso in Twenty in 20: The Best Short Stories of South Africa’s 20 Years of Democracy, Benvenuti a Hillbrow è una perla della narrativa contemporanea non solo africana che anticipa di pochi anni il destino tragico dell’autore.

    2. João Almino, Le cinque stagioni dell’amore (Brasile, 2012)
    Un romanzo di formazione che narra la transizione nella vita di Ana, professoressa in pensione che si interroga sul senso della propria vita e dalla sua ordinarietà. La rete di relazioni sociali e personali multiformi che si construiscono attorno a lei la conducono verso una possibile risposta. Originale esplorazione della relazionalità umana e della varietà che può acquisire, Le cinque stagioni dell’amore è anche un romanzo sulla città di Brasilia, sorta come tentativo di dare forma architettonica a un sogno socio-politico di impronta tipicamente modernista. Vincitore del Premio Casa de las Américas nel 2003.

    3. Ondjaki, NonnaDiciannove e il segreto del sovietico (Angola, 2015)
    Sullo sfondo di un Paese segnato dai conflitti successivi all’indipendenza e sotto l’influenza sovietica e cubana, lo sguardo di un bambino filtra le tracce del disordine. Ondjaki, inventando una lingua impossibile, infantile e colta allo stesso tempo, riformula la realtà storica di un quartiere della capitale angolana in una vera e propria “comunità alternativa” in cui si sviluppano relazioni sociali tra angolani, cubani e sovietici caratterizzate da creatività, avventura, compassione – e infine riscatto. Vincitore nel 2010 del prestigioso premio letterario Jabuti, NonnaDiciannove e il segreto del sovietico sancisce la maturità artistica di uno dei più significativi scrittori in lingua portoghese, vincitore nel 2013 del Premio Saramago.

    4. Il prossimo romanzo della collana uscirà nel giugno 2016. Titolo e autore verranno annunciati tra rullo di tamburi e rumor di grancassa alla fine di quest’anno. Tenetevi pronti…

     

    Parole chiave: Comunità alternative – Letteratura postcoloniale – Sudafrica – Brasile – Angola

  • Inchieste – Collana di reportage dall’est del mondo

    Inchieste è una collana dedicata a reportage giornalistici che guarda all’est d’Europa e del mondo. La collana si compone attualmente di tre titoli. Il petrolio e la gloria di Steve Levine – giornalista del Washington Post esperto di Paesi dell’area ex-sovietica – è il frutto di anni di ricerche e ripercorre con estrema accuratezza la corsa all’oro nero nell’area del Mar Caspio, dalla fine dell’Ottocento sino ai giorni nostri. Sempre di Steve LeVine, Il labirinto di Putin è un saggio-thriller politico che inizia e finisce con l’omicidio del dissidente russo Alexander Litvinenko: prima e dopo questo evento centrale, una serie di bizzarre morti di giornalisti, dissidenti e ambasciatori si susseguono inesorabili. Strane morti che diventano una lente attraverso la quale prende forma la nuova Russia che oggi conosciamo. Infine, Ucraina terra di confine di Massimiliano Di Pasquale, alla sua quarta ristampa, ci conduce attraverso l’Ucraina dai Carpazi alla Crimea. Incontrando ex dissidenti, scrittori e gente comune, portandoci nei caffè asburgici di Leopoli, nei luoghi letterari di Chekhov o nelle miniere del Donbas, l’autore ci fa scoprire la complessità di un Paese ormai al centro delle cronache internazionali.

    A novembre sarà in libreria il secondo libro di Massimiliano Di Pasquale, Riga Magica. Cronache dal Baltico.

  • Colazione con Massimiliano Di Pasquale, fotogiornalista esperto di Ucraina

    Colazione con Massimiliano Di Pasquale, fotogiornalista esperto di Ucraina

    Alibionline | Giovedì 12 dicembre 2013 |  |

    “Ukraïna tse Ukraïna!” L’Ucraina è Ucraina! Ricordate il simpatico spot che a metà degli anni Novanta reclamizzava il nuovo atlante geografico venduto a fascicoli settimanali con Il Corriere della Sera? Al cosmonauta atterrato in mezzo al suo pollaio, la contadina ucraina teneva una rapida lezione di geografia per aggiornarlo degli epocali cambiamenti avvenuti durante la sua missione nello spazio. “Ne sono successe di cose negli ultimi anni” diceva lo speaker. E non hanno smesso di succedere, vien da dire osservando (da lontano) quanto sta accadendo in queste settimane a Kiev, capitale dell’Ucraina. (altro…)

  • L’autunno siriano secondo Golan Haji

    Frontiere News | Mercoledì 11 dicembre 2013 | Monica Ranieri |

    Incontro Golan Haji, poeta curdo siriano, a Baridove è stato invitato per presentare la sua raccolta di poesie “L’autunno qui, è magico e immenso”, edita da “Il Sirente”. Ho il libro tra le mani e lo sguardo continua a soffermarsi su alcuni versi che avevo sottolineato leggendolo. “La mia ombra, appena calpestata/ si ripara sotto di me/ e le mie parole/che sono il mio deserto e mi fan male/si accampano intorno a me”. L’espressione degli occhi di Haji mentre mi racconta della Siria, dei diritti del popolo curdo, e del suo muoversi lungo ed oltre i confini delle scritture e delle lingue, e il tono vibrante della sua voce, mi hanno condotto amichevolmente lungo i sentieri che le parole accampate tracciano attraversano il deserto.  (altro…)

  • “Leggere” la Siria da un altro punto di vista. A Bari il reading del poeta curdo siriano Golan Haji

    “Leggere” la Siria da un altro punto di vista. A Bari il reading del poeta curdo siriano Golan Haji

    | Editoriaraba | Lunedì 2 dicembre 2013 | Silvia Moresi |

    Lo scorso venerdì a Bari si è svolto l’evento “Narrazioni libere. Dalla Siria all’Italia il futuro è commons”. Un’occasione per la città pugliese di ascoltare le parole del poeta curdo siriano Golan Haji e riflettere su una Siria “altra”, rispetto a quella proposta dai media mainstream recentemente. Silvia Moresi ha partecipato all’evento e ne ha scritto per il blog (oltre a fotografare alcuni momenti della serata). Buona lettura! (altro…)

  • Libri: ‘L’autunno, qui, è magico e immenso’, di Golan Haji

    ANSAmed | 25 novembre 2013 | Cristiana Missori |

    (ANSAmed) – ROMA, 25 NOV – La guerra, la bellezza, il sangue e l’amore. Sono questi alcuni temi che compongono la raccolta di poemi scritti negli ultimi due anni da Golan Haji, ”L’autunno, qui, è magico e immenso” (il Sirente, collana Altriarabi, pp.128, Euro 10), che il 29 novembre prossimo, verrà presentata a Bari nel corso dell’evento ”Narrazioni libere. Dalla Siria all’Italia il futuro è commons”. (altro…)

  • Prima delle badanti, c’era Hollywood – L’Ucraina segreta dai cosacchi alla Ceka

    La Stampa | Mercoledì 25 novembre 2013 | Anna Zafesova |

    Massimiliano Di Pasquale scrive il primo racconto in italiano di una terra vicina quanto sconosciuta: “Ucraina terra di confine” è un diario di viaggio che fa parlare i ricordi e le storie delle persone incontrate. (altro…)

  • Novità collana altriarabi

    Torneresti affamato,
    come un’idea che temi possa morire.
    Se aprissi una porta qualunque,
    per rassicurarti o andartene,
    apriresti la strada al dubbio.
    Lo specchio si avvicinerebbe e si alzerebbe.
    E come vecchi nemici
    i tuoi occhi fisserebbero i tuoi occhi.

    L’autunno, qui, è magico e immenso
    Golan Haji

    il Sirente
    Altriarabi
    pp. 128, b/n
    Euro 10,00

  • Novità collana fuori

    Novità collana fuori

    Allo stesso modo, appena al di sopra della sua testa, era tutto un intersecarsi di pensieri veloci, che lasciavano candide scie, come jets nel cielo terso. La maggior parte veniva da sinistra, e facevano ‘zing’. Gli altri da destra, e facevano ‘bam’.

    Racconti cubisti
    Prikedelik

    il Sirente
    Fuori
    pp. 96, b/n
    Euro 10,00

  • Novità collana inchieste

    La passione per un luogo, per una lingua, per un’atmosfera sospesa fra sapori e colori nasce come un’amicizia e forse anche come un amore. Un incontro propizio, che non si esaurisce nello spazio di qualche suggestione, ma che impone a gran voce di essere approfondito, investigato, compreso.

    Ucraina terra di confine
    Massimiliano Di Pasquale

    il Sirente
    Inchieste
    pp. 310, ill. br.
    Euro 15,00

  • Novità collana comunità alternative

    Novità collana comunità alternative

    Vincitore del Premio Casa de las Americas nel 2003 e già tradotto in numerose lingue, Le cinque stagioni dell’amore è un romanzo affascinante di uno dei maggiori scrittori oggi al lavoro in Brasile.

    Le cinque stagioni dell’amore
    João Almino

    il Sirente
    Comunità alternative
    pp. 192, b/n
    Euro 15,00

  • I nostri autori

    I nostri autori

  • جولان حاجي يرتحل إلى رحابة القصيدة

    Al-Akhbar |  Mercoledì 9 ottobre 2013 | ادب وفنون |

    جولان حاجي يرتحل إلى رحابة القصيدة

    منذ البداية، انحاز إلى اللغة المحكومة بخصوبة معجمية، لكن ذلك لم يمنعه من إنجاز قصيدة واضحة المعاني. ديوانه «الخريف هنا، ساحرٌ وكبير» خطوة جديدة في تجربة الشاعر السوري الذي يحوّل مذاقات اللغة اليومية إلى منجزات شخصية
    يزن الحاج

    في مجموعته الجديدة «الخريف، هنا، ساحرٌ وكبير» (الصادرة بالعربيّة والإيطاليّة عن «دار إل سيرنته» – 2013)، يواصل جولان حاجي (1977) مشروعه الشعري الذي بدأ منذ باكورته «نادى في الظّلمات» (2006). جولان صاحب تجربةٍ خاصّة في الشعر السوري، كانت اللغة فيها المكون الأساسي، مبتعداً عن التقييدات التي التصقت بمعظم مجايليه الذين انحازوا إلى «القصيدة اليومية» ورموزها. وبرغم «الاتّهامات» الجاهزة التي حاول فيها البعض تأطير شعر جولان (سليم بركات كمرجعية شعرية كردية من جهة، أو التأثر بالشعر الأوروبي والأميركي بحكم اطّلاع الشاعر عليهما في ترجماته المتفرّقة المنشورة)، إلا أنّ المتتبّع لهذه التجربة يستطيع التقاط خصوصيّتها التي تنأى عن التصنيفات السائدة.
    منذ البداية، استندت تجربة جولان الشعرية الى تجسير الهوة بين الشفهي والكتابي. ثمّة ظلالٌ للترجمة في شعره تتبدّى واضحةً في معظم القصائد؛ ليست الترجمة الاعتيادية بحرفيّتها، بل معناها الضمني الذي كان يشير إليه الشاعر في حواراتٍ عديدة (كلّ كتابة هي ترجمة). الترجمة كعملية نقل بدرجات متعدّدة: نقل الكلمات من المخيّلة/ العقل إلى الورق، نقل المفردات وتحويلها من لغةٍ إلى لغة، ونقل القصيدة/ الحياة من عالمٍ واقعيّ إلى عالم مواز آخر يهرب ويلتجئ إليه، تكون فيه «كاف» التشبيه هي الأداة المحوريّة في القصيدة.
    عبر هذا النّقل، تتحرّك قصيدة جولان مبتعدةً عن التقييدات وضيق «اليوميّ» والهويّة واللغة، إلى رحابة فضاء القصيدة. ليس ثمة مكان للثبات في قصيدة حاجي؛ الواقع دوماً مؤقّت، ولا بدّ من ارتحال (مادي أو مجازي) لتكتمل القصيدة. الخوف (السّمة الوحيدة الثابتة في قصائد هذه المجموعة) وعدم الاستقرار هما أداتا الشاعر في التعبير عن ضيق المكان، أيّ مكان، وهو ما يجعل شعر جولان، عموماً، ملغّماً دوماً بالدلالات التي تُربك المتلقّي. وهنا تكمن صعوبة ولذّة هذه القصائد: «لا أخاف أن لا أُفهَم بل أخاف أن لا أُحَبّ». هذا الاضطراب الشخصي والشعري يتبدّى بشكل أكثر وضوحاً في الترجمة الإنكليزيّة لشعر جولان حاجي الذي يشارك معظم الأحيان في ترجمة هذه القصائد بصحبة أصدقاء آخرين. نجد القصائد أكثر «استقراراً»، حيث يُعيد الشاعر كتابة القصائد، ورسم عالمها، وضبط اتجاه بوصلتها.
    يشترك جولان مع شعراء «القصيدة اليوميّة» في نقطة الانطلاق، أي عالم الظّلال والأصداء والهامش، لكنّه يفترق عنهم في التأكيد على قضيّة «الأَجْنَبَة» (لو استعرنا مصطلح آلان باديو) في القصيدة. المفردات لا تكتفي بدلالاتها المباشرة، بل تكتمل بظلال معناها، ومرورها بهذه المرحلة «الأجنبيّة» المؤقّتة التي تكون حدّاً فاصلاً بين العالم الواقعي والعالم الشعري، وتتمثّل دوماً بالمرآة (أداة شعريّة دائمة الحضور في قصائد هذه المجموعة والمجموعات السابقة). المرآة كحاجزٍ بين دلالتين وحالتين تفضي إحداهما إلى الأخرى بالضرورة في معادلةٍ دائمة، يكون أحد طرفيها الخوف: «كعدوَّيْن قديمين/ ستحدّق عيناك في عينيك».
    يتماهى جولان مع شخوص قصائده لا ليحاول كسر رتابة القصيدة فحسب، بل لرسم ملامح مكان دائم ما بعيداً عن الأمكنة المؤقّتة التي تؤرّق الشّاعر وقصيدته. تكتسب هذه الشّخوص صفات شاعرها (خائفة، متردّدة، غير راضية) من دون أن تنسى تكريس حياةٍ مستقلّة لها بعيداً عن عزلة شاعرها وصقيع نهاياته.
    ثمّة حضورٌ شفيفٌ للطبيعة في قصائد المجموعة، لكنّه كأي عنصرٍ آخر في القصائد، يرتدي ثوباً شعرياً جديداً بمعانٍ مُبتكرَة وصور جديدة. ولا بدّ من التأكيد على أهميّة هذا العنصر في شعر جولان حاجي؛ أي الابتكاريّة في خلق الصّور والعوالم المتعدّدة في جسد القصائد، مع وجود علاماتٍ ثابتةٍ دوماً: فالدّم صدأ، والشفتان مشقّقتان، والأشياء توّاقةٌ دوماً للعودة إلى أصلها.
    تشترك مجموعة «الخريف، هنا، ساحرٌ وكبير» مع مجموعات جولان السابقة في هذه العلامات الشعرية الثابتة، لكنّها تفترق عنها بكونها أكثر كمالاً لناحية الصّورة والأفق، عدا كون قصائدها أكثر استقلاليّة، بمعنى خصوصيّة كلّ قصيدة بحدّ ذاتها، الأمر الذي كان أقلّ وضوحاً في معظم قصائد مجموعتَيْ «نادى في الظّلمات» (2006)، و«ثمّة من يراك وحشاً» (2008). أخيراً، ليست هذه المجموعة التجربة الأولى لحاجي في تجاور القصيدة ذاتها بلغتين مختلفتين، إذ سبقتها مجموعة «اخترتُ أن أسمع» (2011)، عدا قصائد مترجَمة متفرّقة أخرى بعددٍ من اللغات في منابر عديدة مثل «جدليّة»، «وولف»، و«كلمات بلا حدود».