Letture senza fine

| Yahoo | Sabato 17 novembre 2011 | Giovanni Caporale |

Bello! Bellissimo! Strepitoso!!! Vabbé l’autore è un vecchio amico mio e vado un po’ largo con gli aggettivi(e pure con i punti esclamativi)! Le ultime cose sue che avevo letto risalgono a 20 anni fa (gli feci le pulci sulle virgole e gli accenti! Rompiballe che sono sempre stato!). L’avevo lasciato che scriveva storie tipo beat generation (bukowsky all’amatriciana!), godibili e ben scritte (ricordo un dio nel forno della cucina che divorava i testimoni di geova che rompono le balle la domenica mattina, un tossico che non paga la droga inseguito dal “lucertola” che gli vuole spezzare le gambe), e lo ritrovo verso il noveau roman (anche se secondo me dirà: che cazzo è `sto novò romà? So’ de roma eqquindi???) a scrivere racconti quasi senza trama e dialoghi, successioni di immagini, come aggirarsi in un labirinto, non un labirinto pulito e razionale come quelli di borges, ma un luogo oscuro dove si è condannati a ripetere i propri passi finché non si fa la cosa giusta. Della beat generation si ritrova ancora qualcosa, ma meno di quanto creda l’autore (che cita burroghs come sua ispirazione nella premessa). Sì, ha mantenuto per affetto l’abitudine all’utilizzo della & invece che la “e” , ma i suoi ibridi animaleschi sono meno i lemuri (e incubi vari) di burroughs che gli animaletti di kafka (quello che si aggira ne “la tana” soprattutto). Lo sa o non lo sa l’autore che kafkeggia (altra ipotesi, non è che sono io kafkiano convinto a vedere kafka ovunque?)? Secondo me lo sa, il riferimento all’arabo (senza sciacallo) può essere casuale, quello ai sicari venuti ad eseguire la condanna può esserlo molto meno, la questione delle leggi e del re (“per questa volta è proibito”) non può non ammiccare volutamente a “la questione delle leggi” di kafka. Il linguaggio è ora altissimo fino all’uso di termini desueti (“checché”, “sviluppansi”) ora gergale (“anvedi”), ma anche qui più che un’operazione postmoderna all’americana (manca del tutto l’immaginario americano da B movie, tranne forse che negli extraterrestri vonneguttiani di Ullan power) c’è secondo me il non prendersi mai troppo sul serio, alla romana! Bello, non facile, da leggere con attenzione con la tv spenta e gli occhiali sul naso.

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