“L’illusione degli ucraini sul nazismo durò solo qualche settimana”

| La Stampa | Giovedì 13 marzo 2014 | Massimiliano Di Pasquale |

Giovanna Brogi Bercoff, professore di slavistica all’Università di Milano, interviene sul tema delle politiche di russificazione dell’Ucraina Orientale intraprese dalla Russia zarista dopo la storica battaglia di Poltava del 1709: “Da allora resistono molti pregiudizi”
Giovanna Brogi Bercoff, professore ordinario di slavistica presso l’Università di Milano, direttrice della rivista Studi Slavistici e presidente dell’AISU (Associazione Italiana di Studi Ucrainistici), parla della grave crisi tra Russia e Ucraina e aiuta a inquadrare le complesse vicende di queste settimane in un’ottica storico-culturale in cui grande peso hanno avuto le politiche di russificazione dell’Ucraina Orientale intraprese dalla Russia zarista dopo la storica battaglia di Poltava del 1709.  

 

Professoressa Brogi, che spiegazione dà alla lettura russo-centrica della crisi ucraina presente in vasti settori dell’establishment politico-culturale nel nostro Paese? 
«In parte la dimensione russo-centrica dell’Italia riflette il provincialismo e la scarsa cultura degli italiani, ma fondamentali restano le motivazioni economiche. Basti pensare ai rapporti tra ENI e Gazprom. Non escluderei che l’amicizia personale tra Berlusconi e Putin abbia ancora una certa influenza, data la lentezza con cui in Italia cambiano idee e abitudini. E poi permane in Italia il mito della Russia». 

Cosa intende esattamente per mito della Russia? 
«C’è un mito di natura culturale, pensiamo alla letteratura o alla musica. Anche la Slavistica è da sempre dominata dalla Russistica. In questi ultimi anni il numero degli studenti di russo è raddoppiato, in certi casi triplicato, creando grossi problemi didattici e organizzativi perché mancano insegnanti qualificati. Fra le cause di questo aumento c’è la speranza di trovare lavoro grazie all’intensificazione dei rapporti economici tra Roma e Mosca. Ma forse questo interesse per gli studi russi è anche frutto della propaganda che sta facendo la fondazione Russkiy Mir, finanziata direttamente da Mosca, stabilendo accordi con i vari istituti. I docenti delle università accettano aiuti da questa fondazione perché offre soldi e infrastrutture».  

Pensa che l’AISU doveva fare di più per fare conoscere le specificità culturali dell’Ucraina? 
«Non so se l’AISU poteva fare di più, credo di no. La verità è che non siamo tanti e non abbiamo disponibilità economiche e influenze politiche. Inoltre anche tra di noi sono pochi quelli che conoscono veramente bene il paese e che sono stati in Ucraina. Quando veniamo interpellati diciamo la nostra, ma c’è un muro di gomma anche sul fronte informativo, a parte qualche trasmissione radiofonica ben fatta tipo quelle di Radio 3 della RAI dove c’è spazio per l’approfondimento. Anche i grandi giornali hanno un livello disomogeneo, alternano analisi serie ad altre decisamente faziose».  

Come mai in Italia più che altrove continua a resistere lo stereotipo dell’ucraino fascista? 
«Non so perché, forse per ignoranza! In realtà è stato calcolato dagli storici che circa il 10% della popolazione ucraina è stata collaborazionista. Naturalmente non è poco, e sono la prima a riconoscere che in Ucraina esiste ancora un diffuso antisemitismo. Però a molti è sfuggito che al movimento di Maidan partecipano attivamente anche le comunità ebraiche ucraine. Per la prima volta c’è una vera collaborazione fra ucraini ed ebrei. Ciò detto l’antisemitismo ucraino è sicuramente secondo a quello russo: i pogrom di fine ‘800 erano fatti dai russi non dagli ucraini. I pogrom di cui scrive Isaak Babel della famosa Armata a Cavallo erano russi, non ucraini. Il collaborazionismo in Francia, in Belgio e in Italia era sicuramente superiore al 10% però nessuno oggi definisce francesi, belgi, italiani dei nazisti. E i pogrom polacchi di Kielce, nessuno se li ricorda? Gli unici ad essere ancora bollati di fascismo sono gli ucraini. Tengo a precisare che l’illusione ucraina che il nazismo li avrebbe liberati dallo stalinismo è durata poche settimane. Dai nazisti gli ucraini hanno subito persecuzioni e deportazioni quasi come i polacchi. Stepan Bandera, il leader dell’UPA tanto demonizzato dai russi, fu incarcerato dai nazisti e poi morì per mano sovietica».  

Oksana Zabuzhko nel suo ultimo libro sostiene che siano stati i comitati di autodifesa dei partigiani ucraini nel dopoguerra a impedire al regime sovietico di perpetrare nell’Ovest del Paese una strategia di genocidi come quella dello Holodomor del ’32-’33 che avrebbe distrutto l’Ucraina per sempre. Lei cosa ne pensa? 
«Non ho ancora letto il libro della Zabuzhko ma concordo sul fatto che la popolazione di Galizia e Volinia, che era vissuta sotto polacchi e austriaci e che fu inglobata nell’URSS solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, abbia resistito con grande forza alla russificazione e abbia ostacolato fortemente le politiche di russificazione della cultura ucraina. Se i sovietici fossero riusciti a sovietizzare e russificare anche queste terre lo spirito e la cultura di una nazione avrebbero avuto maggiori difficoltà a sopravvivere».  

Cosa risponde ai tanti italiani che identificano i russofoni con i russi o sostengono che l’Ucraina orientale è Russia? 
«L’uso di due lingue non è facilmente comprensibile e si tende a semplificare, anche fra gli “intellettuali”. Dopo il 1709 e la sconfitta di Mazepa a Poltava, è iniziata nell’Ucraina centro-orientale una forte russificazione. I primi provvedimenti hanno riguardato proprio il divieto di usare la prima lingua letteraria che si era formata nel Seicento: non era esattamente l’ucraino moderno ma lo poteva diventare. Nell’Ottocento, l’opera poetica del poeta nazionale Shevchenko divenne oggetto di critica perché un grande poeta non doveva scrivere in ucraino, considerato dialetto del russo, ma solo in russo. Nel 1863 e 1876 furono emessi dei veri e propri ukaze per proibire l’uso letterario della lingua ucraina e la stampa di opere e riviste. Scrittori dell’Ucraina sottoposta allo zar che volevano pubblicare opere in ucraino potevano farlo solo a Leopoli, nella Galizia asburgica. Ciò è durato fino alla rivoluzione del 1905 quando il divieto venne abolito. Dal 1927 in poi ricominciarono le politiche di russificazione/sovietizzazione volute da Stalin: furono subito fucilati circa un centinaio fra i migliori scrittori, artisti e intellettuali ucraini. Altre centinaia furono spediti nei Gulag. Chi scrive che Kharkiv è una città russa forse non sa che prima delle purghe staliniane nella sua Università insegnava il meglio dell’intellighenzia ucraina».  

* Giornalista e scrittore, autore di “Ucraina terra di confine” (il Sirente 2012)