La fuga di una donna alla ricerca di sé stessa

Mediterranea Online | Lunedì 1 giugno 2009 | Cristina Giudice |

Un paese governato dagli uomini, un’atmosfera densa, nera e soffocante in cui restare invischiati come nel petrolio. Il nuovo romanzo della scrittrice egiziana Nawal el-Sa’dawy.

Visionario, schizofrenico, onirico. Sono alcuni degli aggettivi che si possono usare per descrivere l’ultimo romanzo di Nawal el-Sa’dawy, L’amore ai tempi del petrolio, una narrazione buia, liquida e viscosa proprio come questo liquido, presentata a Roma dalla casa editrice “il Sirente” come secondo titolo della nuova e interessante collana “Altri arabi”.
La scrittrice egiziana affronta in questo libro i temi che da sempre le sono cari, ma qui più che mai assume una prospettiva prettamente psichiatrica che fa emergere la sua figura di medico e di esperta degli intricati meccanismi della mente umana. In questo caso una mente malata, in preda ad una sorta di delirio causato da condizioni di vita sociale e affettiva che costringono la protagonista ad una fuga dalla realtà in un’atmosfera allucinata di costante alternanza fra sogno e veglia, i cui contorni si sfumano e si mescolano tanto da essere indistinguibili.
Forse proprio il background da medico permette alla el-Sa’dawy, come ad altri scrittori egiziani contemporanei, di avere uno sguardo quasi clinico nei confronti della realtà, come ha notato il giornalista Pino Blasone, intervenuto alla presentazione del libro: «Già Mahfuz, con la sua forte critica verso la società, era stato un vero maestro del nuovo realismo egiziano, un filone portato avanti dalle ultime generazioni di scrittori, soprattutto dopo gli eventi dell’11 settembre 2001».
Il realismo della el-Sa’dawy, teorizzato nel libro-intervista Dissidenza e scrittura, trova piena realizzazione nelle pagine di questo romanzo: la condizione della donna e il suo rapporto con l’uomo, la relazione fra cultura e libertà, il desiderio di abbattere le barriere e i tabù imposti dalla società e dalla religione. Tutto questo senza dimenticare le proprie radici: in un contesto in cui tutto è anonimo, dai personaggi ai luoghi, il richiamo all’antica civiltà egiziana e alle sue divinità è l’unico punto fermo, quasi il faro verso cui dirigersi quando si è persa la rotta per ritrovare il proprio passato ed essere così capaci di affrontare il presente.
La protagonista del romanzo è un’archeologa che scappa dalla trappola della vita coniugale per andare alla ricerca delle antiche divinità femminili in una società dominata dagli uomini e dove anche il solo pensare che esistano divinità femminili è considerato un tabù. L’uomo è padrone indiscusso di tutto e depositario del sapere assoluto e la donna vive il rapporto con lui come uno scontro continuo. Come ha notato Laura Pisano, docente di storia del giornalismo all’università di Cagliari, «il marito appare quasi sempre sotto forma di una voce che dà ordini, nascosto dietro le pagine di un giornale, quasi come se la stampa fosse vissuta come vero strumento di potere». Il paradosso però è che colui che ha il potere incontrastato nel paese, il re, è analfabeta, mentre la donna, pur non essendo padrona neppure del proprio destino, è una ricercatrice. «Chiedere cultura da parte della donna – secondo la Pisano – significa infrangere il monopolio del potere e l’idea che la cultura fosse una colpa, una trasgressione e una deviazione, era presente anche in Europa, dove la donna ha avuto accesso all’istruzione di alto livello solo molto tardi».
«Il problema del libero accesso alla cultura e alla libera espressione delle idee in Egitto è ancora presente – ha ricordato Paola Gargiulo, del gruppo parlamentare donne al Senato – forse anche per questo le nuove generazioni, che nel paese costituiscono la maggioranza della popolazione, cercano nuove vie, in particolare quella virtuale. Molti blogger sono però finiti in carcere e anche la ragazza che su Facebook diede inizio al tam tam del movimento del 6 aprile (per la proclamazione dello sciopero generale, finito purtroppo in un fiasco sia nel 2008 che nel 2009, ndr) è finita in carcere. Anche il romanzo a fumetti “Metro”, che conosce un enorme successo virtuale sulla rete, è stato sequestrato dalle librerie.
Un esempio positivo del rapporto fra scrittura e potere – ha continuato la Gargiulo – è invece quello della marocchina Rita el-Khayat che nel 1999 fu la prima donna nel mondo arabo a scrivere una lettera al re del Marocco riguardo la condizione femminile, il documento forse più audace, coraggioso e sconveniente del secolo scorso e che richiamò l’attenzione del sovrano su problemi non prima presi nella giusta considerazione».
Nel suo tentativo di ribellarsi contro questo tipo di società però la protagonista trova un ostacolo anche nelle altre donne e qui sembra che si possa intravedere una sorta di critica, che non sarebbe neppure ingiustificata, nei confronti delle donne arabe, spesso incapaci esse stesse, a volte per pigrizia e altre per paura, di abbattere quelle barriere contro cui la el-Sa’dawy lotta da tempo.
«Per riuscire ad infrangere le barriere – ha detto la Pisano – è necessario il dialogo fra le culture, sia di tipo religioso che artistico, letterario e culturale, contrastando tutto ciò che crea ostacoli e separazioni. In questo senso le religioni, usate in modo politico, sono viste dalla el-Sa’dawy come elemento di separazione nel loro creare odi, divisioni e ingiustizie».
L’autrice stessa, in un convegno a Roma qualche settimana fa, disse: «Bisogna relegare la religione nella sfera privata della vita e non darle spazio in quella pubblica. Per questo ben vengano iniziative come quella del governo francese, che ha proibito qualsiasi esibizione di segni religiosi negli ambienti pubblici. La religione per molti versi è diventata un fatto sociale come in Egitto, dove le ragazze indossano il velo con jeans e magliette strettissimi. La religione non è moralità, ma politica. Studiando le religioni mi sono trovata di fronte a due tipi di morale, una per gli uomini e una per le donne, una per i ricchi e una per i poveri e ho notato che la religione crea solo divisioni. Abbiamo bisogno di vivere in un mondo senza religione, senza che ciò significhi vivere senza morale. Al contrario, saremmo più umani e, quindi, più uniti fra di noi».
Il problema femminile secondo la scrittrice è, oltre che religioso, politico: «Le donne sono sottoposte a forti pressioni in tutto il mondo, sia di tipo sociale, che economico e politico, e sono ovunque vittime dei sistemi: in Afghanistan, dove il regime talebano è stato creato dai Bush, come in America, dove domina il fondamentalismo cristiano, come in Europa, dove sono schiave delle convenzioni sociali».
Non avendo dunque nessuno a cui rivolgersi nel mondo reale, la protagonista del romanzo si rifugia sia nel ricordo della sua infanzia, dove domina la figura della zia devota all’Immacolata, figura presente nella tradizione cristiana come in quella musulmana, sia nel mondo ancestrale e fortemente simbolico delle antiche divinità femminili, dove anche la sfinge, il cui nome in arabo, Abu el-Hol (padre del terrore), è maschile assume identità femminile diventando Um el-Hol (madre del terrore). È così che in un libro in cui nessun personaggio è identificato da un nome, solo le divinità sono definite, esattamente come succedeva in alcuni racconti di epoca faraonica, come ha ricordato Emanuele Ciampini, esperto di egittologia dell’università “Ca’ Foscari” di Venezia. Sekhmet, dea leonessa, principio divino terribile e portatrice di morte, diventa quasi alter ego della protagonista. Proprio come lei, infatti, era fuggita dall’Egitto dando inizio a stragi terribili oltre i confini del paese. Lo stesso dio sole intervenne per arginare la sua ira senza freni e la dea fu riportata in Egitto con l’inganno, da un gruppo di divinità fra cui il “bravo compagno”.
Il rapporto con l’uomo insomma, se pur conflittuale, risulta quasi necessario e complementare alla figura femminile, come sembra sottintendere anche la el-Sa’dawy nelle ultime righe del romanzo:
«Ma quando lo sentì ridere, rise anche lei.
La vita sembrò migliore di quello che era stata in precedenza.
“Fino a quando l’uomo avrà la capacità di ridere, la donna non avrà desiderio di scappare, almeno non questa notte. Continuerà a dormire e domani ci proverà di nuovo”».

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.